Pretty Little Liars 8 – FAN-FICTION – 8×02 “Roger”

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“Roger – Roger”

Episode #802

 

Written by:

Frà Gullo;

 

 

CAST UFFICIALE:

Aria Montgomery (Lucy Hale)

Spencer Hastings (Troian Bellisario)

Hanna Marin (Ashley Benson)

Emily Fields (Shay Mitchell)

Alison DiLaurentis (Sasha Pieterse)

 

CAST SECONDARIO EPISODIO 2:

Ken DiLaurentis (Jim Abele)

Cassidy Harmor (Crystal Reed)

Lucas Gottesman  (Brendan Robinson)

Jason DiLaurentis (Drew Van Acker)

Claire Varlac  (Raquel McPeek)

Addison Derringer (Ava Allan)

Willa Davis (Sydney Sweeney)

Hadley St. Germain (Celesse Rivera)

Ava Grant (Ana Markova)

Samantha Winson (Michele Selene Ang)

Felicity Derringer (Kristine Sutherland)

Robert Derringer (Peter Gallagher)

Craig Davis (Paul Johansson)

Veronica Hastings (Lesley Fera)

 

 

 

 

 

 

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E’ notte fonda, e a casa DiLaurentis tutti dormivano serenamente, le bambine, Emily, Jason, meno che Alison, che continuava a rigirarsi nel letto più e più volte fino a quando non decise di alzarsi e dirigersi in cucina. La donna si sedette al tavolo guardandosi intorno con aria annoiata, prese il telecomando e accese la tv. Il primo canale che trovò, parlava del ritrovamento di Addison Derringer, e dei resti del bambino morto anni prima. “Il corpo della sedicenne Addison Derringer è stato ritrovato nel fiume Heaven all’alba di ieri, in seguito alla forte tempesta che ha colpito la cittadina di Rosewood, provocando ingenti danni. I genitori della vittima non vogliono rilasciare dichiarazioni, e si sono chiusi nel loro dolore, mentre arrivano le prime notizie dopo l’autopsia sul cadavere della vittima. Pare che la ragazzina fosse tenuta segregata per tutto lo scorso anno, e che solo questo venerdì, il suo rapitore ha deciso di farla finita, uccidendola con un colpo di pistola in testa. La polizia sta setacciando le zone vicino il fiume Haeven sperando di trovare il luogo in cui la giovane ragazzina fu tenuta prigioniera. Un incubo che dura da un anno, e che pare sia ancora lontano dalla sua risoluzione”

Mentre Alison guardava il notiziario, ascoltava con attenzione e senza perdersi nessuna parola, e l’arrivo di Jason, sceso dal letto per bere un bicchiere d’acqua, la fece sobbalzare. “Jason, caspita! Mi hai spaventata” esclamò lei a voce bassa.

“Mi spaventi più tu seduta nel buio alle 3 del mattino. Che fai in piedi?” chiese lui sedendosi accanto alla sorella.

“Non riuscivo a prendere sonno. Continuavo a pensare a…ad Addison. Era solo una ragazzina. Una ragazzina che probabilmente si è fatta troppi nemici perché ingenua e stupida. Perché credeva di poter avere tutto sotto controllo e di comandare tutti” continuò lei alquanto affranta.

“Non è che per caso la vicenda ti ha colpito perché ricorda molto quello che accadde a te?” chiese il giovane DiLaurentis c’entrando il punto. Alison si sentì notevolmente toccata dalla domanda. Sapeva che il fratello aveva ragione.

“Penso di sì. Il fatto è che Addison mi ha sempre ricordato me all’età di quindici anni. Ero uguale a lei. Ero crudele con gli altri. Buttavo giù le persone per sentirmi migliore io stessa. Credevo di poter avere tutto il mondo ai miei piedi. Ricattavo la gente, usavo le mie amiche come dei burattini. Addison poteva riuscire a migliorare con me, e invece sono stata presa così tanto dai miei problemi da non accorgermi che quella ragazzina si stava rovinando la vita inconsapevolmente. Una vita che ora qualcuno ha deciso di toglierle” raccontò lei sentendosi palesemente in colpa.

Jason le prese la mano “Ascolta, tu hai centinaia e centinaia di studenti con cui parli e alla quale insegni ogni giorno. Non puoi riuscire a risolvere i problemi di tutti loro. Sono adolescenti, saranno sempre pieni di problemi. Il fatto che tu non ti sia accorta che Addison avesse dei problemi, non significa che tu debba sentirti in colpa. Non avrai aiutato Addison? Ma quanta gente hai aiutato con il numero amico contro il bullismo? Un sacco. Pensa a questo” cercò di confortarla Jason.

“E’ questo il problema. Mi sono talmente messa d’impegno ad aiutare quelle persone che venivano prese di mira a scuola, da non pensare a provare a riabilitare questi bulli. Se qualcuno avesse provato a far ragionare me tanto tempo fa, non avrei vissuto tutto quell’inferno” spiegò Alison, mentre Jason fu attirato da un’altra notizia che stava apparendo in televisione, al notiziario.

“Guarda, parlano anche dei resti di quel bambino” esclamò lui alzando la voce della tv con il telecomando.

