Pretty Little Liars 8 – FAN-FICTION – 8×09 “Back To High School”

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“Back To High School” – “Ritorno Al Liceo”

Episode #809

 

Written by:

Frà Gullo;

 

 

CAST UFFICIALE:

Aria Montgomery (Lucy Hale)

Spencer Hastings (Troian Bellisario)

Hanna Marin (Ashley Benson)

Emily Fields (Shay Mitchell)

Alison DiLaurentis (Sasha Pieterse)

CAST SECONDARIO EPISODIO 9:

Toby Cavanaugh (Keegan Allen)

Mona Vanderwaal (Janel Parrish)

Ezra Fitz (Ian Harding)

Willa Davis (Sydney Sweeney)

Caleb Rivers (Tyler Blackburn)

Craig Davis (Paul Johannson)

Wren Kingston (Julian Morris)

Melissa Hastings/Alex Drake (Torrey De Vitto)

Philip Shepard (Sterling K. Brown)

Samantha Winson (Michele Selene Ang)

Hadley St. Germain (Celesse Rivera)

Ava Grant (Ana Markova)

Claire Varlac  (Raquel McPeek)

Brittany DeMarco (Madelaine Petsch)

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Il sole era già alto in cielo a Rosewood, e un’Aria alquanto agitata era seduta al Brew, ai divanetti, con in mano il suo caffè, e un altro appena pronto posto sul tavolino. Era molto agitata. Batteva con i piedi sul pavimento come una forsennata. La raggiunse poi Ezra, che era a parlare con una delle cameriere del Brew.

“Ehi, sai che stanno vendendo il Brew? Se lo avessi saputo, non lo avrei mai ceduto, rimanendo senza lavoro, siccome sono alla disperata ricerca di un lavoro decente da mesi” spiegò lui.

“Ok, interessante rispose Aria, non prestandogli molta attenzione.

“Potrebbe essere una buona idea riprenderlo in gestione, però, farci qualcosa di diverso, magari, una casa editrice tutta nostra” continuò Ezra iniziando un po’ a vagare con la fantasia.

“Sì certo! Una casa editrice che verrebbe rasa al suolo da tutti quegli americani che ora mi odiano. Ah, e tra poco anche gli Italiani mi odieranno, visto che stavano traducendo il libro anche in lingua italiana” rispose Aria continuando a guardare la porta del locale.

“Aria, sta calma. Appena Philip arriverà, gli spiegherai la situazione e sta sicura che capirà” rispose Ezra cercando di tranquillizzare la moglie.

“Ok, e chi glielo farà capire a loro?” chiese Aria, e indicò un tavolo di ragazzi e ragazze che borbottavano e la fissavano in malo modo.

“Ma magari ti stanno guardando per il bel vestito che indossi” rispose Ezra tentando di ridimensionare il tutto.

“Ezra, ho sentito quello che dicono. E se qualcuno amasse realmente il tuo vestito, non ti additerebbe come una stronza traditrice, bugiarda, e finta martire. Sento benissimo da quaggiù” rispose Aria stizzita continuando a fissare quel gruppetto di amici che continuavano a fissarla e a borbottare tra di loro.

“Aria, risolveremo questa faccenda, te lo assicuro” concluse Ezra cercando di rassicurarla.

In quel momento, entrò un uomo nel locale. Un uomo quasi sulla quarantina, in giacca e cravatta. Bel fisico, alto e con una camminata da uomo, decisa, e autoritaria.  Davvero bello come il sole. Occhiali neri e spessi sul naso. Ma era scuro in volto, e anche furioso. Aria s’irrigidì sulla sedia. “Eccolo” esclamò.

Philip si precipitò dai due non appena li vide. “Oh, finalmente ci rivediamo” esclamò l’uomo non appena si trovò faccia a faccia con Aria. Tolse gli occhiali alquanto adirato. La donna si alzò di colpo, ma era talmente bassa in confronto a lui, che la situazione cambiò di poco.

“P-Philip io, m-mi dispiace davvero tanto io-“ Aria non finì la frase.

“Tranquilla, so che non sei stata te a scriverlo” rispose subito lui, sedendosi di fronte alla donna. “…Questo caffè è mio? Senza latte? Delizioso terminò prendendo il caffè e iniziando a berlo. Aria lo guardò sorpresa.

“T-Tu…tu lo sai? Come lo sai?” chiese la donna.

“Tesoro, lavoriamo insieme da quasi due anni. Conosco il tuo discutibile gusto nel vestire, gli orecchini incredibilmente enormi e fastidiosi che usi, così come so riconoscere la tua scrittura. Conosco il tuo modo di scrivere, di esprimerti. Ho passato tutta la notte a rileggere l’articolo, oltre a rispondere alle miriadi di telefonate in cui volevano insultarti, e ho capito che non sei stata tu a scriverlo. Qualcuno vuole rovinartispiegò l’uomo capendo tutta la situazione.

“Oh menomale rispose Aria tirando un sospiro di sollievo.

“Menomale un bel niente, amore! Ti ha davvero rovinato. I media online non parlano d’altro. Sei stata definita la scrittrice di Satana. E in almeno quattro librerie da qui fino a New York, alcuni lettori sono entrati protestando e hanno iniziato a bruciare le copie di Pretty Little Liars. E’ una catastrofe! Così come questo tuo vestito. Amore, ma cos’hai messo addosso? La tenda della vecchia casa della tua nonnina?” Philip sembrava disperato, ma appariva anche piuttosto buffo in quella drammatica disperazione, mentre contemplava il lungo vestito bianco che Aria indossava. Era piuttosto teatrale.

Aria guardò subito Ezra preoccupata. “Philip, e, non c’è un modo, un modo per risolvere la situazione. Magari scrivere un nuovo articolo sul blog, in cui spiega che è stata hackerata, o qualcosa di simile?” chiese Ezra.

“Ezra, tu sei tanto bello quanto ingenuo. La tua cara mogliettina è in pratica sparita nel nulla da più di un mese, non risponde alle mie chiamate, e ha saltato tutte le date previste per questo mese per il tour del libro. I suoi lettori erano già in rivolta. Ora ci si è messo questo pirata informatico. Secondo te potranno minimamente credere a due parole messe in fila sul blog? Ma per piacere Philip era convinto di ciò che diceva.

“Ha ragione, io…Non è davvero il momento di lasciare” spiegò Aria.

Philip lo guardò sconvolta. “Tu…Volevi…Annullare…Il tour?” chiese con voce lenta e sconvolta.

“S-Sì, beh, cioè, era, era un’ipotesi perché sto avendo, s-sto avendo un sacco di problemi familiari, per questo. Ma ora, ora non penso di poterlo fare” rispose Aria estremamente a disagio.

“Esatto mia cara. Tu non puoi minimamente annullare il tour. Noi tre ora, risolveremo questa situazione, dopodiché riprenderai il tour e farai le date che hai saltato nelle ultime cinque librerie dove dovevi essere ospite questo mese, e continuerai il tour per tutti i prossimi cinque mesi. Se non riacquisti subito credibilità e recuperi i tuoi lettori, puoi dire addio alla tua carriera da scrittrice, lo sai vero?” precisò Philip convinto.

Aria capì che l’uomo aveva ragione. Se voleva salvare il suo futuro e la sua carriera, doveva fare qualcosa. Non poteva annullare il tour. Non poteva più sparire. Doveva salvare la sua reputazione e riacquistare quella credibilità che oramai era svanita a causa dello stalker.

“Okay…Okay, facciamolo. Salviamo la mia carriera rispose Aria alquanto agguerrita.

A casa Hastings, intanto, Emily, Alison, Hanna, Mona, Caleb, Spencer e Toby, erano tutti seduti insieme nel granaio. Caleb e Toby erano gli unici con due facce piuttosto perplesse.

“Quindi, fatemi capire bene. E’ da più di un mese che siete state prese di mira da un altro stalker più folle di tutti i precedenti, e avete pensato di tenercelo nascosto fino ad ora?” intervenne Caleb alquanto furioso.

Caleb, era meglio così. Inizialmente stavamo affrontando solo il fattaccio di Addison, le foto che le avevano trovato. Sembrava un caso destinato a concludersi presto, quindi non volevamo allarmarvi” spiegò Hanna.

“Ma poi abbiamo capito che c’era ben altro dietro questa storia. E che probabilmente c’entrano i nostri genitori, o almeno una parte” intervenne Alison.

“E non vi abbiamo detto più nulla perché volevamo tenervi al sicuro. Questo folle, chiunque sia, ci ha fatto capire che non scherza. Questa volta non è un gioco. Avete sentito cosa ha combinato anche ad Aria? Le ha in pratica distrutto la carriera, e ora sta cercando di recuperare ciò che rimane del suo futuro” precisò Spencer.

“Non sta a voi decidere se dircelo o meno! Meritavamo di saperlo” intervenne Toby anch’esso furioso.

Mona di colpo si alzò “Va bene, va bene. Siete incavolati, ok. Però adesso che lo sapete, possiamo concentrarci sul problema, e lasciare stare i drammi, per favore?” chiese tentando di assumere il comando.

“E’ sempre un piacere rivederti Mona” rispose Spencer in modo alquanto sarcastico e mandandole una frecciatina. Mona le sorrise, anch’essa ironica.

“Anche per me Spencer” rispose diretta.

“Ero sarcastica” rispose Spencer.

“Anch’io” rispose Mona.

Le due rimasero a fissarsi per pochi secondi. Sembravano ammirarsi ma anche odiarsi a vicenda, e adoravano questa cosa.

“Quindi, ricapitoliamo: Addison è stata rapita da qualcuno. Probabilmente una ragazza. La stessa ragazza che ha avvicinato Addison facendola poi allontanare dal suo gruppo” continuò Spencer.

“Esatto. Claire ha aiutato questa persona a rapire Addison, inconsapevole del piano. E ora lo stalker se la sta prendendo con noi probabilmente per qualcosa che combinarono i nostri genitori, cioè, i vostri” spiegò Emily guardando Hanna e Alison.

“C’era anche un terzo uomo a detta del tizio del campo, che tra l’altro è diventato un barbecue umano” intervenne Hanna con la sua solita e immancabile ironia.

“Hanna” rispose Emily.

“Cosa Emily? Che c’è? Ragazze, questo pazzo non è un passo avanti a noi, ma dieci! Ogni volta che troviamo qualcuno disposto a dire la verità, o sparisce o viene ucciso. La mamma di Addison, il padre di Roger, il tizio del campo estivo. E’ inutile. Non riusciremo mai a capirci qualcosa fin quando questo stalker giocherà d’anticipo facendo sparire tutti e minacciando tutti quelli che sanno!” Hanna era sbottata in modo alquanto agitato.

Tutti la guardarono  consapevoli del fatto che avesse ragione.

“Hanna, qualcuno che sa e che è ancora vivo, c’è. Tuo padre” intervenne Spencer.

“E anche il mio, se si decide a rispondere alle mie chiamate o a tornare in città” spiegò Alison.

“Quindi dobbiamo credere che questo folle se la sta prendendo con noi perché i nostri padri hanno ucciso Roger?” chiese Hanna cercando di rendere convincente la cosa dentro di se.

“E’ l’unica spiegazione. E probabilmente hanno, hanno ucciso Addison perché stava scoprendo la verità riguardo alla sparizione del fratellino” intervenne Emily.

Alison si portò le mani alla testa, in segno di stanchezza “E’ tutto così assurdo…Perché, perché mio padre, o il suo, dovrebbero uccidere un bambino innocente? Che cosa avrebbe potuto fare di male un bambino di soli 9 anni? Capisco che non siano mai stati i padri modello, ma, addirittura uccidere due ragazzini? Davvero vogliamo credere questo?” intervenne Alison sperando di avere il supporto di qualcuno di loro.

“Ali, magari tuo padre non c’entra nulla, come potrebbe c’entrare tanto. Ma fino a quando non riusciremo a parlare con lui, potrai rimanere solo con questo dubbio” intervenne Emily tentando di tranquillizzarla.

“Dobbiamo anche scoprire chi fosse la terza persona che era insieme a mio padre e al signor DiLaurentis” intervenne Hanna.

“Magari scopriamo che è un altro dei nostri genitori. Piuttosto, pensate che tutti i nostri genitori sappiano di questa storia?” chiese Spencer.

