Pretty Little Liars 8 – FAN-FICTION – 8×04 “The Jason Thing”

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“The Jason Thing – La Cosa di Jason”

Episode #804

 

Written by:

Frà Gullo;

 

 

CAST UFFICIALE:

Aria Montgomery (Lucy Hale)

Spencer Hastings (Troian Bellisario)

Hanna Marin (Ashley Benson)

Emily Fields (Shay Mitchell)

Alison DiLaurentis (Sasha Pieterse)

 

CAST SECONDARIO EPISODIO 4:

Ken DiLaurentis (Jim Abele)

Cassidy Harmor (Crystal Reed)

Jason DiLaurentis (Drew Van Acker)

Addison Derringer (Ava Allan)

Felicity Derringer (Kristine Sutherland)

Robert Derringer (Peter Gallagher)

Craig Davis (Paul Johansson)

Veronica Hastings (Lesley Fera)

Mona Vanderwaal (Janel Parrish)

Kate Randall (Natalie Hall)

 

 

 

 

 

 

 

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A casa Hastings, nel salotto, le ragazze erano tutte sedute e sconvolte mentre tentavano di capacitarsi di ciò che avevano scoperto pochi minuti prima. Il nuovo e misterioso stalker aveva tentato di uccidere le gemelline, figlie di Emily e Alison. Emily era seduta all’angolo del divano e aveva lo sguardo terrorizzato e gli occhi colmi di lacrime amare. Non riusciva a crederci. Non riusciva a credere che qualcuno potesse arrivare a tanto. Hanna e Aria tentavano di incrociare lo sguardo di Emily, ma invano. Un doloroso e assordante silenzio aleggiava nella stanza. Silenzio che fu interrotto dal brusco rientro di Spencer dalla porta sul retro.

“La porta sul retro è stata scassinata. Ho trovato la maniglia praticamente distrutta. E c’erano tracce di cianuro su tutto l’asfalto” spiegò Spencer sedendosi al tavolo.

“Quindi qualcuno si è intrufolato in casa ieri e ha avvelenato il cibo delle bambine?” chiese Aria spaventata.

“Penso di sì. Ieri mattino presto sono stata al piano di sopra con le piccole, e mamma era andare in palestra. Sarà successo in quel frangente, e non me ne sono resa conto” spiegò Spencer con un tono di voce alquanto triste.

Emily la guardò di colpo “Non potevi stare più attenta?” ruggì lei.

“Em” intervenne Hanna un po’ sorpresa.

Spencer non rispose subito, abbassò lo sguardo e stette zitta.

“Emily non è colpa di Spencer. Ora è la paura che ti fa parlare” intervenne Aria cercando di calmare la situazione.

“No, ha ragione. E’ casa mia. Dovevo stare attenta, se-” Spencer non riuscì a finire la frase che Emily si alzò di colpo come una furia.

Se quel cibo non fosse finito per terra, le mie bambine a quest’ora sarebbero morte!” il tono di voce di Emily era più alto e più furioso di prima. In quel preciso momento però, l’inizio di quella lite fu interrotto dall’arrivo di Alison, entrata dal giardino. Aprì la porta e rimase piuttosto confusa.

“Ehi ragazze! Scusate il ritardo, ma le piccole non smettevano di piangere, e la baby-sitter è arrivata tardi, poi mio padre che continua a tartassarmi di chiamate, e-”, Ali non continuò il suo discorso poiché si accorse degli sguardi delle amiche. “…Ma che succede?” chiese poi più seria.

Tutte si zittirono. Emily si sedette nuovamente, ma in quel momento il suo telefono squillò. Le stava telefonando Felicity Derringer. “Se volete, spiegatele voi” rispose Em ancora stizzita, e uscì di casa, andando in giardino e rispondendo al telefono.

Hanna e Aria abbassarono lo sguardo. Avevano paura a parlare.

“Spence, allora? Qualcuno può spiegarmi?” aggiunse Ali alquanto preoccupata.

Spencer le si avvicinò. “E’ meglio se ti siedi” replicò la giovane Hastings pacatamente. Alison obbedì e Spencer fece lo stesso, sedendosi accanto a lei e di fronte ad Hanna e Aria, pronta a raccontarle ogni cosa.

Nel giardino di casa Hastings, Emily rispose subito al telefono. “Pronto?”

Nel salotto di casa sua, Felicity Derringer le rispose. “Ciao, signora Fields-Dilaurentis? Emily, vero? Il numero è giusto?” chiese la donna un po’ in imbarazzo e con voce ansiosa.

“Sì, signora Derringer salve, sono io. Come mai questa chiamata così presto?” chiese Emily alquanto curiosa.

Felicity rimase zitta per pochi secondi. Sospirò profondamente. “Ho bisogno di parlare ancora con lei. Non sono stata del tutto sincera” aggiunse la donna con un po’ di paura nella voce. Era come se non volesse dire ciò che stava dicendo, ma allo stesso tempo non aveva altra scelta.

Emily subito apparve più attenta al discorso “A che proposito?” chiese curiosa.

“A proposito di mia figlia, e di, di quella foto che avete ritrovato, del piccolo Roger Maxfields” spiegò Felicity.

Emily apparve sorpresa di fronte le parole della donna, non sapeva cosa dire. “B-Beh, potrei passare da casa sua tra poco, che dice?” chiese la giovane Fields-DiLaurentis ansiosa di sapere la verità e senza perder tempo.

Felicity apparve un po’ titubante. “Facciamo tra due orette, quando mio marito andrà a lavoro. E’ meglio che lui non ci sia” spiegò Felicity.

“Come mai? Se posso chiederle” replicò Emily.

“Perché lui non vorrebbe che ve lo dicessi. E non dovrà sapere che le ho detto la verità” rispose Felicity.

A queste parole, Emily apparve preoccupata e agitata. Lei non poteva tenersi per se quello che la signora Derringer le avrebbe detto. A lei servivano informazioni per risolvere tutto ciò che stava succedendo, soprattutto dopo l’orribile scoperta fatta riguardo al veleno nel cibo. Non poteva tenersi per se tale rivelazione, quindi l’agitazione era tanta nel decidere cosa fare quando Felicity le avrebbe rivelato ogni cosa, qualsiasi cosa fosse.

SIGLA

 

 

 

 

 

Il giorno seguente, sotto il cocente sole di Rosewood, Hanna era seduta ai tavolini del Brew, mentre stava al telefono con Mona.

“Mona, lo so, lo so che sto rimanendo più del dovuto ma, mia madre, mia madre ha avuto una ricaduta e mi vuole accanto a se. Sai com’è. Febbre maledetta” spiegò la giovane, mentendo spudoratamente. “…Sì, va bene. Tu falla venire qua e vediamo cosa possiamo fare. Se è l’unico modo per risolvere la cosa ok. Va bene, da un bacio a Regina e dille che la amo e che mi manca tanto, ah, ovviamente non dare il bacio anche a Caleb. Va benissimo, ciao e staccò la telefonata mentre era ignare che Aria l’avesse raggiunta lì ai tavolini.

“Quando Mona e Caleb scopriranno che tua madre è in montagna con le amiche, cosa dirai?” intervenne Aria.

Hanna sembrava alquanto frastornata e stanca. “Non lo so. So solo che sono sull’orlo di una crisi di nervi” rispose.

“Problemi con il lavoro?” chiese Aria preoccupata.

“Già! A quanto pare mi stanno mandando una delle candidate per il volto della collezione autunno-inverno, qui a Rosewood. Le hanno fatto il provino qualche giorno fa, e siccome si trova nei paraggi, vogliono farmela incontrare. Non capisco il motivo” spiegò Hanna confusa.

“Forse perché la linea di moda porta il tuo nome e manchi dal lavoro da settimane?” rispose Aria dicendo l’ovvio.

Sì, ma raramente ho scelto io le mie modelle. Quelle che sceglieva Mona erano sempre ottime. Mi sono sempre fidata di lei. Non capisco perché dovermela fare incontrare. Inoltre continuava a ripetermi di stare calma quando l’avrei incontrata. C’è sicuramente sotto qualcosa” rispose Hanna cercando di capire il perché di tanto mistero.

“E’ Mona, cosa puoi aspettarti?” ribatté Aria.

Le due poi rimasero a riflettere per pochi secondi. “…Hai dormito tu stanotte?” continuò la giovane signora Fitz diventando più cupa in volto, mentre Hanna sembrava persa con lo sguardo nel suo caffè caldo che aveva sotto il naso.

Se intendi dalle due alle tre del mattino, tra un incubo e l’altro, allora sì. Ho dormito” rispose ironicamente Hanna.

“E’ incredibile quello che questo folle stava per fare. Una mossa sbagliata e le bambine sarebbero…Non riesco nemmeno a dirlo” continuò Aria piuttosto incredula e affranta.

“Tu hai sentito Emily questa mattina?” chiese Hanna.

“No, e non credo voglia parlare con nessuna di noi a parte Ali” rispose Aria.

“Mi sa che ha dei problemi anche con Ali” continuò Hanna.

In quel preciso momento entrò nel locale, Jason. Un Jason piuttosto frastornato e agitato che si avvicinò alla cassa con l’intento di prendere un caffè. Hanna lo notò subito, così come Jason notò lei, guardandosi continuamente intorno, la notò.

“Aria, guarda chi c’è” intervenne Hanna incredula. Non appena Aria si voltò, Jason cambiò idea e di colpo uscì dal locale più veloce della luce.

“Andiamo, presto!” aggiunse Aria balzando su dal divano seguita da Hanna.

Uscite fuori dal Brew, le due videro Jason dall’altra parte della strada. “…Jason, aspetta! Per favore!” continuò Aria speranzosa. L’uomo era intento a fuggire via, ma quando sentì la voce di Aria, decise pian piano di fermarsi. Le ragazze attraversarono e lo raggiunsero. L’uomo appariva parecchio scocciato e irritato.

“Cosa volete?” chiese lui.

“Secondo te?” rispose Aria.

“Non saprei” continuò lui.

“Jason, non fare finta di niente. Sei sparito per due giorni dopo che hai nominato Addison. Devi dirci cosa sai su quella ragazza!” ruggì Hanna.

Jason sembrava colpevole, spaventato. “Non so niente di quella ragazza, è chiaro?” rispose lui scontrosamente.

“Jason, ti prego. Se sai qualcosa, devi dircelo” continuò Aria tentando di usare i modi gentili.

Jason abbassò lo sguardo. Era imbarazzato. Non riusciva nemmeno a guardare negli occhi la donna che amava. Si sentiva una nullità. Aria si avvicinò a lui e dolcemente gli alzò il viso. I due si fissarono intensamente. Occhi dentro occhi. Erano così vicini da sentire l’uno il battito del cuore dell’altra. Quello di Jason batteva all’impazzata.

“Aria, io…Io non posso dirtelo. Se lo facessi, distruggerei ogni possibile speranza di avere un rapporto con te. Se non l’ho già distrutto quando ho provato a baciarti” rispose lui con la voce triste e affranta.