“Sembrano giorni tristi per Rosewood, poiché la stessa mattinata in cui il cadavere di Addison Derringer è stato ritrovato, sulle montagne della Pennsylvania, poco distanti da Rosewood, sono state ritrovate le ossa appartenenti a un bambino. Il medico legale ha stabilito che appartengono a un bambino di non più di dieci anni, e morto da almeno diciassette. Rimane ancora sconosciuta la sua identità, mentre già tre famiglie sono arrivate in ospedale questa mattina, per sapere se si tratti del proprio bambino. Dal 2000 a oggi sono stati tanti i bambini scomparsi, quindi è probabile che tante altre famiglie arriveranno in massa per avere la conferma o la smentita che quel bambino sia il loro. Speriamo di avere nelle prossime ore notizie sull’identità di questo povero bambino, e soprattutto cosa può essergli successo da finire sotto terra. Vi comunicheremo maggiori informazioni più tardi. Adesso passiamo al meteo, dopo la tempesta di ieri, le…” Jason subito abbassò nuovamente l’audio.

“E’ assurda questa storia. Come si può uccidere e seppellire un bambino innocente?” chiese Jason incredulo.

“Tra l’altro a quest’ora dovrebbe avere l’età mia e delle ragazze, incredibile. Questi sono dei mostri. Mostri senza cuore” rispose Alison piuttosto colpita dalla notizia.

“E riguardo al nostro di mostro, che vogliamo fare?” chiese Jason riferendosi al loro padre.

Alison sbuffò “Non ne voglio parlare, davvero” esclamò lei stizzita.

“Beh dovremmo parlarne Ali. E’ nostro padre, o almeno il tuo lo è di certo” ribatté lui ironizzando sulla questione.

“Già, un padre che ci ha abbandonati solo perché avevamo deciso di prenderci cura di Charlotte, che lui aveva rinchiuso per anni in un ospedale per pazzi solamente per la sua mentalità chiusa e bigotta. Ora torna dopo anni e pensa di recuperare il tempo perso?” chiese Alison dicendo le cose giuste.

“Io non sto dicendo di perdonarlo. Non ho intenzione di farlo. Ma sarei curioso di sapere cos’ha da dirci. Tu no?” chiese Jason.

“No, assolutamente! Ora torno a letto che forse è ritornato il sonno. Buonanotte!” rispose lui cercando subito di chiudere il discorso e lasciando in fretta la cucina.

“Buonanotte” rispose lui un po’ preoccupato per la sorella. E quindi rimase lì da solo, al buio e a riflettere.

SIGLA

 

 

 

 

Il mattino seguente, al Brew, Spencer era intenta a fare la fila per prendere un caffè. Indossava il suo bellissimo trench grigio, che indossava con la sua immancabile eleganza. Sembrava piuttosto tranquilla e serena, quando sopraggiunse il detective Davis dietro di lei.

“Buongiorno signorina Hastings” esclamò l’uomo cogliendola di sorpresa.

“Ah, detective Davis, buongiorno. E’ in fila per il caffè anche lei?” chiese lei cercando di mantenere la calma, mentre si accingeva a ordinare. “…Un super espresso, ristretto e con due zollette di zucchero, grazie!” esclamò la donna educatamente.

“No, veramente cercavo proprio lei” replicò il detective.

“Non pensa che le convocazioni in commissariato debbano essere fatte in maniera diversa?” chiese lei.

“Sì, solamente che la mia visita non riguarda il caso di Addison, ma, tua madre Veronica” spiegò lui un po’ a disagio.

Spencer si voltò di colpo verso l’uomo “La ascolto, e la prego, mi dia del tu” precisò la giovane Hastings.

“Beh, a quanto pare sua, tua madre, vuole organizzare una cena stasera a casa vostra, e volevo sapere se a lei, cioè a te, andasse bene la cosa” chiese il detective con fare piuttosto goffo.

Spencer intanto prese il caffè appena pronto, pagò e si diresse verso i divanetti. “Perché non dovrebbe andarmi bene?” chiese lei sedendosi. Il detective la seguì e fece lo stesso.

“Non lo so, magari non ti va giù che tua madre frequenti un altro uomo, che per giunta è il nuovo detective di Rosewood” rispose lui.

“Non sono quel tipo di figlia. Mia madre merita solamente tanta felicità dopo tutto quello che ha passato, e da come parla, con lei è felice, e se è felice lei, lo sono anch’io, perciò a che ora è la cena?” chiese la donna con estrema gentilezza.

Il detective Davis sospirò quasi come se si fosse levato un peso dallo stomaco. “Beh, l-l’orario non lo so ancora, deve deciderlo tua madre, anzi, deve anche dirti della cena” continuò il detective.

“Benissimo. Parlerò con mia madre allora” continuò Spencer.

Il detective si alzò in fretta. “Perfetto! Devo tornare in centrale, e mi raccomando, sono Craig, non il detective Davis, o almeno non quando sono con te e tua madre, non stasera” finì l’uomo lanciando un ultimo e sincero sorriso alla donna, e andò via. Mentre uscì dal Brew, Hanna entrò e si guardò dietro piuttosto incuriosita. Spencer nel frattempo era sprofondata nella poltroncina.

“Ma sbaglio o quello era il nuovo detective inquietante?” chiese Hanna raggiungendo Spencer ai divanetti.

“Sì, e ho dovuto apparire tranquilla e felice della sua relazione con la mamma, quando in realtà questa situazione mi mette molto a disagio” spiegò diretta Spencer.

“Perché dici questo?” chiese Hanna.

“Perché fino a quando era un semplice avvocato, o un imprenditore, o commerciante, o anche un semplice venditore di gelati, mi andava bene. Ma lui è il nuovo detective che si occuperà del caso di Addison Derringer, in cui noi siamo inconsapevolmente coinvolte. Non voglio che la polizia riesca a entrare troppo nel mio privato” spiegò la donna.

“Ma quindi che voleva?” chiese Hanna.

“Stasera, cena da me, lui, io e la mamma” replicò Spencer.