Non credo. Mia madre sembrava davvero all’oscuro di tutto quando le ho chiesto di Roger” rispose Hanna sicura delle sue parole.

“Scusate se…Se chiedo qualcosa che forse non c’entra, ma, avete, avete pensato anche a Melissa?” intervenne Toby, alzando la mano come se fossero a scuola. Tutti si zittirono. Spencer lo fissò intensamente. Calò il gelo più assoluto.

“Sì, ci abbiamo pensato rispose Spencer tagliando subito corto.

“Spence, devi andare a trovare Mary. E lo sai. Abbiamo aspettato affinché ti sentissi pronta, ma ora non puoi più tirarti indietro. Ricordiamoci che Addison indossava i vestiti di tua sorella quando fu ritrovata. E che tua sorella forse gironzola per le strade di Rosewood. Deve esserci per forza un collegamento, e forse Mary può chiarirti questi dubbi” intervenne Hanna.

“Senza contare che Lucas disse a Hanna che Addison per un po’ di tempo ha collaborato con Melissa“ intervenne Emily.

Spencer capì di non avere scelta. Doveva andare a trovare sua madre Mary in carcere. Doveva confrontarsi con lei. Doveva scoprire la verità. La giovane Hastings sentì lo sguardo di tutti su di lei. Si sentì quasi a disagio.

“Ok…Ok, lo, lo farò. Andrò a trovare Mary” rispose secca, abbassando lo sguardo.

“Io tornerò a trovare mio padre. Lo costringerò a dirmi la verità” intervenne Hanna.

“Io ed Emily andremo a trovare Willa. Dobbiamo sapere come sta. Lo stalker ha preso di mira anche lei. Non me lo perdonerei se le succedesse qualcosa di male. Avevo promesso di proteggere Claire, e ora si trova dietro le sbarre” intervenne Alison sentendosi in colpa, mentre tutti si alzavano in piedi pronti ad agire.

“Quindi tra voi due, è…E’ tutto come prima?” chiese Hanna all’indirizzo di Ali ed Emily, curiosa di capire.

Le due non risposero, ma si limitarono a sorridere. Un sorriso complice e pieno d’amore.

“Era ora” intervenne Spencer sorridente.

“Già, a tal proposito, Spence, dovresti, dovresti cambiare le lenzuola” rispose Emily un po’ imbarazzata.

Alison abbassò lo sguardo totalmente a disagio. Hanna sorrise sotto i baffi, così come tutti gli altri.

Che schifo. Ok, faccio finta di niente. Andiamo!” concluse Spencer piuttosto buffa.

“Io vengo con voi Ali” intervenne Mona. Hanna si stranì a questa sua risposta.

“Io proverò a entrare nel sito della polizia per vedere se hanno scoperto qualcosa che non sappiamo” spiegò Caleb.

“Ti darò una mano” rispose Toby.

Mentre tutti si apprestavano ad andare via, i telefoni di Alison, Emily, Hanna e Spencer, squillarono all’unisono. Tutti si fermarono di colpo. Capirono che era un sms dello stalker. Mentre le ragazze tiravano fuori i cellulari, Toby e Caleb, così come Mona, apparivano agitati.

“Che cosa dice?” chiese subito Caleb mentre le ragazze si apprestavano ad aprire l’sms.

“Ho davvero voglia di un bel ballo stasera. Vestitevi e venite a cercarmi, altrimenti la povera Willa si farà un bel ballo sotto terra, insieme ai vermi. A stasera ex alunne.”, lo lesse Spencer.

“Parla del ballo degli ex alunni. E’ staseraesclamò Emily rabbrividendo.

“Vuole che giochiamo” esclamò Hanna.

“Farà del male a Willa se non ci presentiamo tutte insieme” rispose Alison.

Spencer sbuffò, capendo cosa dovevano fare.

“Bene, quindi stasera si ritorna al liceo?” intervenne Mona, capendo di dover andare tutti al ballo.

SIGLA.

Al liceo, invece, era ancora molto presto. Non c’era nessuno nell’edificio. Le porte della scuola però si aprirono, ed entrò Willa. Zaino in spalla e due occhi davvero tanto assonnati. Segno che aveva dormito poco. Quell’assordante silenzio che perseverava nei corridoi, le fece accapponare la pelle. Fece un respiro e si diresse al suo armadietto. Mentre era intenta ad aprirlo, sentì dei rumori provenienti dall’aula di matematica, posta proprio dietro di lei. Si voltò di colpo e si guardò attorno facendo roteare la testa come una forsennata.

“Chi c’è? C’è qualcuno? Hadley? Ava?” chiese subito la bionda. Ma nessuno le rispose. Tornò quindi con gli occhi sul lucchetto dell’armadietto, ma i rumori provenienti dall’aula di matematica la interruppero nuovamente. Non appena si voltò, vide un qualcuno vestito di nero aprire l’aula di matematica. Qualcuno che era dentro, stava uscendo dall’aula.

Il sangue di Willa si gelò. Rimase pietrificata. Ma dall’aula uscì uno dei bidelli. Un vecchietto sui 60 anni, molto simpatico. Willa subito si calmò.

“Ehi piccoletta, va tutto bene? Ti vedo un pochino scossa” chiese l’uomo mentre portava fuori dall’aula un secchio della spazzatura piuttosto grande e su quattro ruote. Stava facendo le pulizie mattutine.

“S-Signor Gills, sì, tutto bene, g-grazie rispose Willa tirando un sospiro di sollievo.

“Sei arrivata presto stamattina, eh?” chiese l’uomo mentre si allontanava con il carrello.

“S-Sì, sì. Stasera c’è il ballo degli ex alunni quindi sono arrivata presto per finire gli addobbi” rispose Willa.

“Fai bene, stasera ci sarà un sacco di gente, ciao tesoro” concluse l’uomo girando l’angolo e scomparendo.

Willa quindi aprì l’armadietto e prese alcuni libri da lì. Poi lo richiuse e si diresse verso una bacheca di annunci. Mentre si avvicinò, le squillò il telefono. Rabbrividì a quel suono. Si fermò di fronte la bacheca e tirò fuori il telefono. Purtroppo era quello che si aspettava. Un sms dello stalker. “Credi di farla franca? Spero ti strozzi alla mensa, o chissà, magari ti metto io le mani al collo. Stai in allerta stronzetta”, un messaggio piuttosto forte e cattivo.

Willa appari terrorizzata. Iniziò a tremare. Stava per avere un crollo, una crisi. Mentre stava succedendo, nell’edificio entrarono Emily, Alison e Mona e assistettero a tutto. Willa cacciò fuori un urlo di paura, e scaraventò via la bacheca accanto a se, distruggendola. Le tre subito raggiunsero la ragazzina.

“Ehi Willa, che ti succede, come stai?” chiese subito Mona visibilmente preoccupata.

“Da quando conosci Willa, perdonami?” chiese Emily.

“E’ mia cugina. Willa, allora? Come stai?” continuò Mona tentando di far calmare Willa, mentre Alison ed Emily la guardarono piuttosto perplesse.

Più tardi, al cimitero, Spencer si stava addentrando, e si stava dirigendo verso la lapide del padre. Camminava lenta e pensierosa. Arrivata di fronte la lapide, gli sorrise. “Ciao papà”. Quindi si sedette lì sull’erbetta, di fronte la lapide. La fissò sorridente un po’ emozionata. “…Come stai? Io, un po’ meglio. Cerco di mascherare il tutto, però, fa male. Fa ancora tanto male” iniziò a raccontare la ragazza.

Poi rimase fissa a guardare quella lapide. Quella triste e gelida lapide con il nome di suo padre sopra. “…Sai, oggi, devo, devo andare a trovare Mary. In carcere. Non la vedo da quasi due anni, e sono, sono letteralmente terrorizzata. Non saprei nemmeno cosa dirle, da dove cominciare” continuava a spiegare. I suoi occhi iniziarono a riempirsi di lacrime. “…Soprattutto ho, ho paura che mi possa dir qualcosa, riguardo, riguardo te. E’ chiaro che il signor Marin e il signor DiLaurentis c’entrano qualcosa in tutta questa faccenda. E tu, tu mi hai scritto quella lettera. Mi hai scritto del padre di Ali, e ora, ho paura. Ho paura che possa scoprire qualcosa su di te. Qualcosa che possa, che possa rovinare il buon ricordo che ero riuscita a conservare di te nei tuoi ultimi momenti…” Spencer guardava fissa la lapide, con la voce piena di paura.

“…Mi chiedo, e se tu fossi il terzo uomo che era con il padre di Ali e di Hanna quel giorno. Se tu c’entrassi anche con la morte di quel bambino e quella di Addison? Come, come la prenderò? Come, c-come potrò reagire a questa ennesima delusione? Non potrei nemmeno urlarti contro perché ormai, o-rmai sei morto, e…E non so davvero che cosa fare…”

Mentre parlava, era ignara del fatto che alle sue spalle si stava avvicinando qualcuno. Era un uomo vestito con jeans neri e maglietta nera. Teneva in mano un mazzo di fiori di mille cori e di varie forme. Si stava avvicinando sempre di più.

“…Vorrei tanto che fossi qui a dirmi la verità. A dirmi se magari tu sai qualcosa, ma, ma non puoi. Non puoi dirmi niente perché non ci sei più. E ho tanta paura, davvero tantaconcluse Spencer, mentre tentava di asciugarsi le lacrime.

“Ehi Spencer”, la voce subito familiare di questa persona in piedi, fece rabbrividire Spencer. La donna alzò lo sguardo. Il sole la accecò un attimo, ma poco dopo riuscì a vedere il volto di quell’uomo. Il suo inconfondibile accento inglese lo fece riconoscere all’istante. Era Wren. Barba più lunga, capelli arruffati, stava lì, con il suo irresistibile sorriso e con un mazzo di fiori in mano.

Spencer si alzò all’istante “Wren?” esclamò lei piuttosto incredula.

Wren continuò a sorriderle “E’ bello rivederti” rispose lui in totale tranquillità.

Nel frattempo, fuori Rosewood, in un vecchio capanno abbandonato, lo stesso in cui lo stalker e Claire portarono Addison quella famosa notte, la porta di questo capanno fu distrutta dal calcio di un poliziotto. Una decina di poliziotti entrarono armati nel capanno con le pistole puntate, e iniziarono a perlustrarlo. Alla fine, entrò anche  il detective Davis, mentre stava al telefono con il tenente Tanner.

“Tenente Tanner? Sì, finalmente lo abbiamo trovato. Combacia perfettamente con la descrizione della signorina Varlac. E’ il posto dove hanno tenuto prigioniera Addison Derringer…Sì, sì certo, certo le farò sapere se troviamo qualcosa. Stia tranquilla…Ok, ok, perfettol’uomo finì di parlare al telefono mentre si guardava intorno sperando di trovare qualcosa.

“…Signore, abbiamo trovato uno scantinato. Probabilmente la vittima veniva tenuta qui” intervenne poi uno degli agenti. Il detective quindi si avvicinò alla porticina che dava sullo scantinato. Lo guardò quasi estasiato. Era contento di aver fatto un passo avanti nelle indagini.

“…Grazie Claire Varlac” esclamò tra se e se, e si apprestò a scendere.

E proprio Claire, nel carcere minorile di Philadelphia, era appena uscita nell’area, all’aperto. Indossava una tuta arancione, e aveva un occhio nero. Il giardino era recintato da una grande rete metallica alta parecchi metri. Nell’aerea c’erano molte ragazze. Chi si dilettava con la pittura, chi suonava, ci giocava a calcio. Sembravano tutte tranquille, ma a giudicare dall’occhio nero di Claire, forse non era del tutto vero.

La giovane andò a sedersi a un tavolo accanto ad una delle detenute. Una dolce ragazza dai capelli rossi e viso angelico che era intenta a disegnare. Claire si sedette e si accasciò sul tavolo con la testa bassa. La ragazza con i capelli rossi si fermò, e la fissò.

“Ehi, va tutto bene?” chiese la giovane, un po’ intimidita.

Claire alzò lo sguardo e scoprì il suo occhio nero. “Ho passato giorni migliori” rispose.

La ragazza dai capelli rossi non rimase sorpresa da quell’occhio nero. “Sono state Melanie e la sua banda, non è vero? In pratica torturano chiunque non gli stia a genio qui dentro, o chi è nuovo. E’ successo anche a me quando sono arrivata qua. Ma a un certo punto si stuferanno, fidatila ragazza sembrava molto dolce e gentile, e ciò spinse Claire a non stare più sulla difensiva.