“E anche dicendole che la ami da sempre” intervenne Hanna un po’ fuori luogo. Aria la fulminò con lo sguardo. “…Che ho detto?” continuò la bionda non capendo. Jason quindi fece nuovamente per andarsene.

“Jason, ti prego. Devi dirci la verità. Noi proveremo a capirti, davvero!” rispose Aria.

“Non penso avverrà mai, mi dispiace” concluse lui che quindi tornò a camminare allontanandosi dalle due.

Al liceo di Rosewood intanto, Emily era seduta in sala docenti con il suo caffè caldo sotto il naso e lo sguardo perso nel vuoto. La sala era ancora vuota, e gli studenti non erano ancora arrivati. C’erano pochi professori presenti in sala. Fu raggiunta da Alison, anch’essa appena arrivata.

“Ehi, sei andata via presto questa mattina” intervenne Ali dandole un bacio.

“Sì, non riuscivo a chiudere occhio quindi sono uscita prima, scusami” spiegò Emily senza nemmeno guardarla in faccia.

Ali le si sedette di fronte e le prese la mano “Em, non succederà nulla alle nostre bambine, te lo prometto” aggiunse lei con decisione.

“Come fai a esserne sicura? Stavano per morire se quel cibo non fosse finito per terra! Questo pazzo ci ha fatto capire che è ben diverso da Mona, Charlotte o Melissa. Questa persona è un folle assassino che non si fermerà davanti a nulla!” la voce di Emily era oramai alta e spezzata dal pianto. Alison, senza pensarci due volte, la strinse subito a se. Un abbraccio lungo e pieno d’amore.

“Ucciderò chiunque tenterà di far del male alle nostre bambine, te lo posso assicurare. Risolveremo questa storia al più presto, e torneremo a quella famiglia che abbiamo faticato tanto per creare. Ma dobbiamo rimanere unite, altrimenti è la fine” continuò Ali tenendola stretta a se. Emily si era totalmente accasciata sulla spalla della sua amata Ali. Era la sua roccia.

In quel momento, Cassidy, con la sua valigetta e il suo solito tailleur, stava per entrare in sala docenti, ma non appena vide le due abbracciate, si fermò alla porta. Alison la vide, e le due si scambiarono uno sguardo piuttosto strano.

Cassidy non ebbe il coraggio di entrare e subito uscì dalla sala e si diresse nei bagni. Entrata in bagno, la donna andò di fronte lo specchio. Si guardò intensamente, mentre con la mente ritornò alla sera precedente. A quello che successe a casa sua con Alison. Il suo respiro era parecchio affannato.

Cassidy era ritornata con la mente alla sera prima. Alison, con il suo bellissimo vestito rosso, era seduta sul divano dell’appartamento di Cassidy. Era confusa, disorientata. Cassidy era in piedi a fissarla, speranzosa che dicesse qualcosa.

“A questo punto potresti dirmi qualcosa” aggiunse la giovane con un po’ di timore.

Alison quasi la fulminò con lo sguardo. “Cosa dovrei dirti? Grazie per essere stata sincera, ora possiamo metterci insieme?” ruggì lei.

Cassidy si avvicinò e si sedette sul divano accanto ad Ali. Erano molto vicine, e subito Alison si scansò.

“Non dico questo. Ti ho semplicemente chiesto se quando stai con me provi qualcosa, tutto qui” chiese Cassidy.

Alison era ancora più confusa “Se sento qualcosa? Cassidy io, io, tu ti sei avvicinata a me solo con lo scopo di provarci? Davvero?” continuò la bionda, cercando di sviare il discorso.

“No, mi sono avvicinata a te perché sei stata gentile. Dopo ho capito di essermi innamorata. E tu intanto continui a sviare la mia domanda” spiegò Cassidy.

Ali si sentì come in trappola. Si alzò di colpo “Non hai nessun diritto di farmi questa domanda” continuò.

“E perché no? Se non senti niente per me, puoi dirmelo tranquillamente” replicò Cassidy furbamente.

“Cass io, io, io ti voglio bene, sì. E sto bene con te. Ma, io sono sposata” continuò Ali.

“Continui a non rispondere alla mia domanda” rispose Cassidy decisa e alzandosi anch’essa. Si avvicinò ad Alison. “…Non allontanarti, aspetta un momento” aggiunse lei. Si avvicinò ancora di più e la prese dalle mani, impedendole di allontanarsi.

“Che cosa stai facendo?” chiese Alison in preda al panico.

“Se non vuoi rispondermi, penso che possa esserci un altro modo per capire davvero se provi qualcosa per me” rispose Cassidy.

Le due erano vicinissime. Il cuore di Ali batteva all’impazzata. Voleva allontanarsi, ma era come pietrificata. “…Devi solo star ferma” finì Cassidy, e quindi lentamente si avvicinò a lei, e la baciò.  Un bacio lento e sensuale. Alison ricambiò. Ricambiò perché capì di dover chiudere questa situazione. In cuor suo la situazione con Cassidy la agitava, le metteva confusione. Quel bacio poteva risolvere tutto. Un bacio che sembrava non finire mai. Poi però pian piano Alison si allontanò. Le loro labbra si divisero e rimasero a guardarsi. Occhi negli occhi.

“Wow” rispose Cassidy un po’ emozionata.

Alison non disse nulla. Si limitò a fissarla.

“…Non hai niente da dire?” chiese poi Cassidy.

Alison si ricompose. “I-Io, io devo andare. Devo andarmene! Devi promettermi che non lo dirai a nessuno, per favore!” la donna apparve subito in difficoltà, agitata. Cercò subito la borsa, la prese in fretta.

“Ali, te lo prometto. Non lo dirò ad anima viva, però aspetta. Per favore!” ribatté Cassidy speranzosa.

“No, mi spiace, ciao! E ancora tanti auguri” concluse Ali, e di colpo aprì la porta di casa e uscì, lasciando Cassidy sola e nella confusione più totale.

 

 

 

 

A casa Hastings, Spencer era seduta nel giardino, intenta a sorseggiare il suo immancabile caffè. Era pensierosa. Continuava a fissare il secchio dell’immondizia poco distante da lei. Ripensava a cos’era successo il giorno prima, o a cosa sarebbe potuto accadere alle bambine.

“Buongiorno tesoro” intervenne Veronica, facendo tornare Spencer con la mente al presente.

“Ehi mamma, mi hai spaventata” rispose Spencer parecchio assonnata.

Veronica si sedette accanto a lei e scrutò la figlia attentamente “Spencer, ma hai dormito stanotte?” chiese lei preoccupata.

“Non proprio” rispose Spencer piuttosto breve. Non aveva molta voglia di parlare.

Il telefono di Veronica squillò. Era Craig. Spencer scorse subito il nome dell’uomo sulla schermata del telefono. Veronica, con fare scocciato, girò il telefono con lo schermo sul tavolo. Spencer guardò la mamma piuttosto infastidita.

“Mamma” aggiunse lei con tono critico.

“Cosa? Non mi va di sentirlo. Sono stata chiara” ribatté mamma Hastings con poca affidabilità.

“No, tu hai deciso di non volerlo sentire. E’ diverso. E lo stai facendo solo per me. Mamma, se vuoi rivederlo e chiarire con lui, fallo. E’ su di me e le mie amiche che sta indagando. Non su di te” aggiunse Spencer.

“Lo so, ma chi tocca mia figlia, tocca anche me” rispose Veronica con un tono apparentemente deciso.

“Ok, ma lui ti manca?” chiese la giovane Hastings.

“E’ irrilevante” rispose Veronica.

“Ti manca?” replicò Spencer a tono.

Veronica gettò il suo scudo di durezza. Fissò la figlia con occhi tristi e spenti. “Sì…Molto” rivelò la donna. I suoi occhi avevano già dato questa risposta non appena Spencer l’aveva messa alle strette.

“Ecco, come immaginavo. Quindi cercalo. Ha sbagliato con me. Ha preso questo caso troppo seriamente, e non ha ragionato. Ma con te è sempre stato carino, gentile. E penso sia davvero innamorato di te. Quindi prova a parlarci” aggiunse Spencer con fare affettuoso.

Veronica prese la mano della figlia “Come farei senza di te” replicò la donna con un tono di voce dolce e pieno d’amore.

Spencer le sorrise, e fece per alzarsi. “Vado a fare una doccia” aggiunse.

 “Ah, tesoro, ma quando ritorni a lavoro?” chiese di colpo Veronica, gettando Spencer nel panico.

La donna si fermò sull’entrata di casa. Si voltò verso la mamma tentando di apparire tranquilla. “Eh beh, d-diciamo che le ferie sono un po’ più prolungate, sai, ho, ho lavorato molto. Ancora non lo so” Spencer era in totale difficoltà, ma riuscì a cavarsela.

“Ah ho capito, beh meglio così. Te le meriti” rispose Veronica tornando a sorseggiare il suo caffè.

Spencer tirò un sospiro di sollievo ed entrò in casa.

Al Radley Hotel, poco più tardi, Hanna era seduta a un tavolo intenta a sorseggiare del buon vino bianco, mentre spulciava alcune foto inviate da Caleb. Le foto lo ritraevano insieme alla bellissima Regina. Occhioni blu, capelli biondi, e un sorriso angelico. Hanna sorrideva di fronte le foto, alquanto malinconica. Poi scorse ancora di più la chat, e ascoltò un messaggio vocale inviatole da Caleb. Non appena partì, si sentì la voce di Caleb sovrastata da quella della piccola Regina che urlava.

“Ehm c-ciao amore, senti. Regina, sta calma! Oggi non ho avuto tempo di videochiamarti, lo facciamo stasera e, Regina ti ho detto di stare ferma, altrimenti niente gelato!” mentre Hanna ascoltava questa registrazione, rideva con gli occhi dell’amore. Una risata bella, spontanea, come solo Hanna Marin sapeva fare. Ma era anche tanto triste. Le mancava la sua famiglia. Il suo Caleb. La sua Regina. “…Comunque l’’Italia è più triste senza di te. Inoltre mi manca rimproverarti perché lasci il latte scaduto in frigo, quindi vedi di tornare. Mi manchi tanto, anzi, ci manchi tanto. A più tardi. Ti amo! Dì ti amo alla mamma, ciao mamma!” concluse Caleb con estrema dolcezza mentre si udivano i teneri gemiti della piccola e tenera Regina.

“Vi amo anch’io” sussurrò Hanna tra se e se, quindi posò il telefono sul tavolo e tentò di ricomporsi. Si guardò intorno.

Era in attesa di qualcuno. In quel momento sentì il tacco veloce e deciso di una persona che avanzava verso di lei. Qualcuno che si stava avvicinando al suo tavolo. Hanna era di spalle, quindi fece per alzarsi e si voltò sorridente, pronta a conoscere la sua possibile modella per la stagione autunno-inverno. Quando si voltò, però, si pentì amaramente. Kate Randall, la sua sorellastra, era di fronte a lei. Bionda, bella, alta, con un vestitino a fiori giallo senza spalline, e con quel finto e perfido sorriso che l’aveva sempre contraddistinta.