“Che programmino interessante” rispose Hanna divertita.

Spencer cercò di ricomporsi. “Non ho nemmeno avuto il tempo di chiederti come sta andando la nuova collezione e come stanno Caleb e Regina, perdonami” aggiunse la donna.

“Stanno bene! La nuova collezione è ancora in lavorazione, speriamo di avere i primi modelli per il prossimo mese. Per il resto, non ho spiegato a Caleb il perché devo rimanere, e ho inventato che mamma sta poco bene e voglio starle un po’ vicino, ma non so quanto possa bersela” continuò Hanna.

“E la piccoletta di Regina come sta?” ribatté Spencer.

Il volto di Hanna s’illuminò non appena fu nominata sua figlia. Lei era il suo tutto. La sua costante. Il suo tesoro più prezioso. E quegli occhioni luminosi di Hanna, ne davano la conferma “Cresce tanto! Proprio quando ha compiuto un anno, è riuscita a fare i primi passi, guarda!” raccontò la giovane Marin, mostrando dal suo iphone un tenero video di Regina che cercava di rimanere in equilibrio in piedi, con dietro Caleb che la reggeva. Il ritratto della felicità.

“E’ un amore! Non vedo l’ora di rivederla!” continuò Spencer.

“Già, ora ci mancava solo la ragazza morta che mi trattiene a Rosewood, di nuovo” intervenne Hanna con la sua immancabile ‘finezza’.

“Sembra che ogni volta che torniamo qui un qualcosa ci trattenga contro il nostro volere” replicò Spencer.

Le due rimasero a riflettere, piuttosto pensierose. Hanna poi posò lo sguardo sull’amica.

“Cosa ne pensi di quest’Addison? Secondo te era davvero complice di tua sorella?” chiese la bionda quasi con paura.

Spencer sospirò “E’ probabile. Magari non aveva solo Lucas che lavorava per lei, magari c’erano più persone che dovevano portare avanti il gioco nel caso lei fosse stata beccata”

“Ma allora perché non continuare il gioco? Non riceviamo minacce da più di un anno” ribatté Hanna.

“Perché qualcuno ha rapito Addison e l’ha tenuta segregata fino a due giorni fa, quando ha deciso di ucciderla” replicò Spencer.

“Quindi c’è qualcuno che voleva morta Addison, perciò automaticamente non era un grande fan del gioco di Melissa, giusto?” rispose correttamente Hanna.

“Pare di sì. Il problema è capire perché Addison ce l’avesse con noi. Di Lucas sappiamo perché decise di lavorare con Melissa, ma Addison? Era una semplice ragazzina con la quale non abbiamo mai parlato. Cosa può aver suscitato in lei tanto odio nei nostri confronti?” si chiese giustamente Spencer.

“Non lo so, ma tutta questa storia m’inquieta tantissimo” replicò Hanna.

Spencer scrutò l’amica con uno sguardo che faceva presagire qualche piano. “Ascolta, e se, e se tu andassi a trovare qualcuno in carcere, facendogli qualche domandina?” chiese.

Hanna capì subito a chi stesse alludendo, e sbarrò gli occhi “Vuoi che vada a trovare Lucas in carcere? Ma sei impazzita? Non voglio nemmeno vederlo in foto quel bastardo. Pensa che ho bruciato tutte le nostre foto insieme, e ho attaccato la sua testa tagliata dalle foto, su tutte le immagini che rappresentano il diavolo nei libri dell’occulto che possiedo a casa” raccontò Hanna.

Spencer sorrise. “Però Lucas potrebbe sapere qualcosa. Lui lavorava con Melissa. Dai, prima risolviamo questa faccenda, e prima potremmo tornare alle nostre vite, no?” continuò Spencer riuscendo a toccare le corde giuste per smuovere qualcosa in Hanna, che ora stava solo zitta e fissava l’amica.

Poco distante dalle due, una Claire piuttosto agitata, stava pagando il suo cappuccino al latte. “Grazie, buona giornata!” e uscì dal Brew. Non appena uscì fuori, vide venirle incontro Willa, Ava, Hadley e Samatha, le amiche di Addison. Claire subito abbassò lo sguardo cercando di non incrociare quello delle ragazze.

“Ehi, Claire!” Willa però la notò e la chiamò.

Claire fu costretta a voltarsi, e salì sul marciapiede, dove erano le altre “Ehi, W-Willa, ragazze, ciao! Come state?” chiese la ragazza tentando di apparire tranquilla.

“Secondo te?” rispose Ava un po’ scontrosa.

“Ava…” sussurrò Hadley. “…Perdonala. Sai, non stiamo passando un bel periodo. La morte di Addison ci ha distrutto. Ovunque ci giriamo parlano di noi, di come fossimo amiche di Addison, pensano di sapere tutto di lei, insomma, non è facile” spiegò Hadley gentile.

“Posso immaginare, m-mi dispiace molto” rispose Claire.

“Non c’è più, eppure è ovunque” aggiunse Samantha malinconica.

Ava sorrise un po’ incredula “Ti dispiace? Claire, maddai! Odiavi a morte Addi, come puoi dire che ti dispiace?” Ava era piuttosto scontrosa e agitata, non si controllava.

“Ava, non è il momento delle piazzate, per favore” intervenne Willa.

“Tranquilla Willa” rispose Claire.

“Claire, scusaci, è che tutte noi stiamo affrontando la morte di Addison in maniera diversa. Evidentemente Ava ha deciso di affrontarla comportandosi da stronza” continuò Willa cercando di calmare le acque.