“Speriamo che sia così” rispose la giovane Varlac. “…Sei l’unica qui dentro che mi parla da quando sono arrivata, quindi, grazie Brittany” continuò sorridendole sincera. La ragazza con i capelli rossi non ricambiò, ma le sorrise.

“Mi piace stare con te. Mi piace imparare il linguaggio di voi, ehm, voi…” rispose la giovane un po’ a disagio.

“Di noi persone affette da sordità. Puoi dirlo. Non è una parolaccia. Ci convivo sin da quando ero bambina” rispose Claire, parlando anche a gesti. I gesti usati dai non udenti, e mostrandole l’apparecchio attaccato al suo orecchio.

 “Ma non hai ancora trovato nessuna attività da quando sei qui?” chiese questa Brittany.

“No, non ho ancora trovato nulla che mi affascini particolarmente, a parte la matematica” rispose Claire un po’ annoiata.

“Ma hai davvero rapito e ucciso la tua compagna?” questa Brittany sembrava piuttosto strana. Aveva la capacità di cambiare discorso in un attimo. Claire la guardò un po’ sconvolta.

“Ma tu solitamente te ne esci con queste domande con i tuoi amici?” chiese Claire.

“No, è che, sai, non si parla d’altro qui dentro, e volevo chiedertelo da giorni” rispose Brittany.

Claire la fissò attentamente “No, non ho ucciso nessuno. Semplicemente sono stata ingannata e ho aiutato a fare qualcosa che non dovevo fare. Ma non l’ho uccisa io. Certo che il modo in cui il pettegolezzo s’ingigantisce è impressionante” rispose la giovane.

“Comunque, ti piace?” chiese poi Brittany porgendole il suo disegno. Claire lo prese in mano. Era un disegno alquanto inquietante, che raffigurava un enorme burrone nero, quasi come se fosse un burrone senza fine, in una strada di campagna, e una tempesta imminente in cielo. Lo si notava dal cielo nero disegno, e i fulmini di colore giallo, che lo squarciavano. Era però disegnato molto bene, e con estrema cura, soprattutto dei piccoli dettagli. Brittany era molto brava.

“Wow complimenti. Sei davvero brava!” esclamò Claire mentre non riusciva a distogliere lo sguardo dal disegno. Qualcosa la teneva incollata con gli occhi lì sopra.

“Grazie! Ho sempre amato disegnare” rispose Brittany riprendendoselo in mano.

Claire però non glielo diede. Lo tenne tra le mani, stretto, come se non volesse lasciarlo andare. E continuò a fissarlo. Probabilmente perché quel disegno stava innescando in lei quando di particolare. Di colpo nella mente di Claire partirono una serie di flashback, spezzati, insensati. Prima vide se stessa uscire da quel famoso capanno la notte della scomparsa di Addison. Dopodiché si vide allontanarsi sotto la pioggia, ma vide qualcos’altro…Vide se stessa nascosta dietro una siepe. Vide se stessa vedere la persona mascherata uscire dal capanno, ed era intenta a levare l’inquietante maschera da neonato. E ancora vide se stessa cadere in un burrone…Poi improvvisamente tornò al presente a causa di un spintone di Brittany.

“Ehi, Claire, ma ci sei?!” tuonò la giovane Brittany. Claire subito lasciò andare il foglio. Aveva ricordato qualcosa. Un dettaglio davvero importante riguardo quella notte. Un dettaglio che fino ad allora aveva totalmente rimosso dalla sua mente e dai suoi ricordi. Quel disegno le aveva fatto venire in mente tutto.

“S-Scusa Brittany, scusa, d-devo, devo rientrare, ci vediamo dopo in mensa, ciao!” Claire terminò in fretta il discorso e rientrò dall’area, ansiosa di condividere ciò che aveva ricordato con qualcuno in particolare.

“Ok, a dopo” rispose Brittany con i suoi modi strani e prese un altro foglio bianco, e ricominciò a disegnare.

Nel frattempo, nel carcere della contea, Hanna era seduta nella sala d’attesa. Stava aspettando il suo turno per entrare a colloquio con suo padre. Era piuttosto impaziente. Continuava a ticchettare sull’asfalto con le scarpe, ansiosa come non mai. Uscì poi una delle guardie. Un uomo un po’ robusto. Si guardò intorno, e quando vide Hanna, si diresse verso di lei.

“Signora Rivers?” ruggì l’uomo piuttosto scorbutico.

Hanna alzò lo sguardo. “Sì? Posso entrare?” chiese lei alzandosi subito in piedi.

“No, mi spiace. Il colloquio con suo padre salta oggi” rispose la guardia, senza dire altro, e fece per andarsene.

“Ehi, un momento! Perché salta? Che cosa è successo?” chiese subito Hanna un po’ incavolata.

“Problemi con il detenuto. Meglio che non lo sappia” rispose la guardia. Hanna lo fermò nuovamente prendendolo da un braccio.

“La prego, mi dica cos’è successo. Posso sopportarlo” rispose lei decisa.

L’uomo quindi fece un sospiro “Questa mattina, nelle docce, è stato, è stato aggredito. Un gruppo di detenuti l’ha preso di spalle e lo hanno picchiato. Ha riportato alcune fratture alle costole, ed è stato portato in ospedale per degli accertamenti, ma nulla di gravela tranquillò la guardia.

Hanna apparve alquanto spaventata “Ma, ma si sa perché l’hanno fatto?” chiese.

“Non ancora, ma purtroppo succede quando vengono arrestati degli assassini. Soprattutto quando gli omicidi riguardano dei ragazzi giovani. I detenuti sono, diciamo, irascibili rispose la guardia.

“Ma, ma…” Hanna non sapeva cos’altro dire.

“Le conviene tornare a casa. Abbiamo già avvisato la famiglia di suo padre. Appena tornerà qui da noi, lo saprà anche lei. Fino ad allora non possiamo fare nulla, mi dispiaceconcluse la guardia, che quindi se ne andò, lasciando Hanna lì da sola, e preoccupata come non mai.

A casa Fitz-Montgomery, Aria era seduta al tavolo nel salotto, occhiali da vista ancora sul naso, e accanto a lei ci stava Philip, con il suo tablet in mano, mentre leggeva un nuovo articolo pubblicato da Aria in persona sul blog. Intanto sul divano, Ezra stava giocando con il piccolo Byron, che rideva divertito. Aria si stava mangiucchiando le mani, era piuttosto ansiosa mentre aspettava una risposta di Philip.

Philip finì quindi di leggerlo, fece un sospiro e posò il tablet sul tavolo, levando gli occhiali da vista. Aria capì che stava per dire la sua, ma non riuscì a trattenersi dal chiedere lei stessa un parere.

“Allora? Che te ne pare?” chiese speranzosa.

Philip alzò lo sguardo e lo poso su Aria. La guardò intensamente. Aria lo vedeva piuttosto tranquillo, il che faceva presagire qualcosa di buono. “E’…Orribile. Imbarazzante. Mai visto un articolo così brutto” l’uomo sbottò di colpo, alzandosi in piedi e senza trattenersi. Ezra e Aria rimasero di sasso.

“Non pensi di essere un po’ troppo rude, Philip?” intervenne Ezra notando lo stato quasi disperato della moglie.

“No, riccioli d’oro, è un articolo senza sentimento. L’ha scritto solamente per provare a raccattare i suoi vecchi lettori. Non ci ha messo il cuore. Si vede che lo ha scritto perché doveva scrivere qualcosa per rimediare al casino. Nessuno le crederà!” spiegò Philip convinto delle sue parole e iniziando ad alzare la voce.

“Ma allora cosa dovrebbe fare? Lasciare tutto? Lasciare che delle falsità e un pazzo le rovinino la carriera?” ruggì Ezra anch’esso piuttosto adirato. Il piccolo Byron iniziò a piangere.

Smettetela, così spaventate Byron” intervenne di colpo Aria, alzandosi e andando a prendere in braccio Byron. Si voltò verso Philip, e posò gli occhi su di lui, sembrava molto seria, ma anche sul punto di piangere. “…Philip, io lavoro con te da quasi due anni. Sei un manager in gamba, fidato, forte. Hai usato tutte le tue critiche per rendermi più forte e convinta delle mie capacità, e ci sei riuscito. Siamo riusciti a creare un vero e proprio best seller che ha sposato ovunque in America. Mi hai sempre sostenuto durante il mio percorso, anche quando inizialmente il libro non vendeva molto. Sei riuscito a spronarmi, a non farmi gettare la spugna. E di questo ti ringrazierò sempre” spiegò la donna.

“Aria, sembra quasi un discorso d’addio, che stai dicendo?” chiese Ezra.

“Sto dicendo che lascio. E’ inutile, non posso fare niente per risolvere la situazione! Oramai tutti pensano che sia una bugiarda, che mi sia presa gioco dei miei lettori solo per avere popolarità e soldi. Quando ti marchiano in un modo spietato come questo, è la fine. Non puoi far nulla per rimediare. Chiunque abbia fatto questo, ha vinto. Ha vinto…Quindi, grazie di tutto Philip” Aria era arrivata al limite. I suoi occhi erano lucidi.

Philip rimase piuttosto scosso dalla reazione della donna. Aria cercò di ricomporsi e dopodiché si diresse al piano di sopra insieme al piccolo Byron. Ezra subito fece per seguirlo, ma Philip lo prese da un braccio, fermandolo.

“Aspetta bell’imbusto, voglio parlarci io” esclamò Philip più serio, e si avviò anch’esso al piano di sopra.

Ezra lo lasciò fare, sperando che questa volta usasse le parole giuste che potessero spronare Aria.

Contemporaneamente, Spencer e Wren erano seduti ai tavolini all’aperto del Brew, mentre sorseggiavano un caffè caldo.

“Quando sei uscito di galera?” stava chiedendo Spencer.

“Praticamente ieri. C’è stato un processo lungo per decidere cosa fare, e poiché tutti sapevano che avevo agito per legittima difesa, per salvare te, e vista la mia buona condotta in quest’anno e mezzo, sono stato finalmente rilasciato. Mi sono fermato a Rosewood giusto per comprare dei fiori, stavo, stavo andando a Bryn Mawr a trovare Bethany, al cimitero, quando ti ho vista, non ho potuto fare a meno di fermarmi” raccontò Wren.

Spencer era quasi incredula nel vederlo lì di fronte a lei. Era come se tutto ciò che successe in quella casa delle bambole, fosse tornato di nuovo a galla prepotentemente. Bethany…Caspita, è passato così tanto tempo” rispose la giovane.

“Già…A proposito, mi spiace per la tua perdita, davvero rispose lui con la sua solita galanteria.

“Ti ringrazio” replicò Spencer sorridendogli.

“E dimmi, che si dice di nuovo in questa città?” chiese Wren curioso cercando di smorzare quella leggera tristezza dal volto di Spencer.

“Beh, penso tu abbia avuto il televisore quando eri in galera, no? Quindi sai cosa sta succedendo. E’ la solita vecchia Rosewood, omicidi irrisolti e assassini a piede libero” rispose lei con ironia e accennando un sorriso.

“Sì, ho visto qualcosa. Ma come mai tu sei in città? Avevo saputo che oramai ti eri trasferita a Los Angeles e lavorassi lì, o sbaglio?” chiese lui curioso.

Lunga storia. Diciamo che quando parlo della solita vecchia Rosewood, intendo anche stalker misteriosi che mandano sms misteriosi” continuò lei abbassando di più la voce e diventando più seria.

Wren sbarrò gli occhi incredulo “Sta…Sta succedendo di nuovo? Veramente?” chiese a voce bassa.

“Sì, ma, non prendertela Wren, ma non voglio parlarne più di tanto, soprattutto…Con, con te replicò lei piuttosto diretta.

Wren capì la situazione. “Oh, sì, certo. Capisco rispose sentendosi un po’ offeso.

Wren, non puoi biasimarmi. In pratica hai costruito una bugia intorno a te sin dal primo momento che ti ho conosciuto. Hai tentato di avvisarmi alla fine, e hai subito le pene dell’inferno per questo, lo so bene, e non lo dimenticherò mai, ci hai letteralmente salvato la vita, però in questo momento sono poche le persone di cui mi fido, soprattutto dopo, dopo…” Spencer non riusciva a parlarne.