“Hanna Marin, non ci vediamo da secoli!” intervenne Kate con la sua solita e fastidiosa voce.

Hanna rimase impietrita. Non riusciva a dire nulla. La guardava totalmente sotto shock.

Poco dopo, le due erano sedute l’una di fronte all’altra, a quel tavolo, dove Hanna era sola pochi minuti prima, e dove forse avrebbe voluto continuare a rimanere sola. Kate stava sorseggiando un cocktail. Sembrava tranquilla.

Q-Quindi, in pratica saresti tu la modella che Mona voleva mostrarmi?” chiese Hanna confusa.

“Ah, Mona è la tua assistente, la nana? Sì, sono io!” rispose Kate con tono saccente.

Hanna tentava di rimanere calma. “Quindi, quindi fai la modella adesso?” chiese la giovane Marin-Rivers.

“Modella e attrice per l’esattezza! Dopo il liceo non me la sono sentita di continuare con l’università, quindi ho frequentato tre anni una scuola di recitazione, poi una di portamento e di dizione, e infine ho fatto un anno di corso a una scuola per future modelle. Ho inviato poi il mio curriculum qua e la, con le mie foto, e sono diventata il volto di una rivista milanese. Quando ho saputo che avevi lanciato la tua linea, e che eri venuta in Italia per qualche casting a qualche modella, ho pensato che sarebbe stato perfetto lavorare insieme! Mi sono presentata alla sede della tua casa di moda a Milano, e ho trovato quella lì, quella bassina che mi ha fatto il provino. Poi sono capitata qui per salutare alcuni parenti, e mi hanno detto che tu eri a Rosewood, e potevi incontrarmi di persona” raccontò Kate con accuratezza.

Hanna era un po’ incredula. “Quindi, quindi vuoi anche fare l’attrice?” chiese.

“Oh, ma certo! Ho avuto delle piccole parti in commedie italiane, ma ancora niente di che. Quando sono diventata il volto della rivista, ho messo un po’ da parte la recitazione” spiegò Kate.

“E come mai ora vorresti diventare una delle mie modelle?” chiese Hanna un po’ confusa.

“La rivista per la quale prestavo il volto, ha chiuso. Quindi ho disperato bisogno di tornare a lavorare” rispose Kate.

“Capito, beh, è davvero tanto strano, sai, ritrovarci qui dopo, dopo tutto questo tempo” rispose Hanna con una risata a tratti isterica.

“Hai ragione. Ce ne siamo fatte di cotte e di crude, però, eravamo giovani e stupide. Ora siamo delle donne adulte. E’ giusto lasciarci il passato alle spalle e ricominciare da capo. E’ passato tanto tempo. E magari, lavorare insieme potrebbe essere un punto di svolta per provare finalmente ad andare d’accordo e unire un po’ le nostre famiglie, non credi anche tu?” rispose Kate, apparendo sorprendentemente sincera.

“S-Sì, non, non sarebbe male. Comunque, mi scusi un attimo? Torno subito, vado un attimo alla toilette” intervenne Hanna, inventando una scusa e sparendo di colpo da lì. La donna entrò nei bagni del Radley, e tirò subito fuori il telefono. Trovò il numero di Mona e le telefonò. “Ciao, sono Mona, lasciate un messaggio dopo…” la voce di Mona riecheggiò nel bagno.

Hanna subito si apprestò a parlare “Mona, prepara i fiori per il tuo funerale, che ti farò io dopo averti uccisa brutalmente! Richiamami subito!” la voce della donna era alquanto furente, e staccò di colpo. Quindi tentò di calmarsi. Si specchiò, si sistemò i capelli, passò un po’ di rossetto sulle labbra, fece un respiro profondo e uscì dal bagno pronta a tornare al tavolo.

Veronica Hastings, dal canto suo, era appena entrata alla centrale di polizia. Si guardò intorno un po’ ansiosa e confusa, quando vide Craig seduto alla sua scrivania intento a leggere alcuni documenti. L’uomo però alzò lo sguardo e la notò subito, e si alzò all’istante, incredulo nel vederla lì.

La donna si avvicinò con passo svelto e gli si mise davanti. Rimasero a fissarsi. Veronica non disse nulla. Si limitava a fissarlo.

“V-Veronica, ciao” aggiunse Craig, tentando di trovare le parole giuste.

“Già, ehm, c-come va? Come vanno le indagini?” chiese lei tentando di sviare il discorso principale che l’aveva spinta ad andare lì in centrale a trovarlo.

Craig era alquanto confuso, ma decise di risponderle. “Non, cioè, non posso dire molto, ma, pare ci siano delle svolte riguardo al caso del piccolo Maxfields. A quanto pare c’era qualcosa nascosto nei suoi indumenti. L’hanno scoperto solo ora” rispose lui tentando di fare il vago.

“Ah, e su Addison Derringer? Avete scoperto qualcosa in più? Anche riguardo quelle foto trovate di mia figlia e le sue amiche?” chiese Veronica.

“Non ancora. Con il caso Derringer siamo ancora in alto mare, ma riusciremo a venirne a capo, stanne certa” rispose il detective convinto delle sue parole.

Ripiombò il silenzio. Nessuno dei due sapeva cosa dire. Craig fissava Veronica intensamente.

“Comunque, non mi aspettavo di vederti” aggiunse poi lui rompendo quell’imbarazzante silenzio.

“Nemmeno io pensavo di riuscire a perdonarti” rispose lei a sorpresa.

Di fronte queste parole, Craig rimase sorpreso. “Perdonarmi? Hai, hai deciso di darmi una seconda possibilità?” chiese lui sorpreso e con uno sguardo pieno di felicità.

“No, aspetta! Cioè, vorrei, vorrei provare a perdonarti. A darti una seconda possibilità. Non sono una tipa da smancerie, ma potresti mancarmi un pò” rispose Veronica eliminando per un po’ la sua aria da dura.

Craig le sorrise dolcemente “Mi sei mancata tanto anche tu” ribatté lui.

“Ci ho pensato tanto, e alla fine è stata Spencer a convincermi a parlarti” rispose Veronica.

“Tenterò in tutti i modi di scusarmi anche con lei, dico davvero” continuò lui deciso.

“No. Spencer lasciala fuori, almeno per il momento. Non è tanto propensa a parlare con te” rispose Veronica, conoscendo bene la figlia.

“Va bene, c-come vuoi” continuò lui, ancora un po’ frastornato.

Veronica quindi si guardò intorno. Capì che l’uomo non aveva ancora pranzato “Beh, t-ti va di pranzare assieme?” chiese lei.

Craig mostrò un sorriso ancora più grande. “Certo che mi va” rispose lui.

Veronica ricambiò quel sorriso.

Intanto, Emily era nuovamente seduta nel salotto di casa Derringer, e Felicity si stava sedendo sulla poltrona di fronte a lei con in mano una scatola rossa. “Sono contenta che tu sia qui, nonostante quello che ho fatto” spiegò Felicity sedendosi.

“Stia tranquilla. Aver avvertito la polizia penso fosse normale. Sono stata inopportuna, e mi scuso” rispose Emily educatamente.

“Spero di non averle creato problemi a scuola facendola venire qua” chiese con tono gentile la signora.

“No, stia tranquilla. Avevo le prime due ore libere, quindi non c’è problema” la tranquillizzò Emily.

“Bene, e come va a scuola? Come stanno le amiche di Addi? Non le ho più viste dopo il funerale. Prima erano sempre qui, insieme ad Addison, chiuse in camera a divertirsi” ribatté la signora Derringer con la voce triste e lenta.

Emily capì che stava cercando di non aprire il discorso per il quale lei era lì seduta. “S-Stanno bene, o almeno, sembra così. Ancora è dura per loro, come immagino per lei e suo marito, ma si fanno forza a vicenda. Sono ragazze in gamba. Soprattutto Willa. E’ un po’ il collante del gruppo in questo periodo” raccontò accuratamente Emily.

“Ah, strano, eppure sapevo che lo scorso anno lei e Addison avevano smesso di parlarsi” rivelò Felicity.

Emily rimase piuttosto confusa, ma non fece parecchio caso a tale rivelazione. Era più interessata ad altro.

Le due rimasero a fissarsi. La giovane Fields-DiLaurentis non poteva fare a meno di notare quella scatola rossa che destò la sua curiosità. “…S-Signora Derringer, però, perché mi ha fatto venire qua? Sembrava molto seria al telefono” continuò Emily.

“Sì. Ho tenuto questo segreto per troppo tempo. Ho bisogno di parlare con qualcuno. Qualcuno al di fuori di mio marito” ribatté Felicity.

“Signora Derringer, di cosa si tratta? Perché suo marito non vuole che me lo dica?” continuò Emily.

“E’ qui perché ho bisogno di dire la verità a qualcuno. E, non so, forse lei è la persona giusta con cui confidarmi. Mi sembra una persona buona. Robert non vuole che lo dica a qualcuno perché secondo lui è rischioso, ma, i-io, io non ce la faccio più” spiegò Felicity.

“Quale verità? Riguarda il piccolo Roger? Il motivo per il quale sua figlia avesse la foto?” chiese Emily curiosa.

Felicity sospirò. Aveva paura a parlare. Era terrorizzata. Deglutì, e poi aprì bocca “Roger…Lui era mio figlio” la donna sganciò la bomba in maniera sconvolgente, e lasciò Emily totalmente sbigottita.

Nel frattempo, Aria era seduta al Brew, in attesa di qualcuno. Sembrava piuttosto agitata. In quel momento entrò Jason. L’uomo si guardò intorno, e non appena vide Aria, sbuffò. Le si avvicinò “Senti, non ho tempo da perdere. Sto per incontrare il mio capo, che deve parlarmi di quando ritornare a lavoro, quindi per favore” intervenne lui piuttosto scontroso.

Aria lo fissò intensamente “Sono stata io a scriverti quel messaggio” rispose lei senza filtri.

Jason sorrise sorpreso “Dovevo immaginarmelo”

“Per favore, puoi sederti un attimo e provare a parlare con me?” chiese lei speranzosa.

“Dopo avermi cacciato via in quel modo quella sera?” replicò lui a tono.

“Lo so, ho sbagliato a trattarti in quel modo, e mi dispiace. Ma tu, tu hai provato a baciarmi, mi hai colto alla sprovvista, e sono impazzita” rispose lei sentendosi estremamente in colpa. La donna gli prese poi la mano. Jason rimase sorpreso. “…Ti fermi a parlare con me un po’? Per favore” la voce di lei era calma, sincera, gentile. Quella voce che Jason amava tanto. L’uomo sospirò, sbuffò un po’, ma alla fine cedette e si sedette.