“Lo so, lo so. Ma comunque Ava, volevo precisare che mi dispiace per voi. Immagino quanto possa essere doloroso perdere un’amica. Mi dispiace per voi, solo per voiClaire ci tenne a precisare l’ultima parola della sua frase.

“Che intendi dire?” chiese Ava.

“Ragazze, io non ho pianto la morte di Addison. Non l’ho pianta perché lei con me era un mostro. Morire non ti fa diventare una santa, se hai passato tutta la tua vita a comportarti da mostro, quindi, sì, mi dispiace per voi perché vi ho sempre reputato delle brave ragazze, mi dispiace per la famiglia di Addison che ha perso una figlia, e nessuno meriterebbe una cosa del genere, ma non mi dispiace che Addison è morta. Anzi, a me non interessava dove fosse finita, se fosse viva o morta. Il fatto che non ci fosse più, mi rendeva felice. Mi dispiace per voi, e spero per voi che lei sia in pace, tutto qui” Claire apparve sincera in un modo sconvolgente.

Le ragazze rimasero quasi pietrificate. Non riuscirono a dire nulla. “…Ci vediamo a scuola, ok?” finì Claire.

“O-Ok” rispose Willa balbettando. Claire quindi si allontanò.

“Che stronza!” esclamò subito Ava, non appena Claire fu abbastanza distante da non sentirla.

“Penso che però avesse ragione” intervenne Hadley.

“Lo penso anch’io” rispose Willa.

“Cosa? Sam, puoi dire qualcosa?” chiese poi Ava.

“Io, b-beh, non so che dire. Di certo è stato piuttosto dura, ma anche Addison non è mai stata un angelo con Claire. L’ultimo giorno di scuola lo scorso anno, ha gettato del fango che dovevano usare in laboratorio, addosso a Claire, l’ha fotografata, e ha distribuito le foto a tutti a scuola. Non sono cose che si dimenticano facilmente” rispose giustamente Samantha.

“Penso che il suo discorso sia giusto, ma ciò non significa che io non pensi che lei c’entri qualcosa” aggiunse Willa, sganciando la bomba. Le amiche la guardarono subito un po’ sbigottite.

“Che intendi dire?” chiese Hadley.

“Pensi che abbia ucciso lei Addison?” chiese Ava.

“Non lo so, ma dal giorno in cui hanno ritrovato Addison, Claire si comporta in modo strano, anche fin troppo rispetto al solito. Penso che nasconda qualcosa” continuò Willa.

“Anche te potresti nascondere qualcosa però” intervenne Hadley di colpo.

Willa quasi la fulminò con lo sguardo “Che intendi dire?” chiese la ragazza.

“Che eri l’unica sveglia quella notte, e l’unica che non si trovava insieme ad Addison” spiegò Hadley.

“E ho già spiegato anche ai poliziotti che mi sono svegliata per via del temporale, e non trovando Addison mi sono preoccupata, l’ho sentita urlare, ma non l’ho trovata. Quante volte ancora dovrò ripetere questa storia?” chiese Willa.

“Tante ancora fino a che non assumerà un minimo di credibilità” rispose Hadley a tono.

Le due si ritrovarono ai ferri corti. Willa non disse nulla, fulminò un’ultima volta Hadley con lo sguardo, alzò i tacchi e s’incamminò verso scuola, alquanto offesa e adirata, e con passo svelto.

“Hadley, ma sei impazzita?” chiese Ava all’amica. Hadley sbuffò e anch’essa s’incamminò, seguita da Ava e Samantha.

Nel frattempo a casa Fitz, posta in un bellissimo e tranquillo vialetto di Rosewood, con staccionata bianca, giardino e romantico portico, nella sua camera da letto, Aria era al telefono con Ezra, mentre era intenta a cercare qualcosa in valigia “Ezra, non starò per molto! Philip non crederà di certo a un’emergenza familiare prolungata per chissà quanto tempo, sta tranquillo! Lui vive per il tour del mio libro. E’ o non è il mio manager?” spiegò Aria guardandosi intorno e vedendo parecchio disordine. “…Comunque, Byron ha mangiato? Mi raccomando non prendere il latte a quel supermercato di fronte l’hotel, che gli fa male” mentre era intenta a parlare al telefono, suonarono alla porta. “…Ora devo andare, ti aggiorno più tardi, tranquillo, dai un bacio a Byron, ciao!” concluse in fretta la donna, dirigendosi alla porta. Appena aprì, si trovò di fronte Alison.

“…Ehi Ali! Come mai da queste parti?” chiese Aria facendola entrare.

“Per andare a scuola passo sempre da qui, quindi ho pensato di venirti a trovare” rispose Alison guardandosi intorno e facendo una faccia strana. Subito guardò Aria un po’ schifata.

“Sì, lo so, sembra sia passato un uragano. Eppure Ezra mi aveva detto che aveva tutto sotto controllo” rispose Aria pensierosa e preoccupata, mentre si accasciò sul divano. Alison si mise accanto a lei.

“Se vuoi in questi giorni ti aiuto a ridare vita a questa casa” rispose lei gentile.

Aria la scrutò preoccupata “Quindi pensi che rimarremo più di un giorno o due?” chiese lei.

Alison sospirò “Non lo so, ma il nuovo detective ha chiesto espressamente un nuovo colloquio con noi, e se non riescono ad andare avanti con le indagini, o se scopriranno qualcos’altro, potreste rimanere per più tempo” continuò Ali. Poi la donna vide la preoccupazione nel volto di Aria “…Hai parlato con Ezra?” chiese.

“Sì, e gli ho detto la verità” aggiunse Aria.

“Ovvero?” chiese Ali.