“Dopo Melissa, lo so. Lo comprendo, e non ti biasimo. Se ripenso al passato, avrei voluto dirti tante volte chi fossi, cosa facevo a Rosewood, ma più passava il tempo senza che dicessi nulla, più svaniva il mio coraggio nel dirti tutto, e quando ero pronto a dirti ogni cosa, la tua pazza sorella mi ha rinchiuso nella sua casetta delle bambole versione horror” ricordò Wren cercando di parlarne con ironia.

“Come fai a scherzarci sopra? Io, io ho ancora gli incubi se ci penso. Tu sei stato suo prigioniero per un anno, e ne parli con una tale tranquillità” chiese Spencer curiosa di capire.

“Spence, quello che mi è capitato, che è capitato a te, è stato terribile, davvero terribile. Ma siamo vivi, siamo vivi e stiamo bene, ed è quello che conta. Quindi, piuttosto che farmi divorare dalla paura e dal ricordo di quello che successe, ho deciso di riderci su. Dopo tutto quello che ho passato, ho capito che la vita è troppo breve per viverla nella paura. La paura ti distrugge pezzo dopo pezzo Wren parlava in modo abbastanza saggio, e Spencer lo ascoltava quasi estasiata.

“Quindi…Quindi cosa consiglieresti ad una donna che ha troppa paura di rivedere la sua madre biologica?” chiese lei, ovviamente alludendo alla sua situazione.

Wren la guardò come se volesse studiarla, capirla. “Le consiglierei di non avere paura, di andare da lei, e di guardarla dritta in faccia, consapevole del fatto che ha vinto. E’ ancora viva, e sta bene….Tu stai bene” specificò lui alla fine.

Spencer sorrise. “Era una situazione ipotetica” rispose lei fingendo che parlasse d’altro, ma entrambi sapevano che stava parlando di lei e Mary Drake. Si sorrisero a vicenda. La sintonia che li aveva sempre uniti, non era sparita, nemmeno dopo tutto quel tempo.

Più tardi, a casa DiLaurentis, Alison era in camera da letto mentre controllava le sue bambine intente a dormire nelle loro culle. Le ammirava, per quanto fossero belle. Quindi uscì dalla camera da letto e raggiunse il salotto, dove erano sedute Mona, Emily e una Willa un po’ più calma. Alison si sedette di fronte a loro, sulla poltrona.

“Perché non ci hai detto che tu e Willa eravate imparentate?” chiese Emily all’indirizzo di Mona, e piuttosto agguerrita.

“Perché non pensavo fosse importante per voi saperlo. Ve lo avrei detto a tempo debito. Non ci siamo mai viste fino a qualche giorno fa. E’ figlia della sorella di mio padre. Willa non stava avendo nessun problema. Quando mi avete detto quello che ha rivelato, e del fatto che lo stalker l’aveva presa di mira, ho deciso di ricercarla, e le ho spiegato che sapevo ogni cosa, e che l’avrei protetta specificò Mona con tono alquanto sincero.

“E’…E’ vero, ha ragione. E’ stata una sorpresa anche per me rivederla” intervenne Willa.

“Quindi cosa decidiamo di fare? Andremo a questo stupido ballo?” chiese Alison un po’ scocciata.

“E’ l’unica soluzione. Se non andiamo, questo pazzo potrebbe farle del male. Se siamo al ballo, sarà impegnato con noi, e lascerà stare Willa” rispose Mona.

“Comunque, i-io, io apprezzo il vostro aiuto, solo che, non capisco, p-perché questo pazzo se la sta prendendo anche con voi due e le vostre amiche? Capisco me, ma voi?” chiese poi Willa piuttosto confusa.

“E’ quello che stiamo cercando di capire” rispose Alison.

“Mona, notizie da Hanna?” chiese poi Emily.

Non ancora. Io direi di prepararci, mettere su un bel vestito e andare al ballo. Se andiamo tutti insieme, magari con un po’ d’impegno riusciremo a catturare questo psicopatico” intervenne Mona.

Alison posò lo sguardo su sua moglie Emily. “Tu che ne pensi Em?” chiese.

Emily era anch’essa confusa, ma sapeva che era l’unica soluzione se vogliono provare a proteggere Willa. “Penso che dovremmo andare. Se non andiamo, ci si ritorcerà tutto contro, lo sappiamo rispose Emily convinta di ciò che diceva.

Nel granaio di casa Hastings, in serata, Caleb e Toby erano ancora di fronte al PC. Caleb tentava di smanettare, di hackerare, di provare a ottenere qualcosa d’interessante dai computer della polizia. A giudicare dagli sbadigli di Toby, seduto anche a Caleb, non avevano trovato nulla di buono, o magari non c’erano riusciti.

Caleb notò lo sbadiglio un po’ fastidioso di Toby, ma tentò di stare calmo.

“Caleb, ricordo male, o, o lavoravi in un centro informatico super attrezzato a New York?” chiese poi Toby stuzzicandolo un po’.

“Ci lavoro ancora, ero semplicemente in ferie. Perché me lo chiedi?” replicò Caleb stizzito.

“Perché siamo qui da ore, e non abbiamo scoperto nulla. Non sei nemmeno riuscito ad entrare nei computer della centrale” rispose Toby un po’ annoiato.

Caleb quasi lo fulminò con lo sguardo “E’ che è molto complicato! Hanno messo molta più sicurezza intorno ai computer dall’ultima volta che l’ho fatto” spiegò scocciato.

“Forse hanno capito di dover essere un po’ più intelligenti in questa città” ribatté Toby.

In quel preciso istante nel granaio entrò Spencer.

“Ehi ragazzi! Allora? Novità?” chiese la donna raggiungendoli.

“Non ancora. Caleb non riesce a entrare” precisò Toby.

Caleb tornò a fulminarlo con lo sguardo. “Quando sei diventato una spina nel fianco?” chiese un po’ incavolato.

“Lo sono sempre stato” provocò Toby.

“Ragazzi, fatela finita” rispose Spencer, mentre andò in cucina a versarsi un po’ di vino rosso.

“Tu piuttosto, sei andata a trovare…Mary?” chiese Toby un po’ titubante nel farle questa domanda.

Spencer si sedette sul divano e rimase zitta per un secondo. “No…O meglio, non devo andare oggi. Mi hanno fissato un colloquio per domattina” spiegò la donna.

Toby sorrise della cosa. “Brava, sono contento. Cosa ti ha fatto cambiare idea? Stamattina sembravi così contraria” chiese lui.

Spencer rimase a rifletterci e sorrise al pensiero di Wren “Diciamo, un vecchio amico” rispose Spencer.

La chiacchierata fu poi interrotta da Caleb. “Ragazzi, sono entrato! E ho trovato qualcosa! Guardate!” esclamò. Toby e Spencer subito si precipitarono di fronte al PC, quasi salendo addosso al povero Rivers.

“Cosa sono questi documenti?” chiese Spencer.

“E’ l’autopsia che hanno fatto sui resti di Roger. Okay, Roger Maxfields, di anni 9. Etnia europea, newyorkese, capelli rossi. Indossava una maglietta a quadri e un paio di jeans. Nei jeans è stata ritrovata della-“ Caleb non finì la frase.

“Droga? Ho letto bene?” chiese Toby incredulo.

“Sì, circa 10 grammi di droga risalente proprio a 16 anni fa” spiegò Caleb continuando a leggere.

“Quindi era già con Roger quando morì? Ma cosa diamine ci faceva un bambino di 9 anni con della droga in tasca?” chiese Spencer confusa.

“Forse la stava consegnando per qualcuno” rispose Toby.

“E’ possibile?” chiese Caleb.

“Ma sì…Sì, ricordo che a scuola studiammo qualcosa sull’argomento. Tanti anni fa a Rosewood c’era un traffico di droga non indifferente. E molti bambini venivano usati per scambi di droga” rispose Spencer.

“Ma perché usare dei bambini?” chiese Caleb.

“Per coprire le proprie tracce. Nessuno sospetterebbe che un bambino stia consegnando della droga” rispose Toby.

“E in questo modo gli spacciatori non venivano mai catturati” rispose Spencer.

“Pensate…Pensate che possa essere stato ucciso per questo?” chiese Caleb.

“Non lo so, ma cos’altro dice sulle cause della morte?” chiese Spencer.

Caleb tornò a leggere. “Nulla, solo quello che sappiamo. Morì annegato e fu poi seppellito. Non è facile ricavare molte informazioni su dei resti che stavano sotto terra da ben 16 anni, Spence” spiegò l’uomo.

I tre furono interrotti dall’arrivo di Hanna, e in seguito di, Mona, Alison ed Emily.

“Ben arrivate. Stavamo giusto leggendo l’autopsia di Roger, venite” spiegò Spencer.

“Ragazze, mio padre è in ospedale” intervenne subito Hanna, quasi sull’orlo del pianto.

“Pare che lo abbiano trovato questa mattina pestato a sangue da altri detenuti” intervenne Emily.

Caleb subito si alzò e andò dalla moglie. “Tesoro, mi dispiace tanto!” esclamò, e subito la strinse forte a se. Hanna si strinse a Caleb, come a voler protezione, mentre strinse gli occhi. Non voleva piangere.

“Basta! Questa situazione sta durando fin troppo. Dobbiamo mettere K.O. questo pazzo, chiunque esso sia” intervenne Mona con decisione. Intanto, Spencer si era messa al posto di Caleb e stava leggendo da se, quello che era riuscito a hackerare.

“Ali ed Emily mi spiegavano che è meglio andare al ballo, altrimenti lo stalker potrebbe far del male a Willa” replicò Hanna cercando di riprendersi.

“Penso sia la soluzione migliore. Se andiamo tutti insieme, magari abbiamo la possibilità di catturarlo” rispose Caleb.

“Quello che ho detto io. Mi emoziono ogni volta che tu ed io siamo d’accordo su qualcosa” rispose Mona ironica. Caleb accennò un sorriso un po’ forzato.

“So che Aria sta affrontando un momento difficile, ma qualcuno deve chiamarla e dirle del ballo. Deve esserci anche lei” intervenne Alison.

“Le telefono io” intervenne Emily, prendendo il telefono dalla tasca, e uscendo fuori dal granaio.

“Pensate che lo stalker abbia pagato i detenuti per picchiare il padre di Hanna?” chiese poi Alison.

“Non è da escludere nulla ormai. Ci avete detto che questo pazzo non si fa problemi a uccidere, quindi non mi sorprenderebbe” rispose Toby.

“Se, se i nostri padri c’entrano con la morte di Roger, e questa persona se la sta prendendo con noi per farla pagare a loro, è probabile che abbia pagato davvero i detenuti per provare a far fuori Tom Marin. Vuole farla pagare anche a chi ha ucciso Roger” rispose poi Alison dicendo il giusto.

 Intanto però, Spencer continuava a stare fuori dal mondo, attaccata al PC.

“Ancora però non sappiamo perché questo stalker debba voler così tanto vendicare la morte di Roger o di Addison. A che scopo? Cosa dovrebbe c’entrare con questa storia?” chiese Hanna alquanto confusa.

“Avete pensato al padre del bambino? Magari c’è lui dietro questa storia” chiese Toby.

“No, il signor Maxfields sembrava spaventato tanto quanto la signora Derringer, prima di sparire nel nulla” intervenne Spencer, degnandosi di partecipare anche lei alla conversazione, ma non distogliendo lo sguardo dallo schermo del computer.

“La visita a quella scuola d’arte è stata un buco nell’acqua, vero Spence?” chiese poi Hanna.

“Sì. Ci hanno solo parlato della storia di una ragazza un po’ folle che aggredì uno studente. Ma non penso fosse importante. In compenso ho incontrato un ragazzo davvero carino” rispose Spencer.

“Come scusa?” chiese subito Toby, mostrandosi geloso.

“Ragazzi, concentriamoci, per favore! Hanna, ricordi cosa ci disse il proprietario del campo estivo? Sul perché Roger fosse solo sul molo?” chiese Mona.

Hanna rimase a rifletterci, poi ebbe come un’illuminazione “Era da solo perché la persona che lo stava sorvegliando si allontanò, ma certo! Roger non era con i suoi genitori quel giorno sul lago, ma con un’altra persona” rispose Hanna quasi sorpresa.