“Ecco, mi sono seduto. Contenta?” chiese lui a braccia conserte.

Aria sorrise “Sì, lo sono” rispose lei.

“Lo so di cosa vuoi parlare. Di Addison” aggiunse lui convinto della cosa.

“No, o almeno non ora. Ora vorrei un attimo parlare di me e te” rispose lei.

A Jason tremarono le gambe di fronte queste parole. Aria voleva parlare di loro due. Del loro rapporto. Non poteva crederci.

“Dici sul serio?” chiese lui incredulo.

“Sì, dopo, dopo quel bacio, e dopo quello che hai detto quando eri ubriaco, ho capito che dobbiamo parlarne” rispose Aria decisa e pronta ad affrontare l’argomento.

A casa Derringer, Felicity, dopo aver sganciato la bomba, stava mostrando a Emily il contenuto della scatola rossa. Erano foto del piccolo Roger, insieme ai suoi genitori, foto che lo ritraevano in momenti felici. Emily ne aveva alcune in mano e le osservava minuziosamente. Una giovane Felicity appariva nelle foto con in braccio il suo bambino, in altre appariva anche il padre del ragazzino. Sembrava una grande famiglia felice.

“Erano, erano i primi anni del 2000, ed io e il mio ex marito vivevamo a New York. Roger era un bambino adorabile. Sempre allegro. Sempre buono con tutti. Quando lui era in casa, c’era un’atmosfera felice, di festa. Io e Alan però non eravamo felici. Per niente. Non andavamo più d’accordo. L’amore era svanito. Così un giorno, incontrai Robert” rispose Felicity.

“Intende suo marito? Il padre di Addison?” chiese Emily.

“Esattamente. Poco tempo dopo, chiesi il divorzio ad Alan. Non potevo continuare ad andare avanti in un matrimonio fasullo. Con Robert ricominciai a vivere, e dopo la sparizione di Roger, rimasi incinta” continuò Felicity.

“Di Addison” incalzò Emily.

“Esatto” continuò Felicity.

“Ma cosa è successo a Roger esattamente?” chiese la giovane, piena di curiosità.

“Era l’estate del 2001. Io mi ero trasferita a Rosewood con Robert. Roger aveva deciso di passare il weekend con me e Robert alla casa estiva dei Derringer, vicino la zona dei laghi di Rosewood. E d’un tratto, scomparve…Ritrovarono solamente le sue scarpette di ginnastica nel lago. Le ricerche continuarono per settimane, mesi, ma non fu mai ritrovato. Ora so il perché. Quando, q-uando ho sentito la notizia in TV, non ci potevo credere. Era come se fossi stata catapultata nuovamente in quell’incubo. Come se avessi perso mio figlio due volte” spiegò Felicity.

“Ma, loro, loro cercano una certa Laura Cooper, che pare sia la madre di Roger. Era lei quindi?” chiese Emily.

“Sì, mi chiamavo Laura. Assurdo sentire di nuovo questo nome. Dopo, dopo che Roger sparì, io, io mi annullai completamente. I giornalisti ci stavano addosso, così come la polizia, tutti. Tutti volevano capire cosa fosse successo l bambino scomparso nel lago Grayson. Io ero arrivata al limite. Non volevo più avere niente a che fare con Rosewood. Subito dopo la nascita di Addison, chiesi a Robert di allontanarci un po’ dalla città. Ci trasferimmo in Svizzera. Lì cambiai nome. Divenni Felicity Derringer. Volevo chiudere col passato. Con quel passato che mi aveva fatto soffrire. Volevo dimenticare ciò che era successo al mio bambino. Faceva troppo male pensarci. Cambiai tutto di me” spiegava la signora Derringer mentre la sua voce era oramai rotta dal pianto, mentre ripensava al passato.

“E come mai siete tornati a vivere qui a Rosewood?” replicò poi Emily, presa dal discorso.

“Dieci anno dopo, a causa di un’offerta di lavoro, tornammo a vivere qui in questa città maledetta. E oramai la città si era dimenticata di Roger. Nessuno ne parlava più. Era solo un lontano e doloroso ricordo per tutti” spiegò Felicity mentre la sua voce era rotta dal pianto.

Un pianto doloroso e pieno di tristezza che dimostrava quanto ancora le facesse male quella storia. La storia di un figlio scomparso e dimenticato. Risucchiato in quella spirale chiamata indifferenza.

Emily era alquanto sconvolta “P-Perché non si è rivelata alle autorità quando hanno ritrovato i resti di Roger?” chiese giustamente la donna.

Felicity rimase a riflettere mentre fissava una foto del suo bambino “Perché, perché non avevo il coraggio di affrontare tutta questa situazione. L’aver ritrovato quel che resta del suo corpo, sotto terra, sta a significare che qualcuno l’ha ucciso e l’ha seppellito affinché non fosse trovato. E dover cercare una soluzione alla morte di mio figlio, fa troppo male. Dovermela vedere nuovamente con la polizia, con i giornalisti. Non ci riuscirei, soprattutto, soprattutto perché lo sto già facendo per, per Addison”

“E il suo ex marito ha accettato questa cosa? D-Di non riconoscere Roger come suo figlio non appena è stato ritrovato? continuò Emily piena di domande.

“Ha rispettato la mia scelta. Ci siamo incontrati e abbiamo pianto insieme la morte di Roger. Ma non ha rivelato nulla su di me. Nessuno può ricordarsi di me. Rosewood aveva dimenticato Roger, come potevano ricordarsi di sua madre?” spiegò Felicity.

In quel momento, Emily si rese conto che la donna aveva scoperto della morte di due dei suoi figli, nello stesso giorno. Un dolore sicuramente inimmaginabile. “S-Signora Derringer io, io non so che dirle” rispose Emily tentando di cercare dentro di se le parole giuste. Ma non ne aveva. Non le trovava.

“Non deve dire niente. Ma, ma riuscire a dire la verità a qualcun altro oltre mio marito, è stato, è stato liberatorio. Adesso, il pensiero che la morte di Addison possa essere collegata a Roger, mi perseguita giorno e notte” spiegò la donna con un tono di voce parecchio spaventato.

“Pensa che possa esserci un collegamento? O che magari la persona che ha ucciso Roger, possa essere la stessa che ha ucciso Addison?” chiese Emily.

“Io non lo so. So solo che un anno fa, Addison ritrovò le foto di Roger, e fui costretta a dirle ogni cosa. Da quel momento, non fu più la stessa. Faceva misteriose telefonate, usciva di casa di nascosto. Una notte tornò a casa con un livido in faccia” raccontò accuratamente Felicity.

Le parole di Felicity, ci catapultarono nel passato. In un flashback di poco tempo prima della scomparsa di Addison. La giovane Derringer era appena rientrata in casa, in piena notte. Si teneva la guancia destra col palmo della mano, e sembrava lamentarsi. Non appena entrò, tentò di muoversi in punta di piedi, per non fare rumore. La luce della cucina si accese di colpo. Sua madre Felicity era seduta al tavolo, vestaglia addosso, e sguardo furioso. Addison rimase immobile. Era stata beccata. Tentava, però, di nascondere la guancia.

“Pensi che non ci saremmo accorti che in camera tua non c’eri?” ruggì Felicity.

Addison fece per andarsene al piano di sopra “Mamma, lasciami in pace” esclamò, continuando a nascondere la guancia. Subito però Felicity la prese dal braccio.

“No signorina, in camera tua non scappi questa volta!” continuò mamma Derringer furiosa, e tenendola dal braccio, scoprì il suo volto. Sulla guancia destra aveva un livido viola non indifferente. Addison non riusciva a guardare la mamma negli occhi. “…Oh mio dio. Chi ti ha ridotto così?” chiese subito la donna, presa dallo sconforto e dalla preoccupazione.

“Nessuno, sono semplicemente inciampata e ho battuto la faccia. Scusami se sono uscita, volevo vedermi con Ava per chiacchierare un po’. Non lo farò più, ok? Ciao!” Addison tentava di sviare il discorso, ma Felicity non le lasciava il braccio.

“Credi davvero che io mi beva la scusa della caduta? Addison, giuro su dio che se non mi dici chi ti ha ridotto così, avvertirò la polizia“ Felicity sembrava decisa e piuttosto furiosa.

Addison di colpo si calmò, guardò in faccia la madre “Magari se mi avessi detto prima di Roger, tutto questo casino non sarebbe successo, non credi? Ora lasciami!” Addison si dimenò e riuscì a liberarsi dalla morsa della madre, che apparve confusa di fronte questa frase. Era come se avesse capito chi potesse averle alzato le mani.

“Addison, che, c-che intendi dire?” chiese in preda al panico.

“Come ti ho già detto, sono caduta. Ora vado a dormire, tanto so già che sarò in punizione da qui fino all’anno prossimo. Buonanotte!” Addi quindi, con fare scocciato, salì al piano di sopra, lasciando la madre in uno stato alquanto provato.

 

 

 

 

“E non ha mai parlato alla polizia dopo quel fatto?” chiese poi Emily, tornate nel presente.

“Volevo farlo. Il giorno seguente tentai nuovamente di parlare con Addison, prima di rivolgermi alle autorità. Tornò a tirar fuori il discorso di Roger. Il fatto che avrei dovuto dirglielo prima. Lì, lì capii chi le aveva provocato quel livido. Quindi ero decisa a rivolgermi alla polizia, ma, ma non me lo lasciò fare” rispose Felicity.

“Chi? Chi non glielo lasciò fare? Addison? Il suo ex marito?” chiese Emily sempre più confusa.

“No, Alan è un angelo. Ci stiamo sentendo in questi giorni. Per farci forza a vicenda” rispose Felicity.

“E allora chi? Il padre di Addison?” continuò Emily imperterrita.

“No. Emily, c’è, c’è qualcos’altro che lei non sa, ed io, i-io…” Felicity sembrava terrorizzata. In quel momento le squillò il telefono. Era un sms. Non appena aprì il messaggio, sbarrò gli occhi. Sembrava sconvolta. Terrorizzata. Subito poso il telefono sulla poltrona, accanto a lei.

“Signora Derringer, la prego, deve spiegarmi” continuò Emily.

“E’ stato un errore! Emily, la prego, se ne vada!” Felicity era tornata a essere la donna scontrosa del giorno precedente. Si alzò di colpo dalla poltrona e fece alzare anche Emily.

“Ma, mi stava raccontando tutto. Perché ora fa così?” chiese Emily.

Perché, perché non posso. Senta vada via! Dimentichi questa storia, la prego!” continuò Felicity, cacciandola letteralmente di casa e chiudendole la porta in faccia. Emily rimase senza parole e ancora più disorientata. Non ci aveva capito nulla. E quello che aveva scoperto, l’aveva destabilizzata.