“Tutto quanto. Non ho voluto mentirgli. Quindi anche la parte in cui una sconosciuta di sedici anni ha deciso di odiarci prima di sparire e di essere ritrovata morta” rispose Aria un po’ rude.

Le due si scrutarono.

“Cosa pensi di questa faccenda?” chiese Ali.

“Cosa penso? Che mi sembra tutto così assurdo. Nessuna di noi conosceva quella ragazza, e nessuno di noi le ha mai fatto qualcosa di male. Non capisco da dove potesse provenire tutto l’odio che provava per noi” continuò la giovane signora Fitz.

Ali rimase a riflettere per pochi secondi. “Mio padre mi ha scritto poco fa. Vuole vedermi per un caffè” spiegò la bionda cambiando discorso.

“E cosa hai deciso di fare?” chiese Aria.

“Non lo so ancora. Non può ripiombare nella mia vita dopo anni, e pretendere che tutto ritorni come prima” spiegò Ali visibilmente irritata.

“No di certo, ma tu per prima dovresti aver imparato che le seconde possibilità a volte portano a qualcosa di bello. Noi te l’abbiamo data quando sei tornata” ricordò Aria giustamente.

Ali si rese conto che Aria aveva ragione, in parte. Quest’ultima nel frattempo si alzò e iniziò ad aprire le tende delle altre finestre del salottino di casa, per far entrare un po’ di luce.

“Ah, comunque, Jason è in città, lo sapevi?” rivelò Alison. Aria quasi la uccise con lo sguardo.

“Non ha ancora combinato nessun casino?” chiese Aria pungente.

“Sta cercando di rimediare. Sta di nuovo andando agli alcolisti anonimi, ha fatto un sacco di progressi, ha ricevuto anche una medaglia” Ali tentava di sistemare la situazione di Jason.

Aria si allontanò un po’ infastidita “Anche l’ultima volta stava facendo tanti progressi, ricordi?”

Ali si alzò anch’essa “Sì, ricordo bene. E non fa che maledirsi ogni giorno per quello che ha fatto al tuo compleanno, ma penso, beh, penso che sia stato mosso anche da qualcos’altro. Non solo l’alcool” specificò Ali.

Aria la scrutò attentamente, e capendo dove volesse andare a parare, subito iniziò a scuotere la testa “No, basta. Ancora con questa storia!” esclamò la donna salendo al piano di sopra. Alison la seguì.

“Aria, ma è ovvio! Jason non è riuscito a dimenticarti! Non ci è mai riuscito” continuò Ali decisa, mentre entravano nella camera da letto di Aria ed Ezra, dove si poteva notare la bellissima culla di legno dove solitamente dormiva il piccolo Byron. Aria si guardò intorno, il letto era disfatto, c’erano patatine per terra, scartoffie. C’era un macello, più che nel salotto.

“Non è possibile” continuò Aria incredula. Dopodiché tornò su Alison “…Comunque Ali, Jason ha rovinato tutto solo perché l’alcool era ancora un pericolo per lui, e basta. Non c’entra la nostra storia passata. Niente di tutto ciò. E se vuoi, te lo proverò uscendoci insieme” continuò Aria.

Alison rimase per un attimo confusa. Furono poi distratte dal suono del telefono di Aria. Quest’ultima lesse l’sms, e sorrise “…Mi sa che Jason mi ha facilitato il lavoro” concluse la piccola signora Fitz, mostrando ad Alison il telefono. Era un sms di Jason con scritto “Ciao Aria, ho saputo che sei a Rosewood. Ti va di vederci per un caffè?”

 

Al liceo di Rosewood intanto, Emily era seduta in una classe vuota, intenta a leggere il giornale, in particolare l’articolo che parlava del ritrovamento del corpo di Addison, quando fu interrotta da Cassidy che bussò alla porta, sorridente. Emily la fece entrare

“Ti disturbo?” chiese Cassidy gentilmente.

“Ehi ciao! No, tranquilla” esclamò Emily.

“Ciao, senti, non voglio disturbarti, ma, stavo cercando tua moglie. Non è ancora arrivata?” chiese la donna.

Emily sospirò visibilmente irritata e sussurrò qualcosa tra se e se “Che novità”.

“Come?” chiese Cassidy.

“No, niente. Guarda, lei non aveva lezione alla prima ora quindi penso arriverà a breve” spiegò Emily.

Cassidy scrutò la donna attentamente, quindi entrò in classe e si sedette di fronte la cattedra, dove stava Emily, a uno dei banchi “Posso parlarti un momento?” chiese Cassidy con un tono di voce calmo e parecchio sincero.

“Sì, certo” rispose Emily, predisposta al dialogo.

“Io non ti piaccio molto, non è così?” chiese Cassidy, non distogliendo lo sguardo da Emily.

Emily capì che stavano per affrontare un discorso serio, quindi posò il giornale “Come mai hai avuto questa sensazione?” chiese lei.

“Emily, non prendiamoci in giro. Ogni volta che mi avvicino a te e ad Alison sei scocciata, infastidita, e trovi sempre una scusa per andartene. Non bisogna piacersi per forza, però vorrei capire il perché” chiese ancora Cassidy.

Emily sospirò. Cassidy in parte aveva ragione. Meritava una spiegazione. “Cassidy, non è che tu non mi piaci, è che, io noto come sei costantemente vicino ad Alison sin da quando sei arrivata in questa scuola sei mesi fa. Quindi, siccome vedo un tuo attaccamento a mia moglie, ho bisogno di chiederti una cosa, in modo da poter risolvere questa situazione, anche perché tu come persone mi piaci molto, ma ho bisogno della verità” Emily era decisa a sapere cosa Cassidy provasse per Alison. Le due non distoglievano l’una lo sguardo dall’altra.