“Potrebbe essere la stessa persona che ora vi sta torturando” rispose Caleb.

“Oh mio dio” Spencer esclamò queste tre semplici parole. Parole che attirarono l’attenzione di tutti. Tutti si precipitarono al computer, dietro di lei.

“Che c’è? Che hai trovato?” chiese Hanna.

Intanto rientrò anche Emily. “Aria non risponde. Cos’avete trovato?” chiese, unendosi al gruppo.

“E’…è stato hackerato anche il PC personale del detective Davis. Era, era collegato al sistema principale della centrale di polizia” spiegò Spencer.

“E allora? Non dirmi che abbiamo a che fare con un altro poliziotto corrotto, ti prego“ intervenne Hanna.

“No, ragazzi, leggete anche voi” rispose Spencer.

Tutti quindi posarono gli occhi sul PC, per leggere ciò che Spencer aveva trovato.

Intanto a casa Montgomery, Aria era chiusa nella sua camera da letto, con Byron che le dormiva accanto, rannicchiato a guscio sotto il suo braccio, mentre lei lo riempiva di dolci carezze in viso. Lo accarezzava con tanto amore, e lo guardava con occhi persi.

Bussarono alla porta. “Aria, posso entrare? Sono Philip” la voce dell’uomo arrivò da fuori.

“Se è per ricordarmi di nuovo che la mia carriera è finita, allora puoi anche evitare” rispose Aria.

“No, non sono salito per rimproverarti. Vengo in pace, promesso” rispose l’uomo.

Aria quindi si sedette, evitando di svegliare Byron. “Entra pure” aggiunse lei, rimanendo a braccia consorte e con il volto rivoltò all’insù, come a dover fare la parte dell’offesa, o probabilmente lo era davvero.

Philip entrò e si mise leggermente a ridere “Non ti riesce bene la parte dell’offesa, fidati di me” aggiunse l’uomo. Aria quindi si afflosciò su se stessa, e sbuffò. Philip le si sedette accanto.

“Ok, non sono offesa, ma triste sì. Philip, anche se odio i tuoi modi di dire le cose, hai, hai ragione. Quell’articolo di scuse era patetico, era finto. Non posso fare nulla per rimediare a questo disastro. L’unica alternativa è lasciare” aggiunse lei parecchio triste.

Philip la scrutò attentamente. “Sai, la prima volta che ti sei presentata nel mio ufficio, rimasi veramente sconvolto. Indossavi, un vestito leopardato super sgargiante, la matita incastrata nei capelli, e un paio di orecchini che sembravano due forchette. Mi chiesi, ma da dove è uscita questa pazza?” iniziò a raccontare l’uomo. Aria sorrise di fronte tale racconto. “…Poi iniziasti a parlare. Dicesti di essere una delle ragazze dello scandalo di Rosewood, dove questo folle stalker aveva tentato di rovinare la tua vita, e quella delle tue amiche. Rimasi ad ascoltarti. Ero incuriosito. Quando mi consegnasti la prima bozza del libro, lì in quel momento, capii’ ogni cosa” raccontava ancora l’uomo.

“Che cosa capisti?” chiese lei curiosa.

“Che tu sei nata per fare la scrittrice” rispose lui. Aria gli sorrise e abbassò lo sguardo.

“Non so se riesco a vedermi più come una scrittrice” rispose lei.

“E invece devi! Aria, sai perché ti spingo sempre oltre il limite? Sai perché ho tartassato te ed Ezra di chiamate in queste settimane? Non perché ero impaziente di incassare i soldi del tour, non perché con il tour potevamo incrementare le vendite, ma perché…Perché tu, ispiri la gente. Aria, con il tuo libro, tu sei riuscita ad aiutare un sacco di persone. Ragazzine, adulti. Persone che non ti conoscevano affatto, hanno fatto di te il loro punto di riferimento. Ragazze che venivano prese in giro a scuola, sono diventate più forti grazie alla tua storia, grazie al tuo libro. Io continuo a spingerti a fare meglio, perché so che puoi. So che tu non sei quella che ha scritto quest’ultimo articolo di scuse, brutto e finto. Tu sei altro. Sei quella donna che quando scrive, non lo fa solamente perché ha tanta fantasia e vuole scrivere un libro per diventare famosa. Tu ci metti il tuo cuore quando scrivi. Hai scritto quel libro col cuore. Ci hai messo tutta te stessa. Tu non scrivi per compiacere la tua voglia di scrivere. Tu scrivi per aiutare gli altri. Scrivi per cambiare il mondo e per rendere le persone, degli esseri umani migliori. Ed è questo che ho sempre ammirato di te. Il cuore. Un cuore grande che sei riuscita a mettere nel tuo libro. Ed è per questo che la gente ti ama. Tu…Tu devi mostrare il tuo cuore a questa gente. Devi aprirti nuovamente a loro come hai fatto con Pretty little Liars, e far capire loro che la loro scrittrice preferite non è quella balorda che ha tentato di rovinarti, ma che sei sempre tu. Che sarai sempre lì per loro, a scrivere per loro. Devi metterti a nudo per loro. Ed io so che tu puoi farcela”

Mentre Philip diceva tutte queste sublimi parole, il volto di Aria era cosparso di lacrime. Quelle erano parole meravigliose, che colpivano dritte al cuore. Non poteva rimanere indifferente di fronte questa carica che Philip le aveva dato.

“Non…N-Non pensavo che pensassi questo di me, sono davvero senza parole” aggiunse Aria tentando di riprendersi e asciugando le lacrime.

“Tesoro, ora non addolcirti troppo. E non dirlo in giro. Non sono così dolce nemmeno con mio marito” rispose l’uomo tentando anche di farla ridere, e, infatti, Aria iniziò a ridere di gusto. In quel momento sulla porta della camera apparve Ezra.

“Vedo che la conversazione è andata bene. Allora? Che hai deciso?” chiese Ezra.

Aria guardò entrambi con sguardo agguerrito. “Penso di aver capito cosa fare” rispose.

Pochi istanti dopo, i tre erano nel salotto. Aria era seduta al tavolo, posizione rigida e composta. Di fronte a lei, Ezra aveva posto una telecamera su di un’asta, e la stava programmando. Erano praticamente circondati da fili elettrici collegati alla telecamera.

“Ok, dimmi quando sei pronta, e faccio partire la registrazione” esclamò Ezra.

“L’idea del video è perfetta! La adoreranno!” esclamò Philip estasiato.

Aria si sistemò i capelli. Poi fece un bel respiro. Deglutì “Ok, ci sono, vai!”.

Ezra quindi fece partire la telecamera, che iniziò a registrare.

“Ciao America. Ciao miei cari lettori. Non so se usare cari sia appropriato visto ciò che è successo negli ultimi giorni. Ma sono comunque qui a parlare con voi. Sono qui a parlare con voi, non perché devo riabilitare la mia popolarità. Non perché ho paura che il mio libro non possa più vendere. Sono qui oggi, a parlare con voi, perché ho bisogno della vostra fiducia. Ho bisogno che mi crediate quando vi dico che sono stata presa di mira da qualcuno. Un codardo senza volto e senza nome che si è permesso di distruggere tutto ciò che avevo creato in quest’ultimo anno. E non parlo del mio successo, o degli incassi del libro, no. Parlo di voi. Parlo di voi splendidi esseri umani che vi siete fidati di me, e avete letto il mio libro, la mia storia. Io con il mio libro, non ho voluto solo aprirmi e raccontare di me e delle mie amiche. Io con questo libro, ho voluto ispirarvi. Ho voluto aiutarvi…”

Mentre Aria parlava di fronte quella telecamera, le sue parole, in cui parlava di persone molto familiari, facevano da sfondo a determinate situazioni. ”…Ho voluto aiutare quella ragazza studiosa e con gli occhiali che a scuola viene presa di mira dai bulli, a farle capire che andrà meglio e che non deve trasformarsi nella cosa di cui ha più paura per vendicarsi.” E intanto, le parole di Aria accompagnavano Mona, mentre era nella sua camera del Radley, intenta a sistemare i capelli di fronte lo specchio, mentre si preparava per il ballo degli ex alunni.

“…Ho voluto aiutare quella persona abbandonata dalla sua famiglia solo perché si sentiva diverso, a capire che chi non vi accetta, non vi merita. E che per una famiglia che non vi accetta, di sicuro ne troverete un’altra, anche degli amici, che vi accettano così come siete. E ho voluto aiutarvi, perché non dovete trasformarvi in qualcosa di oscuro, perché altrimenti, sarà la vostra fine…” E intanto queste altre parole di Aria facevano da sfondo a Wren, che era appena entrato nel cimitero di Rosewood con delle rose bianche in mano. Arrivò di fronte la lapide di Charlotte Drake, e dispose lì i fuori, guardando la lapide con un po’ di tristezza e malinconica, ma aggiungendo anche un timido sorriso.

“…Ho voluto aiutare quella ragazza che ha paura di dire ai suoi genitori di amare un’altra ragazza come lei. Magari perché ha dei genitori un po’ all’antica. Ho voluto aiutarla facendole capire che non deve mai vergognarsi di essere se stessa e di amare chi vuole amare, perché l’amore è il motore di tutto in questa vita…” E su queste parole, Emily era in camera da letto, a casa sua e di Alison, mentre di fronte lo specchio, si stava provando un meraviglioso vestito viola lungo fino alle caviglie, ed era davvero mozzafiato.

“…E ho voluto anche aiutare quei genitori un po’ all’antica, che difficilmente accettano una diversità di un figlio, che ne hanno paura, a capire che non c’è niente di cui aver paura, perché hanno sempre il proprio figlio di fronte. Un figlio semplicemente orgoglioso di vivere la sua vita come meglio crede. Un figlio sano, in salute, felice, e solo questo conta. Non tutto il resto…” E su queste parole, in camera da letto entrò Alison, con in braccio Grace e Lily, che subito gettò sul letto e le riempi di baci. Emily sorrise emozionata e si gettò lì con loro, iniziando a fare il solletico alle piccole, e anche ad Alison, mentre ridevano e si divertivano come poche volte avevano fatto nell’ultimo periodo. Ora erano ritornati a essere il ritratto della felicità. Di una famiglia felice.

“…Ho voluto aiutare quella ragazza troppo intelligente e che tenta di apparire sempre la migliore, che tutti a volte possono crollare, anzi devono crollare. Perché non siamo delle macchine, ma siamo esseri umani…” Con queste parole, Spencer era appena scesa al piano di sotto a casa sua, indossava un bellissimo vestito nero lungo e senza maniche. Si diresse verso la cucina. Si specchiò alla credenza sopra il lavandino, e notò poi attaccata sul frigorifero, una vecchia foto sua, di sua madre, e di Peter tutti insieme, quando Spencer aveva sì e no due anni. La guardò un po’ intristita, con l’occhietto lucido, ma tento comunque di ricomporsi, di non farsi abbattere.

“…Ho voluto aiutare quella ragazza insicura a causa del suo aspetto fisico, magari per qualche kg di troppo, che non è il fisico perfetto che definisce la felicità, ma che se vuole, con tanta forza di volontà, può migliore, pur rimanendo sempre la bellissima persona che era, senza farsi trasportare dal fascino della perfezione…” Su queste parole, nella camera del Radley Hotel, Hanna era di fronte al suo letto, ancora in accappatoio e con l’asciugamano in testa, quando dal bagno arrivò Caleb, che la strinse da dietro e la baciò sul collo. La piccola Regina, stesa sul letto, stava dormendo, e i due la guardarono sorridenti come non mai.

“…Ho voluto aiutare quella ragazza che a scuola tende a fare un po’ la bulla, a trattare male un po’ tutti, che è sbagliato. Che è giusto mostrare le proprie insicurezze e fragilità con i propri amici, senza mascherare il tutto con la cattiveria, altrimenti accadranno solo cose brutte…” Alison intanto, era andata al piano di sotto. Stava prendendo la borsetta da sopra il tavolo, mentre sfoggiava il suo splendido vestito rosso che già aveva indossato in precedenza. Sembrava piuttosto ansiosa. Ansiosa di sapere come sarebbe andata a finire con quel ballo, ma consapevole che qualunque cosa fosse successa, l’avrebbero affrontata tutte insieme, come sempre.