In casa, Felicity fece un respiro profondo, poi si diresse alla poltrona e prese il telefono, leggendo nuovamente l’sms. Era una foto di suo marito Roger, a un’auto lavaggio intento a lavare l’auto, e c’era un messaggio allegato alla foto “Posso farlo fuori in qualsiasi momento. Tieni la bocca chiusa o gli faccio raggiungere i tuoi figli” l’sms era agghiacciante. Aveva terrorizzato totalmente Felicity. Lo si poteva notare nei suoi occhi pieni di paura.

Nella camera di Hanna al Brew, la donna era seduta sul letto, mentre aspettava che Kate uscisse dal bagno.

“Allora, hai finito?” chiese la donna, alquanto scocciata. Sul letto, intorno a lei, c’era una marea di vestiti bellissimi.

“Sì, un momento! Eccomi!” esclamò Kate, arrivando con uno sfarzosissimo e bellissimo vestitino viola. Un tipico vestitino autunnale, lungo fino alle ginocchia, con tante decorazioni floreali intorno. Kate lo indossava divinamente, e Hanna questo lo notava.

“Wow, ti, ti sta davvero bene!” aggiunse Hanna sorpresa.

“Quindi posso posare per la tua linea?” chiese subito Kate.

“No, aspetta! Non lo so, insomma, devo, devo riflettere bene, ci sono anche altre candidate. Poi comunque, avevo giusto qualche capo qui con me a Rosewood, q-quindi, non so, devo pensarci bene, e parlare anche con Mona” rispose Hanna.

“Ma quante hanno il mio portamento?” chiese Kate sicura di se.

Hanna non rispose. Rimase lì a fissarla. Era oggettivamente bella con quel vestito addosso. Proprio in quell’istante, bussarono alla porta, e senza aspettare l’invito, la persona entrò di colpo. Era Emily. “Hanna, dobbiamo…Ehm, parlare” Emily apparve sconvolta nel vedere Kate. “…K-Kate? Wow, ciao!” aggiunse la donna alquanto incredula.

“Ti piace la sorpresa che mi ha fatto Mona?” chiese Hanna ironica e piuttosto disperata.

“Ciao, tu sei Emily, giusto? Quella dell’altra sponda, caspita è passato un sacco di tempo!” rispose Kate, raggiungendola e abbracciandola in modo fin troppo appiccicoso. La situazione era buffa mentre Hanna si disperava alle spalle di Kate.

“Ok, senti Kate, perché non vai a cambiarti? Abbiamo provato almeno la metà dei miei vestiti, quindi, quindi facciamo che per oggi finiamo qui, e ti farò sapere?” chiese Hanna sperando di levarsela di torno.

“Va benissimo, corro a cambiarmi!” rispose Kate, e quindi tornò in bagno.

Emily guardò Hanna alquanto confusa. “Kate? Seriamente?” chiese lei.

Non…Dire…Altro rispose Hanna con fare da schizzata, e si gettò sul letto disperata.

Nel primo pomeriggio, a scuola, Alison stava finendo di tenere l’ultima lezione. “Mi raccomando, pagina 25 è importante. Domani potrei fare delle domande a sorpresa, attenti!” spiegò la donna in modo autorevole, mentre riordinava i libri e metteva tutto nella sua borsa. Poi tirò fuori il telefono. C’era un messaggio in segreteria da Emily.

“Ehi Ali, ho parlato con la mamma di Addison. Meglio vederci da Spencer e parlarne tutte insieme. Ti aspetto lì appena finisci a scuola. Ti amo, a più tardi”. A quel ‘ti amo’, Alison sorrise come una bambina emozionata. Quindi mise il telefono nuovamente in borsa e tornò a riordinare le sue cose.

In quell’istante nella classe apparve suo padre Ken. “Ciao Ali”.

Alison sobbalzò.

“Mi hai fatto prendere un colpo” esclamò lei. Poi tornò a rimettere a posto la roba, senza curarsi della presenza dell’uomo.

“Non volevo, scusami, è che dopo che hai ignorato i miei messaggi, ho pensato di venire direttamente qui” rispose lui avvicinandosi.

“Hai fatto un viaggio inutile. Non voglio parlare. E oggi ho avuto una giornata davvero stressante, quindi non ho proprio voglia di discutere anche con te, per favore” Alison sembrava decisa, quindi fece per uscire dalla classe.

“Alison, per favore. Ho bisogno di parlare con te!” implorò lui.

Alison si voltò di colpo “Hai bisogno? Davvero credi di essere in diritto di poter pretendere che io ti rivolga la parola? Io, io mi sono fidata di te. Mi sono confidata, ti ho raccontato della mia vita, del mio matrimonio, delle mie figlie. Le tue nipoti! E tu, tu mi stavi solo usando per spillarmi dei soldi. Con quale coraggio pretendi che io ti rivolga parola?” Alison era dura, molto dura. Ken non disse altro. Rimase a fissarla con il volto abbattuto. “…Ecco, appunto, hai capito” concluse lei, e fece per andarsene nuovamente.

“Alison, io ti voglio bene” Ken aggiunse queste parole di colpo, con la voce rotta dal pianto. Queste parole fecero fermare Alison. La  donna si voltò verso suo padre. Lo trovò in lacrime. Lacrime che gli rigavano il viso in maniera irrimediabile. La donna rimase a fissarlo. Aspettava qualche altra parola. Un ‘ti voglio bene’ non le bastava.

“…I-Io, io ho sbagliato tutto con voi, sin dall’inizio. Con tua madre, con Jason, con…con Charlotte. Volevo avere la famiglia perfetta, quella senza difetti, quella che la gente guardava con invidia e sperava di avere dei figli perfetti come i miei. Poi, p-poi è accaduto il fatto di Charles, ed io, i-io sono andato fuori di testa. Ero così interessato al giudizio degli altri, al punto da rinunciare a quello che per me era diventato oramai un figlio, pur di salvare il buon nome della mia famiglia. Ho, ho ripudiato Jason quando dovevo solamente accettarlo. Ho fatto tutto per paura del giudizio degli altri, e ho sbagliato. Avrei dovuto vivermi la mia famiglia. Avrei dovuto ringraziare per ciò che la vita mi aveva donato, aldilà di tutto. Invece, invece ho rovinato tutto. Sino a oggi. Continuo a rovinare tutto. Se c’è però una cosa che so per certo, è che, è che ti voglio bene, e, e mi dispiace tanto”  Ken era finalmente riuscito a dire quello che in anni e anni non aveva mai detto. Era riuscito a chiedere realmente scusa per tutto. E si sentiva in colpa, tanto in colpa.

Alison iniziò ad abbassare il suo scudo di difesa. “Non…Non mi hai mai detto ti voglio bene” rispose lei alquanto sorpresa.

Ken si avvicinò ancora di più “…I-Io, io lo so che merito il tuo disprezzo, lo so che ho sbagliato a ritornare da te solo con l’intento di avere i tuoi soldi, ma, m-ma il tempo passato insieme, per me, p-per me è stato prezioso. Avevo bisogno del tuo aiuto, questo sì, ma anche, a-anche di poter ritrovare mia figlia. Tu, tu sei la cosa più importante, la cosa più buona e pura che io abbia mai fatto in tutta la mia squallida vita. Alison, ti prego…Devi credermi” il pianto di Ken era straziante.

Alison sentiva come se il suo cuore fosse stato preso, strappato dal petto e gettato a terra, mentre glielo calpestavano. Gli occhi di lei si colmarono di lacrime. Tentava di non versale, ma invano. Ken le si avvicinò. Si avvicinò e improvvisamente si accasciò a terra e la abbracciò. La abbracciò cingendola in vita, e continuando a piangere, sporcandole di lacrime il vestito a pois che indossava. Alison sentiva come suo padre la stringeva forte. Così forte da non volerla lasciare andare. E piangeva, piangeva a dirotto. E lei lo lasciò fare. Non aveva la forza di cacciarlo via. Non poteva.

Poco più tardi, al Brew, Jason e Aria stavano sorseggiando del caffè caldo. La situazione sembrava piuttosto serena.

“Avresti dovuto parlarmi di quello che provavi. Lo sai, vero?” intervenne Aria.

“Lo so, ma non è facile dire a una donna sposata e con una famiglia, che la amo. Purtroppo l’alcool l’ha rivelato al posto mio” spiegò Jason.

Aria lo scrutò intensamente. “Jason, perché? Perché sei tornato a bere? Stavi davvero andando bene” rispose lei, visibilmente dispiaciuta.

“Perché probabilmente non l’ho ancora superata. Perché mi è bastato il casino fatto con te per farmi toccare di nuovo la bottiglia. Probabilmente sono ancora troppo debole. L’alcool riesce ancora a rovinarmi.  Forse, forse avrei bisogno di un aiuto maggiore” continuò lui pensieroso.

“Forse hai ragione” rispose Aria. La donna continuò a fissarlo, e Jason faceva lo stesso. Aria quindi gli prese lentamente la mano e la strinse alla sua. Il cuore di Jason iniziò a battere forte, come se volesse uscire fuori dal petto.

“…Jason, io ti voglio bene. E voglio che questo sia chiaro. Tutto quello che è successo in questi ultimi giorni, non ha cambiato di una virgola il sentimento che provo per te. Però, però io amo Ezra. Io oramai ho la mia famiglia, la mia vita. Mio figlio. Sono felice. E vedere te così mi distrugge, perché io ti conosco bene. Ti conosco meglio di chiunque altro, forse anche più di Alison e Spencer, e so che dietro questa corazza da duro, c’è l’uomo con il cuore più grande che abbia mai conosciuto. Quell’uomo che mi ha portato al luna-park di nascosto e nel bel mezzo della notte, perché avevo avuto la febbre quel giorno. Quell’uomo che cercò in tutta Roma il gelato vegano perché sapeva che a me piaceva, e voleva fare di tutto per trovarlo. Tu sei un uomo fantastico Jason. E lo sai. E lì fuori, lì fuori c’è una ragazza pronta ad amarti come meriti. A farti dimenticare il passato, e a vivere un amore meraviglioso e unico. Ed è quello che meriti. Semplicemente, non con me” Aria aveva detto parole giuste. Parole piene d’affetto per una persona per lei importante. Jason rimase spiazzato. Non si aspettava quelle bellissime parole da parte di Aria. Era come pietrificato. Non aveva salivazione. Non riusciva a parlare.

“I-Io…Io non so cosa dire” rispose Jason, tentando di trovare le parole giuste. Era visibilmente emozionato.

Aria sorrise con lui “Non devi dire nulla. Solo fare tesoro di quello che ti ho detto, e cercare quell’amore grande e bellissimo che meriti di avere” terminò la giovane, con saggezza. Jason ricambiò il sorriso.

“Ti voglio bene, Aria” aggiunse lui sincero.

“Ti voglio bene anch’io, Jason” rispose Aria. Poi le squillò il telefono. Quel momento fu interrotto da un sms inviato da Emily nella chat di gruppo. “Riunione a casa di Spencer, ora” questo diceva il messaggio. “…Detto ciò, mi sa che devo lasciarti” continuò poi Aria prendendo la borsa e facendo per andarsene.