“Chiedimi tutto quello che vuoi” rispose Cassidy con le mani sul banco e con un’apparente calma.

“Provi qualcosa per Alison?” la domanda di Emily arrivò di getto.

Cassidy sospirò e poi sorrise. Rimase a riflettere, a sgranare gli occhi, e poi “Ma certo che no!” la voce di Cassidy appariva sincera. Emily non sapeva cos’altro dire. “…Emily, io voglio molto bene ad Alison perché è stata l’unica a non farmi sentire un’estranea quando ho iniziato a insegnare qui. E’ una persona buona, altruista, gentile. E’ in sostanza l’amica che tutti vorrebbero. Ed è diventata la mia amica più cara. Io non avevo molti amici a New York, anzi, per niente. E in Alison ho trovato una persona fantastica con cui parlare di tutto e di più. Non sto cercando di portartela via, te lo posso assicurare, anche perché penso che il vostro rapporto sia meraviglioso, e ucciderei chiunque provasse a minarlo” Cassidy stava parlando col cuore in mano, e lo si poteva notare a mille miglia di distanza.

Emily abbassò l’ascia di guerra. Capì che probabilmente la sua estrema gelosia le aveva fatto vedere qualcosa di sbagliato. Qualcosa che non esisteva. Si stava sbagliando? Non poteva saperlo, ma in quel momento decise di dare fiducia a Cassidy. Un dolce sorriso apparve sul volto di Emily “Ti ringrazio per essere stata sincera con me” terminò la giovane Fields-Dilaurentis.

Cassidy poi si alzò dal banco “Beh, vista questa bella chiacchierata, ci meritiamo un bel caffè caldo, che dici? Offro io!” Cassidy era sorridente e felice. Felice di essere riuscita a parlare a cuore aperto con Emily.

Emily si alzò anch’essa “Va bene dai, andiamo” rispose lei. Cassidy sorrise sorpresa, e dopodiché uscirono insieme dalla classe.

Al commissariato, nel contempo, il detective Davis era seduto alla sua scrivania, mentre era intento a leggere il fascicolo riguardante i resti del bambino rinvenuti nel bosco. Li stava leggendo accuratamente, e non si accorse subito della piccola confezione di dolci che Veronica Hastings gli aveva messo sotto gli occhi. Dopodiché alzò lo sguardo e la vide lì seduta al bordo della scrivania.

“Ehi, e tu che ci fai qui?” chiese Craig, alzandosi di colpo e dandole un bacio.

“Dovevo prendere dei documenti qui in commissariato, e ho pensato di lasciarti questi. Sono i tuoi preferiti” rispose Veronica piuttosto felice e serena.

Craig si sedette e osservò la confezione con sguardo estasiato. Veronica però fu distratta dal fascicolo che l’uomo stava leggendo. “Novità sui resti del ragazzino?” chiese lei, cambiando appunto discorso.

Craig appariva piuttosto stanco “Non ancora. Sappiamo che era lì sotto da circa diciassette anni, ma ancora non sono state identificate. All’epoca scomparivano parecchi bambini, e ci sono un sacco di casi aperti di bambini scomparsi, bambini che venivano usati per scambi di droga, è un macello. Quelli furono anni piuttosto difficili per Rosewood. Quindi chissà chi è” spiegò Craig.

“Già, è terribile. Un mio amico poliziotto mi ha anche detto che stanno chiamando un sacco di genitori chiedendo a chi appartengano le ossa. Immagino siano le famiglie dei tanti bambini scomparsi dalla Pennsylvania negli ultimi vent’anni, vero?” chiese Veronica.

“Esatto! Senza contare che con il caso di Addison Derringer siamo ancora in alto mare, e con la Tanner in congedo per assistere la madre, dovrò occuparmi io di tutto” spiegò lui quasi disperato. Poi alzò lo sguardo e scrutò la donna. “…Comunque, sai che oggi ho parlato con Spencer?” aggiunse lui cambiando discorso.

Veronica sbarrò gli occhi “Hai parlato con mia figlia? A che proposito?” chiese lei.

“La cena che vogliamo organizzare stasera. Ha detto che ci sarà” spiegò lui.

Veronica sorrise, tra l’incredulo e la contentezza. “Ma sei proprio sicuro?” chiese lei.

“Certo! Chiede solamente un orario, e ci sarà” spiegò lui.

“Oh caspita, beh, allora devo correre a preparare qualcosa. Facciamo per le otto, ok? Bene, scappo!” Veronica era visibilmente euforica e felice, e nemmeno salutò Craig come doveva. Si allontanò in fretta, lasciando Craig da solo, che scoppiò a ridere divertito. Quando però Veronica si allontanò, il detective assunse uno sguardo più serio e contrito, quindi tirò fuori dalla scrivania una vecchia foto delle cinque ragazze e la osservò con sospetto e confusione.

Nel frattempo, nel carcere della contea, una Hanna estremamente ansiosa, era seduta nella sala colloqui. Era seduta di fronte ad un vetro, dove a breve si sarebbe sistemato qualcuno. Qualcuno che aveva deciso di andare a trovare, anche se con tanta ansia e paura di rivedere il volto della persona che la tradì nel modo più ignobile. La porta si aprì, e arrivò…Lucas. Un’aria trasandata, barba lunga, e occhiaie molto evidenti, indossava una tuta arancione e si trascinava per la stanza, avvicinandosi al vetro. Vide subito Hanna, non appena entrò, e i suoi occhi si sbarrarono di colpo. L’uomo si sedette lentamente, quasi incredulo. Hanna aveva il cuore in gola. I due si ritrovarono faccia a faccia, e non dissero nulla. Per qualche minuto rimasero a fissarsi. Uno sguardo, quello di Hanna, che trasudava odio, disprezzo, tristezza, tanti sentimenti contrastanti.