E infine, le immagini tornarono su Aria, ancora seduta al tavolo di casa sua, a registrare questo splendido video, mentre Ezra e Philip la guardavano completamente rapiti dalle sue splendide parole. “…Ho voluto aiutare quella ragazza che tenta di lottare per un amore che agli occhi di tutti sembra sbagliato, ma per lei è dannatamente giusto, a non mollare mai e a difendere un sentimento se quello che sente è reale. Io con il mio libro ho voluto aiutare ognuno di voi. Ho voluto ispirarvi a diventare persone migliori attraverso la mia storia. La mia vera storia. Quella che avete letto nero su bianco nel mio libro. Io sono ancora quella persona che avete imparato ad apprezzare e ad amare nel libro. Sono sempre quell’Aria Montgomery che veste un po’ strana e che s’invaghì del suo professore del liceo. Sono e sarò sempre lei, e sarò sempre con voi, se voi mi dare un’altra possibilità. La possibilità di scrivere ancora per voi, tendendo il mio cuore verso il vostro, e provando ancora a ispirarvi…Sempre. Siete la mia forza. E spero che lo capirete…Buonanotte.”

Ed Ezra, regalando alla moglie un sorrisone pieno d’orgoglio, staccò la telecamera su quest’ultima parola.

E più tardi, nella palestra del liceo di Rosewood, stava avendo inizio il ballo degli ex alunni. Ex studenti dell’anno 2012, e gli studenti dell’anno corrente, il 2020, erano tutti insieme per festeggiare, mentre aspettavano l’elezione della Reginetta La vecchia reginetta del 2012, avrebbe decretato la reginetta di quell’anno scolastico.

La palestra era davvero stracolma di gente, ma anche ben addobbata con festoni coriandoli, stelle filanti, palloncini, e una buona musica in sottofondo. Tutti sembravano divertirsi.

A un tavolo, Willa era seduta pensierosa, e accanto a lei c’era Hadley. Le due guardavano Samantha e Ava scatenarsi in pista come delle forsennate. Willa era sulle spine. Continuava a guardarsi attorno, e Hadley si era accorta della cosa.

“Willa, mi spieghi che ti succede? E’ tutta la sera che stai seduta qui con una faccia da funerale” intervenne subito Hadley.

“Hadley, non sono in vena di festeggiamenti stasera, mi spiace” esclamò Willa.

“Ma perché? E’ per via di…di Addison?” chiese Hadley.

Willa doveva trovare una scusa adeguata. “Sì…Mi manca tanto” rispose.

“Lo so, manca anche a me, e alle altre, ma sai cosa direbbe se ci vedesse qui sedute piuttosto che a scatenarci in pista ad attirare le invidie delle secchione sfigate?” rispose Hadley divertita.

Willa si alzò di colpo “Ancora con questa storia? Sfigate, secchione, ma che differenza fa? E’ per comportamenti come questi che Addison è finita sotto terra e Claire in galera!” concluse la giovane piuttosto furente e si allontanò, superando Ava  Samantha che le stavano raggiungendo.

“Ma che le prende? Ultimamente è più strana del solito” chiese Ava sedendosi anch’essa.

“Non lo so, e vorrei tanto saperlo” rispose Hadley piuttosto pensierosa e preoccupata.

E intanto, al bancone delle bevande, Hanna, Caleb e Spencer si stavano facendo versare del punch. Spencer lo assaggiò e sorrise divertita. Hanna indossava un bellissimo vestito verde acqua, lungo fino alle caviglie, con un corpetto color argento, e decorato. Spencer un elegante vestito blu cielo, lungo da dietro fino a toccare quasi terra, e più corto davanti.

“Ancora correggono il punch. Che ricordi” esclamò la ragazza quasi malinconica.

“Mi ricordate perché fatto un ballo degli ex alunni di una classe di sette anni fa?” chiese Caleb, vestito anch’esso elegante, in smoking nero.

“Perché ogni anno si vota per quale classe passata possa riproporre il ballo, ed è stata scelta la nostra. Non è difficile capire perché siamo rimaste impresse” rispose Hanna. Guardò subito verso un gruppo di ragazze, di certo non studente, ma della loro stessa età, che le fissavano un po’ infastidite, come se le stessero giudicando.

“Aspetta, ma quella non è Josie Truman? Era due banchi dietro il mio a scuola” chiese Spencer riconoscendo una delle ragazze.

“Esatto. E’ la stessa che dopo la storia con Melissa, ti chiese se tu avessi mai partecipato a qualche tortura insieme a lei, giusto?” chiese Hanna.

“Ok, ho capito, in pratica siete l’argomento della serata, e i vostri vecchi compagni erano ansiosi di rivedere le star di quegli anni, ho capito bene?” chiese Caleb.

“Hai capito bene” risposero Hanna e Spencer in coro.

“Oh, sono arrivate Emily e Alison” rispose Caleb mostrando le scalinate. Emily e Alison scesero mano nella mano. Emily indossava un bellissimo vestito rosso scuro fino alle caviglie, e stretto, con corpetto, e privo di spalline. Alison indossava uno sfarzoso vestito color oro, lungo fino alle caviglie, e decorato sulla parte del petto, e con una vistosa cintura color argento.

“Mio dio, vorrei solamente fuggire o sotterrarmi viva…Di nuovo” ironizzò Alison quando notarono gli occhi di molti degli ex alunni, puntati su di loro, mentre parlottavano a bassa voce.

“Facciamo finta di niente e comportiamoci normalmente. E’ passato tanto tempo ormai” rispose Emily cercando di tranquillizzare la moglie.

“La Queen B della Rosewood High, Alison, ciao, che gioia rivederti!” una donna bella, slanciata, bionda ed estremamente sicura di se, arrivò dalle due e abbracciò Alison con un sorriso talmente finto da far impallidire chiunque. Alison, anche lei fingendo ricambiò il sorriso e l’abbraccio.

“Hayden Camden, che bello rivederti! Come stai?” chiese Alison cercando di fingersi interessata.

“Meravigliosamente. Sono sposata e felice, con Scott. Te lo ricordi Scott Pearson, vero?” chiese questa Hayden.

Alison capì, dove volesse andare a parare. “Sì, certo. Sono contenta per voi! Davvero!” rispose Alison.

“Ah sì? Beh è ovvio. Dopo aver tentato di rubare i fidanzati di metà delle tue compagne di classe, ora sei anche passata alle donne e hai rubato Emily a Paige. Devo dire che la troia che è in te riesce sempre a uscire fuori” ribatté Hayden alquanto cattiva.

Emily tentò subito di reagire, ma Alison la fermò. “Sta calma” le disse.

Hayden quindi si allontanò soddisfatta delle sue parole. Alison ed Emily quindi raggiunsero Hanna, Caleb e Spencer.

“Ok, mi sembra ovvio. Tutti qui dentro mi odiano” aggiunse Alison.

“Beh, diciamo che gran parte degli ex compagni che sono qui dentro, i ragazzi hai provato a rubarli alle nostre compagne, mentre alle ragazze, quando eri più buona, mettevi della schiuma da barba negli armadietti, mentre nei giorni peggiori le fotografavi nude negli spogliatoi e inviavi le foto a tutta la scuola” spiegò Hanna.

Tutte la guardarono come a volerla zittire con lo sguardo. “…Ok, scusate. Sto zitta” terminò Hanna con fare buffo.

“Piuttosto, Aria non si è ancora vista? Mona?” chiese poi Alison cercando di cambiare discorso.

“Mona non ancora, Aria…Oh eccola, è appena arrivata con Ezra!” esclamò Spencer.

Aria ed Ezra entrambi eleganti. Lui in smoking e lei con un eccentrico vestito, corto fin sopra le ginocchia, e costernato da mille colori, come se rappresentasse l’arcobaleno, e con due spalline. I due raggiunsero gli altri.

“Aria, hai fatto un bagno dentro una vasca piena di coloranti?” esplose Hanna un po’ ironica e prendendola in giro.

“Divertente. Volevo mettere il vestito che usai al nostro primo ballo degli ex alunni, ma non sono riuscita a trovarlo” rispose Aria.

“Sbaglio o a quel ballo pensavate che io avessi ucciso Alison?” chiese Toby.

“Veramente pensavate che mi avesse ucciso lui? Maddai intervenne Alison.

“Perché non posso avere la stoffa del killer?” chiese Toby.

La situazione era piuttosto buffa mentre facevano questo giro sul viale dei ricordi.

“Ok, basta pensare al passato, e concentriamoci sul presente. Willa la vedo, è al bancone dei dolci, quindi è al sicuro. Non vedo nessuno di sospetto, voi?” chiese Emily guardandosi intorno.

“No, nessuno” intervenne Aria.

“Piuttosto, non c’è la professoressa che ci provò con Alison, sono curioso di conoscerla” chiese Hanna.

“Cassidy è in gita in montagna con quelli del primo anno. Possiamo rimanere concentrati?” continuò Emily piuttosto esasperata.

“Sì, ok, io ho telefonato al detective Davis per farlo venire qua. Vediamo cosa avrà da dirci su quello che abbiamo trovato” intervenne Spencer.

“Credete davvero che lui sia il padre di…” replicò Hanna.

Non c’è dubbio. Ma è meglio parlarne con lui. Vado a prendere qualcosa da mangiare. Ah, Aria, ho visto il tuo video sul blog. E’ stato stupendo. Sono tanto fiera di tereplicò Spencer, andando subito ad abbracciare l’amica con amore.

“Grazie Spence” rispose Aria felice.

“Sì, lo abbiamo visto tutti. E’ stato davvero bello” intervenne Alison.

“Già” rispose Emily.

“Anche se io avrei indossato una maglia più sgargiante per andare in video, non so magari-“ Hanna come sempre voleva dire la sua, smontando l’entusiasmo.

“Ok, noi andiamo a vedere se è arrivata Mona. Se succede qualcosa, chiamateci, o urlate” concluse Caleb, tirando subito via Hanna.

“Ma dove sarà finita Mona?” chiese Emily, guardandosi intorno ma non vedendo traccia della giovane Vanderwaal.

Nel frattempo, nel carcere minorile, Claire era stesa nella sua cella, ed era alquanto impaziente. Non stava di certo riposando. Una delle guardie si avvicinò alla cella.

“Varlac, avevi chiesto di anticipare oggi la chiamata settimanale, giusto?” chiese un po’ scontrosa la poliziotta.

“Avevo chiesto di farla questa mattina. Avete un tempismo spettacolare” rispose Claire stizzita e alzandosi dal letto.

“Vuoi farla o no?” chiese l’agente, aprendo la cella. Claire quindi si apprestò a uscire.

La ragazza andò subito ai telefoni. Una fila di cinque telefoni erano posti sul muro. “Hai solamente dieci minuti, mi raccomando” terminò la guardia, allontanandosi.

Claire quindi aspettò di rimanere da sola, e dopodiché compose il numero di casa DiLaurentis. Il telefono a casa DiLaurentis squillò, ma in casa non c’era nessuno. Nemmeno la baby-sitter con le bambine.

“Avanti, avanti rispondete” diceva Claire tra se e se speranzosa. Nessuno rispose, e partì la segreteria. “..Dannazione!” esplose Claire alquanto adirata. Poi cercò di ricomporsi “…Signora DiLaurentis? Sono Claire. La chiamo, la chiamo dal carcere. Senta, ho bisogno di vederla subito. Oggi mi sono ricordata di una cosa. Forse la cosa più importante. Non so nemmeno io come ho fatto a dimenticarlo. Io, io ho visto, ho visto in faccia la persona che ha rapito Addison. So chi è. Lo avevo dimenticato a causa di una caduta, ma ora, ora ricordo. Ricordo perfettamente. E devo assolutamente dirglielo. La prego, appena sente questa chiamata, venga subito qui. Non ci crederà mai

Claire era convinta delle sue parole mentre registrava quel suo sorprendente messaggio in segreteria. Una rivelazione che stava per cambiare ogni cosa.

“Sì, le bambine questa sera sono a casa della nostra baby-sitter di fiducia. Aveva un lavoro da fare a casa e non poteva muoversi” stava raccontando Alison a un’altra delle sue ex compagne del liceo, mentre mostrava una foto di Grace e Lily sul suo telefono.

“Oh, ma sono bellissime! Avete molta fiducia nella vostra baby-sitter, dopo tutto quello che avete passato. E se si rivelasse una pazza psicopatica?” chiese la ragazza. Alison sbarrò gli occhi spaventata.