“Aspetta! Devo, devo dirti di Addison” rispose lui.

Aria quasi sobbalzo. Aveva completamente dimenticato il discorso di Addison. Quindi si sedette nuovamente.

“Ok, ti ascolto” rispose la donna, seriosa, pronta ad ascoltarlo. Jason quindi fece un sospiro, pronto a parlare.

Nel frattempo, Emily era appena arrivata al liceo, e stava entrando nell’edificio, mentre era al telefono con Hanna. “Ho dimenticato qui i risultati della gara di nuoto della scorsa settimana, e mi servono. Ali ha dimenticato di prendermeli. Non riesci ad aspettare due minuti in auto senza che tu mi chiama ogni secondo? Arrivo subito!” spiegò la donna, e staccò la chiamata. Quindi si diresse in sala docenti, e non appena entrò, trovò lì Cassidy.

La donna era da sola, intenta a correggere alcuni compiti. Emily sobbalzò dallo spavento.

“Caspita, Cassidy ma che ci fai qui tutta sola?” chiese la donna curiosa.

“Emily, ciao! Nulla, stavo finendo di correggere alcuni compiti. Qui riesco a concentrarmi di più. Non so perché” rispose lei.

Emily quindi cercò nel suo armadietto i documenti che le servivano. Appena li trovò era pronta ad andarsene, ma vedendo Cassidy lì da sola, le si avvicinò un po’ incuriosita. “Comunque, tanti auguri per ieri” aggiunse lei tentando di seppellire ancora una volta l’ascia di guerra.

“Grazie, anche se sono consapevole di aver rovinato tutto, scusami” rispose Cassidy. Emily aggrottò la fronte. Non capiva di cosa stesse parole. Quindi si sedette accanto a lei.

“Parli della festa di compleanno? Tranquilla, mi è già passata. Capisco che con Ali hai un rapporto d’amicizia, ed è giusto che tu lo abbia festeggiato con chi ritenevi opportuno” rispose Emily pensando parlasse del suo non invito.

“Dici? Perché dovresti prendermi a pugni per esserci baciate, e invece sei qui a parlarmi. Sei davvero comprensiva” rispose Cassidy, sganciando la bomba. Emily non capì subito di cosa stesse parlando.

“Baciate? Tu, c-che intendi dire?” chiese la giovane.

“Io e Ali. Immagino te lo abbia subito detto. E sei davvero matura e comprensiva, dico sul serio” rispose Cassidy fingendosi affranta e addolorata.

Emily si pietrificò. Non riusciva a muoversi. Non sapeva cosa dire. Fissava Cassidy senza proferire parole. Cassidy si accorse dello sguardo sconvolto della donna, e sbarrò gli occhi.

“Oddio, i- io, io credevo lo sapessi” rispose Cassidy apparentemente mortificata. Emily si alzò lentamente. Dalla sua bocca non usciva un suono. Andò verso l’uscita della sala docenti. “…Emily, m-mi dispiace, davvero!” continuò Cassidy.

Emily si voltò verso di lei prima di uscire “Se proverai ancora a rivolgermi parola, vedrai un lato di me che non ti piacerà” solo questo aggiunse. Poche parole, ma chiare e concise. Quindi lasciò in fretta la sala docenti, e non appena Cassidy rimase da sola, un perfido e soddisfatto sorriso apparve sul suo volto.

A casa Hastings invece, Spencer, Alison e Aria erano sedute nel salotto. Erano pensierose. Si poteva sentire solamente il ticchettio dell’orologio a pendolo appeso sul camino. Spencer scrutò Aria.

“Jason è davvero sicuro di ciò che ti ha rivelato?” chiese poi Spencer ad Aria, rompendo il silenzio.

“Sì. Ragazze, quella notte non aveva bevuto. E’ sicuro di ciò che ha visto, fidatevi” rispose Aria decisa.

“Ragazze, io, io stavo pensando. E se andassimo alla polizia?” chiese a sorpresa Alison.

“Non esiste” replicò Spencer decisa.

“E perché? L’ultima volta, se fossimo andate alla polizia, non avremmo vissuto quell’inferno, e sia Charlotte che Alex Drake sarebbero finite dietro le sbarre da molto tempo” rispose Ali sicura delle sue parole.

“Ma è anche vero che questo folle è diverso da Charlotte, o da Melissa” rispose Aria, dicendo il giusto.

“Esatto. Questa persona non si farebbe scrupoli a uccidere due bambine innocenti. Cosa pensi che farebbe se rivelassimo alla polizia ogni cosa?” rispose Spencer.

“Che poi, cosa? Non sappiamo nemmeno perché stiamo ricevendo questi messaggi” rispose Aria piuttosto confusa.

“Se magari tu andassi a trovare Mary, per chiederle qualcosa in più su Melissa, forse-” aggiunse Ali tentando di riaprire il discorso di Mary Drake, e di ciò che Hanna sentì quando era andata nel carcere della contea. Spencer però non la fece nemmeno finire di parlare, la fulminò con lo sguardo

“Non sono pronta ad andare a trovarla, chiaro?” rispose la giovane Hastings stizzita e specificando il ‘chiaro’.

“Spence, lo capiamo, però deve esserci un nesso. Non dimentichiamoci che Addison aveva addosso i vestiti di tua sorella. E se lei fosse ancora in giro e avesse ripreso il gioco?” ricordò Aria tentando di farla ragionare, e facendo una domanda più che legittima.

Spencer la guardò quasi intristita, mentre le si gelò il sangue al pensiero che sua sorella potesse essere dietro queste nuove minacce “Non insistete, vi prego. Al momento giusto andrò. Ora concentriamoci sulle cose concrete che sappiamo” concluse lei più quieta.

In quel momento arrivarono anche Hanna ed Emily, che entrarono dalla porta che dava sul giardino.

“Eccoci qua, scusate il ritardo!” aggiunse Hanna un po’ affannata e sedendosi al tavolo. Ali cercò subito lo sguardo di Emily, che però con un solo sguardo le fece quasi accapponare la pelle, era duro e pieno di disprezzo, e dopodiché quest’ultima si sedette accanto a Spencer, lontana da Alison.

“Allora? Quali sono le novità a parte la mia sorellastra malefica che vuole lavorare per me?” intervenne Hanna.

“Cosa? Intendi, intendi Kate? Proprio Kate Randall?” chiese Spencer incredula.

“Stai scherzando?” ribatté Aria, anch’essa alquanto sbigottita.

“Vi risulta che abbia qualche altra sorella malefica da qualche parte del mondo? A quanto pare vuole diventare il volto della collezione autunno-inverno. E la cosa che odio di più, è che è perfetta. Anche se non capisco cosa diamine ci facesse già qui a Rosewood” rispose Hanna confusa.

Spencer e Aria si lanciarono delle occhiate, così come con Alison. Hanna, talmente presa dai suoi pensieri, non si accorse degli sguardi complici e perplessi delle sue amiche. Emily però sì, e non stette zitta.

“Ragazze, che succede? Perché quegli sguardi” chiese la giovane notando gli scambi di sguardi, e attirando anche l’attenzione di Hanna.

Aria fece un sospiro “Jason, Jason mi ha raccontato ciò che sapeva su Addison” spiegò.

Il racconto di Aria, ci catapultò nel passato. Alla notte del pigiama party. La notte in cui Addison scomparve. La ragazza era nel giardino di casa di Willa. Era seduta a un tavolino, e continuava a guardare l’orologio, piuttosto impaziente. Non aveva più addosso il suo cerchietto blu. In quel momento, dai boschi vicino il granaio, apparve…Jason. Il ragazzo sembrava piuttosto spaventato. Si guardava intorno impaurito.

“Era ora! Stavo per congelare qui fuori! Prima al telefono avevi detto che stavi arrivando. Ed è passata più di mezz’ora” intervenne Addison alzandosi in fretta e stringendosi su se stessa per il vento freddo che li circondava.

“Scusa, ho fatto tardi. Sicura che non ti hanno vista le tue amiche?” chiese Jason preoccupato.

“Sì, sono sicura. Allora, la vuoi o no?” chiese lei, e tirò fuori una bustina contenente della polvere bianca. Era droga.

“S-Si, certo. Ma evita di sventolarla in questo modo!” ruggì lui, prendendogliela dalle mani.

Addison quindi sorrise e allungò il braccio, aprendo la mano destra “Tu intanto paga. Non penserai di potertene andare con quella, senza darmi i soldi che mi spettano. Avevamo un patto” rispose Addison decisa.

Jason sbuffò, e quindi tirò fuori dalla tasca una cifra consistente di denaro e la porse alla ragazza. Addison sorrise soddisfatta e li mise nella tasca di dietro dei suoi jeans.

“Bene. Adesso puoi anche dimenticarti che esisto. E se fai parola con qualcuno di ciò che è successo, la pagherai cara” rispose Addison con una perfidia non da poco.

“Sei solo una ragazzina che gioca a fare l’adulta” rispose lui con tono dispregiativo.

“Una ragazzina che ha tutte le conversazioni salvate in cui m’implori di venderti la droga che ti ho appena dato, perciò, sta molto attento Jason DiLaurentis” rispose lei senza avere un minimo di paura. I tuoni che provenivano dal cielo, li interruppero. Addison aveva ancora quel perfido sorrisino stampato in faccia.

Jason non disse nulla. Fece semplicemente per andarsene e si addentrò nei boschi. Mentre lo fece, però, qualcosa lo spinse a fermarsi e a voltarsi verso Addison. La ragazza si stava dirigendo in fretta dietro il granaio. L’uomo, preso dalla curiosità, andò dall’altra parte, sempre rimanendo nei boschi, perché voleva vedere cosa stesse combinando. E sul retro del granaio, Addison stava discutendo con Kate Randall, la sorellastra di Hanna. Jason la riconobbe subito.

 

 

 

 

Hanna, nel presente, era leggermente sconvolta. “Ecco perché era già a Rosewood. Sta tentando di nascondere le su tracce ora che hanno trovato il corpo di Addison” rispose la giovane, traendo già le sue conclusioni.

“Jason disse di averla riconosciuta perché una volta gliela mostrasti tu in foto. Inoltre, mi ha assicurato che fu l’unica volta in cui comprò quella roba, che subito gettò via e non ne fece uso. Era un periodo difficile, e aveva bisogno di distrarsi, ma non la usò. Me l’ha assicurato. Ed io gli credo. Non ha il coraggio di confrontarsi con voi, ha paura della vostra reazione” continuò Aria convinta di ciò che diceva e rivolgendosi soprattutto ad Ali e Spencer.

“Però, caspita, droga? Aveva comprato della droga?” chiese Spencer con un tono di voce sorpreso e deluso.

“Penso fosse il periodo in cui ha iniziato a bere. Aveva perso da poco il lavoro” aggiunse Ali.