Lucas deglutì e tentò di parlare “Non…Non mi sarei mai aspettato una tua visita” esclamò lui con voce bassa e flebile.

Hanna prese coraggio. Doveva farlo. Non poteva rimanere zitta di fronte all’uomo che tentò di rovinarle la vita e si prese gioco di lei “Non pensare che sia qui perché di colpo ho deciso di perdonarti. Non riuscirei a farlo nemmeno in un’altra vita” la donna aveva un tono di voce sprezzante.

Lucas non cambiò espressione. Era serissimo “Allora perché sei qui? Non sei mai venuta da un anno che sono rinchiuso” rispose lui.

“E di certo non era nei miei piani venirti a trovare, ma dovevo farlo” spiegò lei.

Rimasero ancora in silenzio. Un silenzio quasi assordante. Hanna voleva non guardarlo più, ma non riusciva a distogliere gli occhi da lui. Dall’uomo che reputava il suo migliore amico, e che la tradì in una maniera meschina e subdola.

Lucas cambiò lentamente espressione. Un sorriso quasi malato apparve pian piano sul suo volto, lo accennò solamente. Sembrava lo stesso malato sorriso che aveva un anno prima in quella maledetta casa delle bambole “Addison”, solo questo nome pronunciò.

Hanna quasi sobbalzò, e si avvicinò al vetro tentando di non destare i sospetti dei poliziotti di guardia. “Che sai di questa storia? Conoscevi Addison?” chiese lei con voce un po’ più bassa.

Lucas capì che Hanna voleva qualcosa da lui, e ciò iniziò a intrigarlo, e pian piano si rilassò. “Potrebbe essere” rispose lui.

Hanna sbuffò “Ascolta, se tu e qualche tuo altro folle amico state cercando di incastrarci per la sua morte, solo per portare a termine la vendetta della tua pazza complice, sappi che te ne farò pentire amaramente. E preferirai la morte a queste quattro mura” Hanna gli fece una minaccia in piena regola.

Lucas continuava a essere divertito “Io magari non la conoscevo, ma qualcun altro sì” rispose lui.

“A chi ti riferisci? A Melissa, cioè Alex?” chiese lei. Lucas non rispose subito. “…Parla!” continuò lei.

“Diciamo che Addison era un membro minore del nostro team” rivelò Lucas. Hanna rimase alquanto sconvolta.

“Addison era nel team di A.D.? Ma a che scopo? Come aveva fatto a costringerla?” chiese lei.

“Stai facendo le domande sbagliate” rispose Lucas. “…Chiediti piuttosto cosa avete fatto voi per averla spinta ad aiutare me e Alex” Lucas alludeva a qualcosa in particolare.

“Noi non conoscevamo Addison. Nessuna di noi ha mai avuto a che fare con lei, ed Emily e Ali erano solamente le sue insegnanti. Perché avrebbe dovuto avercela con noi?” chiese lei insistente.

“Forse dovreste fare un bel po’ di ricerche. Ci sono un sacco di cose che non sapete sulla povera Addison” continuò Lucas.

“Cioè? Se tu sai, devi dirmelo!” rispose lei.

Lucas sorrise. “E poi che gusto ci sarebbe? Se sei qui, è perché la morte di quella ragazzina ha scatenato qualcosa. Qualcosa che vi ha messo in seria difficoltà, e di certo non ho la minima intenzione di aiutarti, piuttosto mi godrò lo spettacolo da qui dentro. Quando scoprirete tutto, oh, mia dolce Hanna, non ci vorrai credere nemmeno tu” rispose lui quasi estasiato.

Hanna, presa da un colpo di rabbia, tirò un pugno al vetro, facendosi anche male. Lucas indietreggiò, mentre attirarono l’attenzione degli altri detenuti e dei loro parenti o amici andati a trovarli.

Le guardie si avvicinarono a Lucas e Hanna. “Ok, può bastare! Andiamo via!” esclamò la guardia dal lato di Lucas, e lo costrinse ad alzarsi. Lucas continuava a fissare Hanna senza dire nulla, e tenendo su il suo inquietante sorriso.

“Signora, è meglio che esca dalla sala, andiamo” intervenne la guardia dal lato di Hanna. Quest’ultima continuava anch’essa a fissare Lucas, che poi sparì dietro la porta che lo stava riportando nella sua cella, mentre Hanna si fece scortare fuori.

Poco più tardi, al Radley Hotel, Jason era seduto a un tavolo, ansioso e agitato come mai prima d’ora. Di fronte a lui c’era una coppia intenta a sorseggiare del buon vino. Jason li fissava senza distogliere lo sguardo, fin quando non vide Aria entrare nell’atrio. Il cuore di Jason iniziò a battere all’impazzata. Aria lo vide e si avvicinò al tavolo. Jason si alzò di scatto.

“Ehi, c-ciao!” esclamò lui palesemente impacciato e in difficoltà.

“Ciao” rispose lei, anch’essa in totale imbarazzo. I due quindi si sedettero e per pochi secondi rimasero zitti e a fissarsi.

Jason quindi tirò un sospirone “Sono, sono contento che tu abbia accettato di vedermi” aggiunse visibilmente felice.

“Già, ho pensato che fosse arrivato il momento di provare a chiarire, e a vedere se stai davvero facendo quei miglioramenti di cui tutti mi parlano” rispose lei.