“Ok, è stato bello, ciao Dianne!” intervenne subito Emily pronta a salvare la moglie, portandola via dalle due ragazze.

“E’…Ufficialmente, il ballo più brutto a cui abbia mai partecipato. Ci manca solo Paige a completare la splendida serata” aggiunse Alison.

“Ali, maddai. Paige doveva venire ma a quanto mi ha detto sua moglie, ha avuto un impegno improvviso ed è rimasta bloccata al lavoro. Lavorare come maestra di nuoto in una scuola olimpica è piuttosto stressante” rispose Emily.

“Aspetta un momento. Punto primo: da quando senti la moglie di Paige? Punto secondo: perché stiamo parlando di Paige?” chiese Alison perplessa.

“Beh, punto primo: perché la moglie è il coach della squadra di nuoto di Scrantford, e quindi siamo sempre in contatto. Punto secondo: hai tirato tu fuori Paige” rispose Emily a tono.

Alison poi sbuffò. Sembrava alquanto esasperata. “Vabbè, ribadisco comunque che è il ballo più brutto a cui abbia mai partecipato.”

“Ma se agli ultimi balli eri morta?” rispose Emily. Alison la guardo malissimo. “…Ok, eri in fuga, scusami” continuò la giovane, correggendosi alla svelta visto lo sguardo assassino della moglie.

“E comunque a un ballo c’ero. Il ballo del diploma, ricordi?” esclamò Alison.

“E lo hai passato a dare la caccia a Charlotte, ricordi?” stuzzicò Emily.

Alison era piuttosto imbronciata, ma anche in modo goffo e divertente.

Poco distanti dalle due, Spencer stava bevendo un drink, mentre guardava gli studenti ballare e divertirsi. Toby le si avvicinò.

“Allora? Notizie del detecitve? Si è fatto vivo?” chiese lui mettendosi accanto.

“Non ancora. E non risponde nemmeno al cellulare. Sono un po’ preoccupata” replicò Spencer.

“La serata come procede invece?” continuò Toby.

Non male direi. A parte due mie ex compagne che ancora non hanno digerito la mia vittoria al club di scienze e di matematica per quattro anni consecutivi, e un’altra che mi chiedeva se la testa di Noel Kahn rotolò davvero ai nostri piedi, o se Jenna Marshall era davvero cieca o fingeva, per il resto, tutto regolare spiegò Spencer accuratamente e divertita dalla cosa.

Toby la guardò ridendo anch’esso. “E quindi, dimmi di questo ragazzo che hai conosciuto a Chicago. Questo ragazzo bellissimo”, aggiunse lui, specificando in modo ironico il ‘bellissimo’.

Spencer sorrise. “Oh, Xavier! E’ un amore. Ci siamo scambiati qualche messaggio, ma niente di che” rispose lei. Continuava a guardare Toby. “…E tu invece dimmi perché mi fai questa domanda, sei geloso per caso?” stuzzicò divertita.

“No, assolutamente, perché dovrei?” chiese lui, mostrandosi palesemente a disagio e colpevole.

“Esatto, perché dovresti? Insomma, siamo solo amici di letto, giusto?” continuò lei.

“Giusto” rispose lui.

La situazione era piuttosto imbarazzante. Spencer però era divertita. La divertiva stuzzicarlo in quel momento.

Hanna e Caleb invece, erano seduti sugli spalti, e sembravano scocciati. Erano distanti dalla folla.

“Mi spieghi perché siamo seduti qui? Non vediamo nemmeno Willa da qua sopra” chiese Caleb.

“Perché ho visto entrare Sean, e non voglio assolutamente parlare con lui” spiegò Hanna.

“Sean? Sean Ackard? Il tuo primo ragazzo del liceo? Quel Sean?” chiese lui alquanto incredulo.

“Esattamente” rispose Hanna.

Caleb scoppiò a ridere. “Hanna, ma, sono passati secoli dal liceo, andiamo! Non sono mica geloso” rispose.

Ma non è mica per te! E’ che l’ultima volta che ci siamo parlati, passai tutta la notte a ballare con Lucas a causa delle minacce di Mona, e mi lasciò. Da allora non ci siamo più parlati, e affrontarlo ora, dopo che ha saputo quello che Lucas ha combinato, sarebbe troppo difficile. Mi rifiuto. Piuttosto, ma dove diamine è finita Mona? Non risponde nemmeno al suo telefono” sbottò alquanto scocciata, alzandosi dagli spalti e guardandosi intorno.

Mentre si guardò intorno, notò Willa uscire dalla palestra, da sola. “…Caleb, Willa sta uscendo dalla palestra, andiamo!” esclamò di colpo, tirando via Caleb e raggiungendo subito il resto del gruppo. Intanto, Hayden, Ava e Samantha, stavano anch’esse uscendo dalla palestra, nella stessa direzione di Willa.

Aria, intanto, stava guardando il DJ, mentre era intenta a ballare timidamente. Fu raggiunta da Ezra che aveva due bicchieri di punch in mano, e uno lo diede alla moglie.

“Ho letto un po’ di commenti sul blog. Il video sta andando alla grande. Un sacco di commenti positivi” esclamò Ezra felice.

“Davvero?” chiese lei felice e incredula.

“Sì, davvero! Pensa che tra i commenti c’è anche quello di Nicole, e quello di Maggie” spiegò l’uomo.

Aria storse un po’ il naso. “Ezra, non offenderti, ma non m’interessano molto i commenti delle tue ex” rispose lei.

“Vabbè, ma sono state gentili. Si complimentano entrambe per il video” spiegò Ezra.

“Sì, intanto però la cara Nicole Gordon l’ho incontrata due mesi fa durante il tour a New York e stava per mettermi sotto con la macchina per poi scusarsi dicendo di non avermi vista. Maggie invece mi ha bloccato su tutti i social in modo da non poter vedere tutte le foto di Malcolm il primo giorno di liceo. Un po’ false entrambe, non credi?” iniziò a polemizzare Aria.

“Ok, cambiamo subito discorso. Ti va?” chiese lui capendo di dover troncare subito la cosa.

“Sì, cerchiamo gli altri” terminò Aria, e subito si allontanò, seguita da Ezra.

Nei corridoi vuoti della scuola, Willa si stava dirigendo all’uscita della scuola. Tirò fuori le chiavi dell’auto dalla borsetta. Le sue amiche però la raggiunsero prima che uscì dalla scuola.

“Willa, aspetta!” urlò Hadley.

Willa si fermò di colpo e si voltò verso  le amiche. “Ragazze per favore. Vi voglio bene, ma non sono in vena di divertimento questa sera. Me ne torno a casa a farmi una bella dormita. Voi divertitevi, ci vediamo domani” concluse la ragazza.

“Perché non ci vuoi dire cos’hai?” chiese poi Ava.

Willa tornò a voltarsi verso di loro. Sembrava come abbattuta, senza forze. Oramai preda della paura, e senza speranza. “Perché altrimenti finireste come Addison. E non posso permetterlo” finì la ragazza, che quindi uscì in fretta dall’edificio. Le tre ragazze rimasero perplesse e confuse di fronte l’affermazione inquietante di Willa, che fece loro accapponare la pelle.

In quel momento, Spencer, Toby, Hanna, Caleb, Ali, Emily, Aria ed Ezra arrivarono in fretta lì dove stavano le ragazze.

“Hadley, dov’è andata Willa?” chiese subito Emily.

“Ha detto che stava andando a casa” rispose Hadley.

“Ecco cosa voleva. Voleva che Willa rimanesse da sola” esclamò Spencer. Tutti capirono l’inganno dello stalker. Aveva spinto tutti a partecipare al ballo, per convincerli che sarebbe stato presente, in modo da abbassare la guardia nei confronti di Willa, così da perderla di vista, e permettere allo stalker di attaccarla.

“Che vuoi dire?” chiese Aria.

“Ma certo. Quel folle ci ha spinto a partecipare al ballo in modo da abbassare la guardia” rispose Emily.

“Per fare in modo che non controllassimo Willa” continuò Spencer incredula.

“Ma di che parlate?” chiese Hadley.

“Oh mio dio…Willa!” urlò subito Alison, che si precipitò verso l’uscita, seguita da tutti gli altri.

Nel cortile della scuola, Willa era già in auto, e aveva messo a moto l’auto, e quindi partì lasciando il cortile. Fuori il cortile però, dall’altro lato della strada, un’auto scura parcheggiata, accese i fari della macchina, mise a moto e partì anch’essa.

Tutti uscirono fuori, ma oramai era troppo tardi.

“E’ già andata via, dannazione!” urlò Alison spaventata.

“Dobbiamo raggiungerla. Se questo folle riesce a prenderla, ci sarà un altro corpo da seppellire domani, andiamo!” rispose Emily.

La situazione era catartica. Subito prese Alison dalla mano e si diressero alla loro auto. Anche gli altri si divisero prendendo andando alle loro auto.

Willa intanto era per strada, che guidava tranquillamente. Il suo pensiero però era costantemente rivolto verso tutto il casino che stava vivendo, le minacce dello stalker. Di colpo, la persona che la stava inseguendo con l’auto nera, aumentò i fari dell’auto e iniziò ad abbagliarla ripetutamente e in modo fastidioso.

“Ma che diamine fa? Ehi, deficiente, abbassa le luci!” urlò Willa pensando che fosse un semplice stupido che non riusciva a guidare in modo corretto. Il giochetto delle luci continuava. Willa tentava di proteggersi gli occhi in modo da poter vedere sulla strada, ma con difficoltà. “…Maledizione!” esclamò poi, mentre la paura iniziava a farsi sentire.

La persona nell’altra auto non accennava a smettere, anzi aumentava le luci, voleva abbagliarla e mandarla fuori strada…E ci riuscì. Tutto accadde velocemente. Willa non riusciva più a vedere la strada, le luci erano troppo forti, e di colpo perse il controllo dell’auto, e andò a sbattere dritta contro un albero, lanciando un ultimo urlo pieno di paura.

Poco dopo, una Willa piuttosto frastornata e dolorante, si stava pian piano svegliando, nella sua auto oramai a pezzi e incastrata in quell’enorme albero. La testa le sanguinava. Sentiva parecchio dolore alla gamba, e si accorse che era rotta. Non riusciva a muoverla. Si guardò intorno, cercando di capire come poter uscire da lì dentro. Ma era bloccata, e il dolore alla gamba era troppo. Era in trappola.

La povera ragazza si sentì sola, spaventata. Iniziò a piangere. Poi vide che il serbatoio stava perdendo benzina. Capì che da lì a poco l’auto sarebbe esplosa, e lei insieme se non fosse riuscita a uscire da lì. Qualcos’altro però attirò la sua attenzione, quando quelle maledette luci la abbagliarono nuovamente. L’auto che l’aveva mandata fuori strada era lì, poco distante da lei. Abbagliò un attimo per farsi vedere, e tornò a spegnere le luci, quindi aprì lo sportello e scese.

Era una persona con felpa e cappuccio nero, e quell’inquietante maschera da neonato addosso. Iniziò con passo lento e inquietante, ad avvicinarsi all’auto distrutta di Willa.

“Oh mio dio…Oh mio dio! Qualcuno mi aiuti! Aiuto! Aiutatemi!” Willa iniziò a urlare a squarciagola. Urlava talmente forte come se il corpo le stesse andando a fuoco. Le sue urla terrorizzate si potevano sentire fin sopra il cielo.

La persona incappucciata arrivò sempre più vicina all’auto. “Aiuto! Aiutatemi! Vi prego!” Willa continuava a urlare, ma nessuno arrivava. La persona mascherata oramai era lì da lei, a un metro di distanza. Willa non urlò più. Vedere quella persona lì vicino a lei, la pietrificò dalla paura. Piangeva solamente.

Quell’inquietante persona mascherata quindi si avvicinò all’auto, e abbassò la testa, guardando Willa. La guardò tramite la sua maschera. Willa guardò tale persona, sperando di capire chi si nascondesse dietro quella maschera, ma senza successo.

Improvvisamente però si udì il suono di più macchine provenienti dalla strada. La persona incappucciata subito si diede alla fuga. Si diresse subito alla sua auto, e quando andò per aprire lo sportello, fu abbagliato dai fari dell’auto di Alison ed Emily. La persona mascherata rimase immobile, a fissare le due, come se fosse oramai braccato.