“Esatto. Addison conobbe Jason ad una festa universitaria. Lì Addison lo avvicinò spiegandogli che aveva della roba che poteva farlo sballare, e quindi si misero d’accordo per incontrarsi. Ma gettò via quella roba prima ancora di usarla, e iniziò a bere. Lo so, non è di certo una consolazione, però almeno sappiamo che non è un drogato, e ora si sta anche riprendendo dall’alcolismo. Bisogna solo dargli tanto aiuto” rispose Aria sperando di riuscire a tranquillizzare le amiche.

“Non so quanto ci si possa fidare della forza di volontà di Jason ultimamente” aggiunse Emily stizzita.

Alison la fissò quasi offesa, ma Emily non ricambiò il suo sguardo.

“Se Jason dice di non aver usato quella droga, io gli credo. Voglio credergli” intervenne Ali in difesa del fratello.

“Anch’io” replicò Spencer.

Le ragazze erano piuttosto confuse.

“Addison quindi era una spacciatrice? Ma che programma sarebbe? ‘Non sapevo di essere una pusher’?” intervenne Hanna non facendo mancare la sua ironia nemmeno in quel momento. Tutte la guardarono un po’ male, ma lei non ci fece per niente caso.

“Quindi cosa dobbiamo pensare? Che Kate ha ucciso Addison? Cosa c’entrerebbe con questa storia?” intervenne Emily tornando sull’argomento Kate Randall.

“Piuttosto, tu cosa hai scoperto?” chiese Spencer all’indirizzo di Emily.

“Non ci crederete mai. Roger Maxfields? Era  figlio di Felicity Derringer, nonchè fratellastro di Addison” spiegò la donna. Tutte rimasero sconcertate.

“Che cosa?” esclamò Hanna incredula.

“Sì, a quanto pare la donna era sposata con un altro uomo, il padre di Roger, un certo Alan, poi si mollarono, si mise col padre di Addison, e tentò di dimenticare la storia del figlio scomparso. Il problema è che Addison aveva scoperto che Roger era suo fratello, prima di sparire, e qualcuno a quanto pare l’ha zittita per sempre, rapendola e poi uccidendola” aggiunse Emily.

“Come fai a esserne sicura?” chiese Aria.

“Per quello che la signora Derringer stava per raccontarmi prima di cacciarmi di casa. E’ terrorizzata da qualcuno. E penso sia lo stesso qualcuno che ha ucciso Roger e Addison, e che ora sta torturando noi” rispose Emily con tono deciso.

“Ma certo. Qualcuno uccise e seppellì Roger anni fa, e quando Addison ha scoperto che Roger era suo fratello, questa persona si è preoccupata di finire il lavoro” intervenne Aria.

“E per farla star zitta, l’assassino di Roger ha ucciso anche Addison” rispose Spencer.

“Ok, ma perché tenerla segregata per un anno, e poi ucciderla? Non ha senso” aggiunse Aria.

“Forse sperava di poterle far cambiare idea. Di farla star zitta senza farle del male” ribatté Spencer.

“Ok, ma allora cosa c’entra Kate in tutto ciò? Non poteva aver ucciso Roger. Aveva la sua stessa età all’epoca del fatto. Inoltre il notiziario dice che Roger è morto annegato. Quindi o qualcuno ha trovato il corpo e lo ha seppellito-“ fece Hanna.

“O qualcuno lo ha anneggato e ha poi nascosto il corpo” continuò Spencer vagliando anche l’alternativa più brutta.

 “Ma poi, noi, noi cosa c’entreremmo in tutta questa storia?” spiegò Hanna ricordando alle ragazze le cose essenziali. Si ritrovarono nuovamente confuse.

“Ha ragione Hanna. Kate non avrebbe potuto uccidere Roger. E’ impossibile” replicò Emily.

“A questo punto dovremmo cercare il padre di Roger, e parlare anche con lui. Come si chiamava Em?” chiese Spencer.

“Alan, Alan Maxfields” rispose Emily.

Veronica Hastings, aveva però fatto rientro in casa, interrompendo quindi la conversazione. “Ehi ciao. Wow, avete fatto una rimpatriata come ai vecchi tempi?” chiese lei alquanto sorridente e serena.

“Sì, scusa mamma. Le ho invitate per un caffè e ci siamo messe a chiacchierare un po’. Com’è andata la tua giornata invece?” chiese Spencer tentando di non farle sospettare di nulla, e tentando di capire se con Craig fosse andata bene.

“E’ andata benissimo. Parleremo meglio domani, ora sono distrutta e voglio buttarmi a letto. Buonanotte ragazze” concluse Veronica. Lei e Spencer si lanciarono un’occhiata di complicità, poi la donna, levandosi le scarpe, si diresse al piano di sopra.

“Buonanotte signora Hastings” aggiunsero tutte in coro.

“Buonanotte mamma” terminò Spencer premurosa.

Le ragazze rimasero nuovamente da sole, a scrutarsi tra di loro.

“Comunque, è tardi, e siamo tutte stanche. Meglio dormirci su e parlare meglio domani. Anche su cosa fare con Kate. A questo punto lei qualcosa sa, quindi dovremmo parlarle al più presto. O almeno, tu dovresti Hanna” spiegò Spencer mentre si alzò dalla poltrona. Le altre la imitarono.

“Era logico” ribatté Hanna sbuffando.

Mentre tutte recuperavano le loro borse, Emily si avvicinò a Spencer.

“Spence, senti, volevo, volevo chiederti scusa per come ti ho aggredito questa mattina. Ero, ero davvero spaventata e, me la sono presa con te quando in realtà non c’entravi nulla” Emily stava facendo ammenda per la sua aggressività mostrata quella mattina.

Spencer le sorrise e le prese la mano “E’ già tutto dimenticato, davvero” rispose lei, e quindi si unirono in un caloroso e dolce abbraccio.

“Ehi, scusate l’interruzione. Andiamo amore?” interruppe Ali avvicinandosi alle due. Emily nemmeno la guardò in faccia.

“Buonanotte” terminò infastidita, e andò a prendere la sua borsa, mentre Alison guardò Spencer un po’ preoccupata dalla reazione della moglie.

“Mi sa che dovete risolvere qualcosina” sussurrò Spencer a voce bassa, mentre tutte erano intente ad andarsene.

Più tardi, nel suo appartamento, Cassidy era comodamente seduta a guardare la tv, con un pigiamone rosa, e intenta a mangiare del gelato alla nocciola, quando di colpo bussarono alla porta. Questo qualcuno bussava ripetutamente e con foga, e ciò spaventò Cassidy.

“Ma chi diamine è? Sto arrivando, un attimo!” esclamò Cassidy un po’ preoccupata. Quindi aprì la porta. Era Alison, che entrò come una furia.

“Cosa diavolo hai combinato? Ti avevo chiesto di non dire nulla! E invece appena ne hai avuto l’occasione, hai detto tutto ad Emily. Non avrei mai dovuto fidarmi di te!” la voce di Alison era piena di rabbia. I suoi occhi pieni di collera.

Cassidy apparve un po’ spaventata “Io, io stavo cercando di aiutarti a essere sincera” rispose.

“Aiutarmi? Lo chiami aiuto? Per colpa tua, Emily non mi parla più! Abbiamo litigato fino a poco fa dopo averla implorata di dirmi cos’avesse” continuò Ali con la collera che aumentava.

“Forse è meglio così” provocò Cassidy.

“Che cosa vorresti dire?” chiese Alison confusa.

“Che io posso darti ciò che Emily non riesce più a darti, e lo hai capito anche tu dopo quel bacio” rispose Cassidy convinta.

Alison la guardò sconvolta, come se avesse di fronte a se una folle. “Ma cosa diamine stai dicendo?” chiese.

“Io ti amo. E so che nel profondo anche tu provi qualcosa per me” rispose Cassidy.

Alison si avvicinò di più, e alzò ancor di più la voce. “Lascia che io sia chiara su una cosa. Io non ti amo! Neanche mi piaci! Quel bacio per me non ha significato nulla. Anzi, mi ha fatto anche schifo!” Alison stava parlando con l’intenzione di ferire Cassidy. Ferirla nel profondo. Era vero, il bacio non le aveva suscitato nulla. Ma ora glielo stava dicendo in modo brutto, malvagio. Solo per farla soffrire. Cassidy sentì il suo cuore andare in frantumi di fronte quelle parole. I suoi occhi si colmarono di lacrime.

“Non lo pensi davvero” rispose, tentando di non crollare.

“Sì, lo penso davvero, sono serissima. Per questo sono fuggita via. Non mi susciti niente. Ora mi susciti solamente disprezzo, perché mi sono fidata della persona sbagliata” finì Ali, e fece per andarsene.

Cassidy la fermò di colpo, mentre le lacrime oramai le rigavano il volto. “Aspetta, t-tu sei l’unica vera amica che abbia mai avuto. Per favore” la voce della donna era piena di dolore. Lo si poteva percepire. Ma ad Alison ciò non importava. Era troppo furiosa con lei e voleva solamente ferirla nel peggior modo possibile.

Ali le si avvicinò nuovamente “E ora hai perso anche l’unica amica che avevi. E sai perché avevi solo me?” chiese Ali guardandola dritta negli occhi, e con uno sguardo davvero glaciale.

Cassidy ricambiò lo sguardo “Perché non piaccio a nessuno, vero?” chiese lei con il dolore in volto.

“Esatto. Tu non piaci a nessuno. Fattene una ragione” l’ultima frase di Alison fu letale, agghiacciante, cattiva. Tutta la rabbia e la delusione che provava per Cassidy, l’aveva riversata in quel momento, e nel modo peggiore possibile. Senza dire altro, Alison lasciò l’appartamento, mentre Cassidy rimase a piangere. Un pianto lungo e disperato. Un pianto che faceva intendere quanto male sentisse la donna nel suo cuore. Non riusciva a smettere di piangere, lì da sola. Senza nessuno.

Sul tardi, Veronica Hastings era stesa nel letto della sua camera, intenta a leggere un libro, quando le squillò il telefono. Era Craig. Un timido sorriso apparve sul volto della donna.

“Il fatto che abbia deciso di darti un’altra possibilità, non implica che tu debba chiamarmi a quest’ora” rispose lei pungente.

Craig dal canto suo era ancora in centrale, seduto alla sua scrivania praticamente inondata di scartoffie e documenti vari che lui stava leggendo accuratamente “Lo so, ma mi andava di sentirti” rispose lui con tono di voce sincero.

“Ma sei ancora in ufficio?” chiese lei.

“Sì, esatto. A quanto pare sono arrivate delle novità riguardo al piccolo Roger” rispose lui.

“E cioè?” chiese lei curiosa.

“Le ossa del bambino erano avvolte in un pantaloncino blu corto, e una maglietta a righe blu. Fino ad ora la scientifica non si era accorta di nulla, a quanto dicono, anche se secondo me hanno voluto tenere nascosta la cosa” raccontò accuratamente lui.