“Oh mio dio, è, è davvero lui?” chiese Emily.

Alison era al volante. Non sapeva cosa fare. La persona mascherata però non ebbe paura. Alzò la mano destra e saluto le due con un modo talmente inquietante da far venire i brividi. Non appena provò ad accelerare, decisa a metterlo sotto con la macchina, la persona mascherata approfittò per entrare subito in auto alla velocità della luce. Alison subito mise a moto e colpì la sua auto, che però non si fece nessun graffio.

Nel momento in cui entrò in auto, Emily e Alison, riuscirono a notare sul fondo schiena scoperto, il famoso tatuaggio del cavallo in un prato di rose. Non c’erano dubbi. Chi rapì Addison e chi le stava torturando, era la stessa persona. Subito lo stalker mise a moto, e sfrecciò via, scomparendo sulla strada buia di fronte a loro.

Poco più tardi, in ospedale, erano tutti seduti in sala d’attesa, meno che Alison. Sembravano tutti esausti e sconvolti.

“Vi giuro che non ne posso più di vedere ospedali” esclamò Emily.

“Non dirlo a me” ribatté Spencer.

In quel momento arrivò Alison dopo aver parlato con i dottori.

“Allora, come sta?” chiese subito Emily, visibilmente preoccupata.

“Per fortuna sta bene. Ha subito solamente un leggero trauma cranico e una frattura alla gamba destra, ma si riprenderà. E’ stata fortunata. Ho avvertito i suoi genitori, stanno venendo qua” spiegò Alison.

“Dobbiamo dirlo anche alle sue amiche?” intervenne poi Aria.

“Non ancora. E’ meglio non allarmarle” rispose Alison.

La conversazione fu poi interrotta da Mona, che comparve all’improvviso, vestita elegante, e quindi pronta per il ballo. Arrivò piuttosto preoccupata e ansiosa. “Dov’è Willa? Come sta?” chiese di colpo. Tutti la guardarono straniti. Hanna si alzò e andò verso di lei.

“Ma dove diavolo sei finita stasera?” chiese.

“Scusatemi, è che, si è presentata mia madre a casa, e ha voluto, ha voluto parlare con me, chiarire, insomma siamo state tutta la serata a parlare e non mi ero resa conto che avevo il cellulare scarico” spiegò Mona. Dalle facce degli altri, la sua spiegazione non sembrava molto convincente. “…Dove pensate che potessi essere?” chiese a tutti.

“Magari a mandare fuori strada tua cugina” intervenne Spencer.

Mona la guardò incredula. Guardò tutti loro incredula. Non poteva credere che la stavano accusando, di nuovo. Per l’ennesima volta, in una situazione di pericolo, lei era stata messa al patibolo. Aveva già deciso.

Tipico. Non appena c’è un problema, si da la colpa a Mona. E’ incredibile!” Mona parlò ferita. Ferita dall’ennesima delusione che quel gruppo di persone che ha sempre tentato di aiutare in tutti i modi e in ogni situazione, le stavano nuovamente puntando il dito contro sulla base del nulla.

Hanna cercò di farla calmare “Mona, scusaci, è che siamo tutti un po’ scossi, nient’altro” aggiunse la giovane cercando di calmare le acque. Guardò poi all’indirizzo di Spencer, sperando che chiedesse scusa.

“Ok, mi dispiace, scusa” rispose la giovane Hastings, non credendo molto alle sue parole.

“Vado a vedere Willa, scusatemi” terminò la Vanderwaal, andando quindi verso la stanza della cugina.

Hanna tornò a sedersi, continuando a guardare Spencer con sguardo accusatorio.

“Hanna, che c’è?” le chiese stizzita.

“Che c’è? C’è che state accusando Mona, di nuovo, quando non ha fatto altro che aiutarci da quando è arrivata!” spiegò la ragazza piuttosto convinta e alquanto adirata.

“Questa volta ha ragione. Ho imparato a conoscere Mona in tutto questo tempo. Lei non c’entra nulla, fidatevi” aggiunse Caleb, sorprendendo tutti.

“Tu che difendi Mona? E’ un evento più unico che raro intervenne Emily sorpresa.

“Ragazzi, ma allora chi è questo mostro?” chiese poi Aria, ripensando a quello che era successo quella notte.

Rimasero tutti zitti a riflettere. Nessuno riusciva ad elaborare una teoria concreta. Nessuno sapeva cosa pensare. Sapevano solamente che erano al limite. Un altro passo falso ed erano morti. Ed erano consapevoli di dover risolvere quella faccenda al più presto.

Intanto però, in ospedale entrò qualcuno che destò l’attenzione di tutti. Era Wren. L’uomo si guardò intorno.

“Oh mio dio, ma quello non è Wren?” intervenne subito Aria, non appena lo riconobbe.

Wren vide tutti lì seduti, e rimasero fermo all’entrata. Guardò Spencer. La giovane Hastings capì di dover uscire a parlargli. Wren doveva dirle qualcosa.

“Sì, è proprio lui. Ma che ci fa qui? Quando è uscito di galera?” chiese Hanna.

“Due giorni fa…Scusatemi, torno subito” terminò Spencer, alzandosi in fretta e raggiungendo Wren, e insieme uscirono dall’ospedale.

“Spencer lo sapeva?” chiese Toby incredulo e non distogliendo lo sguardo da Wren e Spencer.

“Io non ci capisco più niente” terminò Hanna sentendo che la testa le stava scoppiando.

Fuori l’ospedale, Wren e Spencer si appartarono un attimo.

“Wren, perché sei qui? Che succede?” chiese Spencer alquanto curiosa.

“Scusa se ti ho scritto a quest’ora, è solo che, devo, devo dirti una cosa importante” rispose lui.

“Ti ascolto” replicò Spencer attenta.

“Beh, avrei dovuto dirtelo oggi, quando ci siamo rivisti, ma non sapevo se fosse giusto. Ci ho riflettuto bene, e penso che dovresti saperlo. Riguarda tua sorella Melissa, Alex Drake” rispose lui.

Di fronte queste parole, Spencer sentì un brivido percorrerle tutta la schiena. Sentire nuovamente quel nome, per lei era ogni volta come rivivere tutto l’inferno che Melissa le aveva fatto passare. Ma tentò di rimanere forte.

“Ho detto che ti ascolto, va avanti rispose Spencer risoluta.

“Spence, lei, lei è ancora viva” replicò Wren.

Spencer non sembrava piuttosto sorpresa. Era dispiaciuta e un po’ impaurita perché stava avendo l’ennesima conferma che Melissa era viva, e nascosta da qualche parte.

“Come…Come fai a saperlo?” chiese la donna.

“Qualche settimana fa, si mise in contatto con me. Lo fece tramite alcuni miei compagni di cella. Dissero che doveva lasciarmi un messaggio importante, e che era giusto che lo sapessi anch’io” spiegò Wren.

“Qual era il messaggio?” chiese Spencer con curiosità.

Che Isabelle era a Rosewood, e stava riportando in vita il suo gioco. Il gioco di A.D.” rispose Wren.

Di fronte questo nome, a Spencer venne subito in mente ciò che Xavier le raccontò alla St. Balance. Parlava di una certa Isabelle la matta. Una ragazza bionda, piuttosto irruenta che aggredì uno studente, e che a quanto pare finse il suo suicidio. Capì che probabilmente ciò che Xavier le raccontò, non era un buco nell’acqua. Non poteva essere una coincidenza.

“Wren, chi, chi è questa Isabelle? Come fate tu e Melissa a conoscerla?” chiese subito Spencer tentando di rimanere lucida.

“Spence, non posso dirti altro, per la mia incolumità. Sappi che però è pericolosa. Molto pericolosa” solo queste parole disse Wren. Parole che incutevano timore in Spencer, che rimase a riflettere mentre sentiva come se la sua testa stesse per scoppiare da un momento all’altro.

Contemporaneamente, nel bosco, precisamente alla famosa roccia dei baci, una Hadley alquanto pensierosa era seduta lì per terra, poggiata alla roccia, ed era pensierosa. Prese il telefono e aveva aperta la chat con Willa, le aveva scritto “Dove sei? Siamo preoccupate”, ma nessuna risposta.

Dal bosco uscirono anche Ava e Samantha, con in mano una vecchia sacca bianca con su scritte le iniziali “A.D.”.

“Notizie da parte di Willa?” chiese Ava sedendosi anch’essa per terra. Samantha la imitò.

“Nulla. Piuttosto vorrei capire cosa diavolo è successo stasera anche con le professoresse e le loro amiche” rispose Hadley.

“E’ tutto così strano” rispose Samantha.

Hadley poi posò lo sguardo sulla sacca bianca, e rimase sorpresa.

“Oddio! L’avete trovata? La sacca dei segreti di Addison? Wow!” rispose Hadley sorpresa e prendendola in mano.

“Già! Non so come sono riuscita a ritrovare il nascondiglio che aveva qui nel bosco. Ricordavo che era nei dintorni, ma non ricordavo il punto. Incredibile” rispose Ava.

Intanto Hadley la stava svuotando. Era piena di rossetti, smalti, trucchi, vecchie foto di Addison e le amiche, in momenti felici e spensierati.

“Caspita, vi ricordate quanto tempo passavamo qui tutte insieme?” rispose Samantha.

“Certo. Poi Addison era fissata con i nascondigli. Soprattutto questa sacca era decisa a nasconderla, non ho mai capito perché” rispose Hadley iniziando a guardare le foto. Prima c’era una foto di Addison a mare, poi una di lei e Willa, un’altra di loro cinque insieme, e poi ecco arrivarne una alquanto sconvolgente.

“…Oh mio dio” esclamò Hadley di fronte tale foto. Gli occhi sbarrati.

“Che c’è? Non dirmi che è una foto di Addison con Jacob Grant del terzo anno. L’anno scorso si sono frequentati per un po’ di tempo” rispose Ava.

“No, fidati” rispose Hadley non riuscendo a distogliere lo sguardo dalla foto.

“Dai, vediamo!” rispose Ava, e le tirò subito la foto dalle mani. La foto ritraeva Addison e Cassidy. Le due erano abbracciate, con un’evidente abbronzatura estiva, e dietro di loro l’insegna ‘Cape May’“…Cosa diavolo ci fa una foto di Addison e la professoressa Harmor qui dentro?” continuò Ava.

Tutte rimasero sconvolte a contemplare quella misteriosa e sconvolgente fotografia.

Contemporaneamente, nel carcere minorile, una delle guardie stava facendo il giro notturno per controllare i ragazzi. Faceva roteare le chiavi delle celle tra le sue dita, mentre fischiettava allegramente. Alcune delle ragazze dormivano, altra erano intente a leggere.

Qando arrivò alla cella di Claire, la vide stesa a letto. “Ehi, ehi tu, ma ti sembra il caso di dormire su quel pavimento sudicio?” ruggì subito l’agente, che si avvicinò di più alla cella. Ma Claire non stava dormendo. Era morta. Era lì stesa con gli occhi sbarrati. Oramai era un corpo vuoto. Claire non c’era più.

“Oh mio dio” esclamò l’agente totalmente sotto shock alla vista della povera Claire oramai senza vita. Accanto a lei ci stava una bottiglia vuota di succo di frutta, aperta. L’aveva bevuto tutto lei.

E in tutto questo casino, qualcuno si stava svegliando in un letto. Era un vecchio e sudicio letto. Era il detective Davis, che aveva delle evidenti ferite in volto. Mentre tentava di aprire gli occhi, vedeva tutto piuttosto sfocato. Sentì subito un forte dolore alle costole. Si sentiva alquanto ammaccato. Aveva le braccia e le mani legato al letto. Non poteva muoversi.

Riuscì poi a notare che qualcuno era nella stanza con lui. Si avvicinò al suo letto. L’uomo cercava di sgranare gli occhi, strizzandoli di continuo. “…Oh sei sveglio”, Craig iniziò a sentire quella persona parlare, ma la voce era ancora cupa, indecifrabile. “…Quando ti ho investito con la macchina, credevo di averti ucciso”, il suono della voce si stava facendo più reale, e più riconoscibile, così come l’immagine stava divenendo più nitida. “…Ma che gusto ci sarebbe stato poi, eh?” questa volta Craig riuscì a vedere e a sentire bene.

Melissa Hastings era lì di fronte a lui, con il suo immancabile e malato sorriso.

FINE NONO EPISODIO.

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