“Perché dovrebbero tenere nascosti i vestiti che il piccolo indossava il giorno che scomparve?” chiese Veronica un po’ confusa.

“Non sono i vestiti il problema. Nella tasca del bambino hanno trovato un sacchetto in cui a quanto pare c’era della droga” rispose Craig.

Veronica apparve alquanto sconvolta. “Stai scherzando?” chiese lei.

“No, quindi la pista secondo la quale Roger veniva usato per qualche scambio di droga non sembra così folle. A quanto pare chi l’ha seppellito sedici anni fa, non si è preoccupato di gettare via quella roba, ed è stata ritrovata oggi, o almeno quello che ne resta. Dopo tutti questi anni è rimasto solamente il sacchetto in cui era avvolta. Ma la scientifica ha fatto degli esami, e ha capito che quel sacchetto conteneva della droga. Almeno 10 grammi” spiegò lui accuratamente e non tralasciando nessun dettaglio.

“E’ assurdo. Questa storia sembra più complicata del previsto” rispose Veronica.

“Comunque, mi sto fidando di te nel raccontarti queste cose. Mi raccomando. Mi gioco il posto di lavoro” replicò Craig, facendole capire che doveva tenere la bocca chiusa. Veronica non sembrava proprio convinta di ciò. Avrebbe voluto dirlo a sua figlia Spencer.

La donna aggiunse un sorriso un po’ forzato “Sì, tranquillo. Terrò la bocca chiusa” rispose, non convinta delle sue parole.

METTETE PLAY ALLA CANZONE QUI SOTTO, PRIMA DI INIZIARE A LEGGERE;

Nello stesso momento, Alison era appena rientrata a casa. Appena attraversò l’uscio, trovò Emily seduta nel salotto, intenta a cullare le piccole Grace e Lily nei loro box, che riposavano serenamente. La giovane Fields-DiLaurentis sembrava con lo sguardo perso nel vuoto. Ali le si avvicinò con un po’ di timore.

“J-Jason è tornato?” chiese lei cercando un modo per smorzare la tensione.

“Non ancora” rispose Emily, senza nemmeno guardarla in faccia.

Ali si guardò intorno. Voleva trovare un altro spunto per poter parlare con lei. Fissò poi le sue bambine.

“Come mai le bambine sono ancora giù?” chiese Ali.

“La baby-sitter si era addormentata con loro, e quando sono rientrata sono rimasta a coccolarle un po’” rispose Emily, continuando a non fissare la moglie. Era come se riuscisse solo a sentire la voce di Alison, come se non fosse con il suo corpo lì. Non voleva guardarla.

Ali si avvicinò di più, speranzosa. “Em, possiamo parlare, io devo-” Ali non riuscì a finire la frase.

“Ali, non abbiamo niente da dirci. Puoi stare un po’ tu con le bambine, e poi metterle a letto. Buonanotte” la voce di Emily era spenta, delusa, amareggiata. Uscì dal salotto senza nemmeno incrociare lo sguardo della sua amata Alison, e si diresse al piano di sopra. Ali rimase da sola, triste e scoraggiata. Si sedette sul divano, mentre guardava le sue splendide figlie, e i suoi occhi iniziarono a diventare lucidi.

A casa Hastings, oramai in tarda serata, Spencer era in camera sua intenta a mettersi in pigiama. Sembrava serena e pronta ad andare a letto. Alzò i capelli in un buffo e sgangerato chignon, e si stava dirigendo al suo letto. In quel momento però, suonarono alla porta. La ragazza fu subito incuriosita dalla cosa. Era un po’ tardi. E aveva il timore che il nuovo stalker potesse aver colpito di nuovo. Quindi si precipitò subito fuori dalla stanza.

“Vado io!” urlò la donna verso la stanza della mamma, e scese di sotto in fretta. “…Chi può essere a quest’ora?” chiese tra se e se. Si avvicinò quindi alla porta, e aprì di colpo. Era suo padre Peter. Spencer rimase di sasso appena lo vide lì di fronte a lei. Aveva due occhi spenti e stanchi.

“Ciao tesoro” esclamò lui.

Al suono della sua voce, Spencer quasi sobbalzò. “P-Papà?” esclamò lei, incredula.

“Ho bisogno di parlarti. E’ importante” ribatté lui, gettando del mistero sul suo improvviso ritorno.

Spencer rimase a fissarlo confusa e disorientata.

Nel frattempo, nella sua stanza del Radley, Hanna si era appena gettata sul letto. Aveva un’aria stanca. Continuava a ripensare a ciò che Aria aveva scoperto grazie a Jason. Non sapeva come comportarsi riguardo la questione di Kate. A quel punto le squillò il telefono. Era Mona. Hanna rispose in fretta.

“Finalmente ti degni di rispondere!” esclamò lei.

Sentimmo la meravigliosa e sottile voce della giovane Vanderwaal. “Scusami, sono stata impegnata” aggiunse lei.

“Già, ed io invece sono nei guai più totali da quando hai deciso di mandarmi come modella la mia sorellastra stronza!” ruggì Hanna.

“Dai, non arrabbiarti. Mi ha implorato di fare il provino, e inoltre sai anche te che è davvero bella. Piuttosto, stai davvero bene con questa giacca color magenta. E’ della vecchia collezione, vero?” chiese Mona.

Hanna per un attimo si spaventò. Si alzò di colpo dal letto, e si guardò intorno. “Come fai a sapere che indosso quella giacca? Questa cosa fa molto A, quindi spiegati” chiese lei un po’ buffa, continuando a roteare la testa come una folle. In quel preciso istante, una raggiante e sempre alla moda Mona Vanderwaal, uscì dal bagno della stanza. con ancora il telefono all’orecchio.

“Sorpresa bionda” intervenne lei, cogliendola di sorpresa.

Hanna mise giù, e rimase a fissarla sbigottita.

“C-Cosa diamine ci fai qui?” chiese la giovane Marin-Rivers, un po’ confusa.

“Pensi davvero che avrei lasciato la situazione con Kate in mano a te? Sono o non sono la tua assistente?” spiegò Mona con il suo immancabile sorrisino e il suo modo di fare altezzoso ma fantastico.

“Ok, m-ma, come, come hai fatto a entrare?” continuò Hanna.

Tesoro, stai parlando con Mona Vanderwaal, non con una principiante” continuò la giovane, con la sicurezza che l’aveva sempre contraddistinta. Quindi si sedette sul letto. “…Allora? Da dove cominciamo?” concluse, di fronte una Hanna ancora un po’ frastornata dal suo inaspettato ritorno.

Contemporaneamente, nel suo appartamento, Cassidy era stesa in un posto ben preciso. Aveva gli occhi gonfi per le troppe lacrime versate. Prese il telefono, e compose il numero di Alison. Lo fece con una lentezza strana, come se stessero per cederle le forze.

Dal canto suo, Alison era rannicchiata sul divano di casa, intenta a leggere un libro. Il telefono le squillò, e quando vide il nome di Cassidy illuminarsi sullo schermo, rifiutò subito la chiamata gettando giù il telefono senza pensarci due volte. Era l’unica persona che voleva sentire in quell’istante.

Cassidy si aspettava questa reazione, quindi trovò la forza necessaria e le lasciò un messaggio in segreteria. Sembrava sempre più debole, stanca, ma soprattutto pallida “Ti sto chiamando solo per chiederti scusa per tutti i problemi che ti ho causato. Ma non dovrai più preoccuparti. Tra poco non sarò più in giro a causare altro dolore…” mentre Cassidy parlava, Alison, ignara di tutto, continuava a leggere il suo libro sul divano di casa sua. Ignara dell’orrore che stava per accadere. “…E nonostante tutto ciò che mi hai detto stasera, io continuerò ad amarti. Addio”

Dopo queste ultime parole, la donna lasciò andare il telefono in acqua. Era nella vasca da bagno, oramai stracolma, che lentamente si stava colorando anche di rosso. Il rosso del sangue di Cassidy. La donna quindi lasciò andare la testa all’indietro dopo aver riagganciato. Era lì stesa, con i polsi tagliati, e il sangue che sgorgava in maniera assurda, mentre si lasciava andare alla morte. Socchiuse gli occhi in attesa che il dolore passasse per sempre.

E a casa Derringer, invece, Robert Derringer era appena rientrato in casa. Sembrava stanco. Aveva una valigietta in mano che subito posò all’entrata. Tolse la giacca e la appese all’appendi abiti.

“Tesoro, sono a casa” esclamò lui. Non udì però nessun suono. In casa riecheggiava un assordante e inquietante silenzio.

“…Felicity, amore, sei a casa?” continuò lui. Nessuno rispose. Si addentrò nel salotto, e trovò sul tavolo tutte le foto del piccolo Roger sparse. La cosa lo preoccupò. Quindi decise di salire al piano di sopra.

“…Amore, sei in camera?” continuò lui mentre un brivido di terrore gli percorse la schiena. Aveva un sentore negativo. Una brutta sensazione. Il fatto che Felicity non gli rispondesse, era strano, molto strano.

Quindi si avvicinò alla porta della sua camera da letto. Era socchiusa. Aprì lentamente la porta mentre la paura gli pervadeva lentamente tutto il corpo, e si trovò di fronte ad un’immagine agghiacciante e che mai avrebbe voluto vedere. Sua moglie Felicity, senza vita e con gli occhi sbarrati, mentre penzolava con un cappio al collo dal lampadario della stanza. Il signor Derringer non proferì parola.

Era pietrificato, mentre guardava il corpo oramai senza vita della sua povera moglie.

E in un lugubre e sporco appartamento, una figura incappucciata, con felpa e guanti neri annessi, si era appena seduta a un tavolo con in mano un cartonato rettangolare di media grandezza che posizionò di fronte a se. Sul tavolo era posizionato anche un tenero orsacchiotto rosso, che aveva inciso sul petto, il nome di Roger. La persona incappucciata prese in mano il pupazzo e lo accarezzò in modo affettuosso, per poi rimetterlo nuovamente giù con estrema delicatezza e cura.

Quindi ripose le sue attenzioni al cartonato, che subito girò dall’altra parte, scoprendo un tabellone che raffigurava i volti delle persone più conosciute di Rosewood. C’erano le ragazze, i loro genitori, Cassidy, Willa, Claire, tutti quanti. In cima al tabellone c’era scritto “Rosewood’s Souls”, ovvero “Le anime di Rosewood”.

La persona incappucciata osservò attentamente il tabellone. Sembrava studiarli tutti. Quindi prese un pennarello rosso dalla tasca, e continuò a fissare le varie immagini. Quindi stappò il pennarello, e fece una X rossa sulla foto che ritraeva Felicity Derringer.

Dopodiché si spostò sulla foto che ritraeva Cassidy Harmor, e su di lei disegnò sempre con il pennarello rosso, un punto interrogativo. Poi posò il pennarello rosso, e rimase ad osservare per bene quell’inquietante tabellone.

FINE QUARTO EPISODIO.

 

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by: Frà Gullo;

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