Furono quindi interrotti da uno dei camerieri “Buonasera signori, volete ordinare qualcosa?” chiese lui.

“Io prendo una spremuta all’arancia, se è possibile” rispose Aria.

“Io un’acqua tonica, grazie” rispose Jason.

Il cameriere si allontanò mentre Aria e Jason rimasero a fissarsi.

“Beh, sei davvero cambiato. Una volta avresti ordinato vino bianco fino a svenire” rispose lei un po’ fuori luogo. Jason si sentì a disagio e abbassò lo sguardo “…Scusami, scusami davvero. Non volevo, è che, è che ancora è dura mandare giù quello che hai combinato quella sera” spiegò Aria.

“Lo so, e proprio per questo ti ho scritto. Io ci tenevo a scusarmi per quello che è capitato, per come ho rovinato quella serata per te importante, e per come ho rovinato la nostra amicizia. Tu, tu eri l’ultima persona che lo meritava, ed io ho sbagliato, quindi, ti chiedo scusa” Jason era veramente sincero. Stava parlando col cuore in mano, e Aria conosceva benissimo Jason. Dopo Ezra, l’unico uomo che conosceva bene e nel profondo, era lui. Sapeva quando si sentiva in colpa, sapeva quando era sincero. E ora, nei suoi splendidi occhi, vedeva solo sincerità.

Aria lo scrutò attentamente “Ma allora perché non mi hai cercato prima? Sono mesi che non ci parliamo. Hai il mio numero, sapevi dove abitassi, perché non mi hai mai cercato fino ad ora?” chiese lei cercando di capire la situazione.

“Aria, mi vergognavo. Ero arrivato ubriaco alla tua festa di compleanno, avevo infastidito una tua amica, distrutto la torta, ho dato un pugno a tuo padre. Come potevo ricercarti? Non ne ho mai avuto il coraggio, e così il tempo è passato senza che me ne rendessi conto” spiegò lui.

“E oggi cosa ti ha spinto a cercarmi?” chiese lei.

“A parte Alison e Spencer che tentano in tutti i modi di farci fare pace?” chiese lui ridendo. Aria rise anch’essa. “…Penso al fatto che finalmente sento di stare bene. Finalmente sento di aver trovato un equilibrio nella mia vita. Iniziai a bere quando persi il lavoro. Ero a pezzi, perso. Trovare un nuovo lavoro, passare del tempo con le gemelle, mi ha fatto stare meglio. Mi ha fatto rinascere. E quindi, dopo aver rimesso a posto i vari tasselli più importanti della mia vita, ho deciso di mettere a posto l’ultimo, forse il più importante, ovvero il mio rapporto con te” Jason era dolce, sincero, colpevole.

Aria sentiva il suo senso di colpa, lo percepiva. Gli sorrise. “Mi fa piacere, davvero. E si vede che stai meglio, dico sul serio” rispose lei felice di dire ciò. Jason ricambiò il sorriso. Il loro era uno di quei rapporti che mai si sarebbe distrutto, anche a distanza di anni sarebbero sempre stati connessi, in sintonia. E in quel momento erano proprio così.

In serata, al liceo, Emily era intenta a prendere un ultimo caffè dalla macchinetta, mentre tutti gli insegnanti stavano lasciando l’edificio.

 Arrivò Cassidy “Ehi, ci vediamo domani! Domani offri te!” esclamò la donna, e intanto nei corridoi apparve anche Alison, che rimase quasi sconvolta alla vista di quella scena.

Emily sorrise “Va bene, a domani Cassidy, buonanotte!” replicò Emily, mentre Cassidy sparì uscendo dall’edificio.

Alison si avvicinò alla moglie “Chi sei tu, e che ne hai fatto di mia moglie?” chiese Ali ironica. Emily si voltò di colpo.

“Ehi, ciao! Che intendi dire?” chiese la donna mentre prese il caffè, diede un tenero bacio ad Ali, ed entrambe si avviarono all’uscita.

“Beh, quel saluto come se foste amiche per la pelle. Non volevi ucciderla e seppellire il suo corpo fino a ieri?” chiese Alison ironica.

“Sì è vero, ma abbiamo parlato, e, probabilmente non è così cattiva come pensavo” esclamò Emily.

Le due uscirono dall’edificio, e non appena fuori, Alison vide suo padre Ken parcheggiato di fronte la scuola, fuori dall’auto, mentre la aspettava. “Ehi, amore, lo hai chiamato tu?” chiese Emily curiosa.

“No, certo che no. E’ tutto il giorno che mi perseguita” esclamò Ali scocciata.

Emily quindi le prese le mani “Ehi, ascolta. Ma che ti costa prenderci un caffè? Non sei curiosa di sapere cos’ha da dirti?” chiese Emily.

“No. Io so solamente che quell’uomo mi ha abbandonata nel momento in cui avevo più bisogno di lui, nient’altro” rispose Ali stizzita.

“Ok, ma magari è qui per farsi perdonare, le persone possono cambiare. Hai visto me e Cassidy, no?” rispose Emily.

“E’ ben diverso” ribatté Alison.

“Sicuramente. Ma è comunque tuo padre. Tu non hai nulla da perdere. Prendici un caffè. Se ti piace quello che ha da dirti, bene, se ti dirà cose che non ti piacciono, ti alzi e te ne vai, e continuerai la tua vita come hai fatto fino ad ora. Ma ti conosco, e non vedendolo ti pentiresti per il resto della tua vita, perché penserai sempre a cosa avrebbe voluto dirti. Ali, io darei qualsiasi cosa pur di parlare ancora una volta con mio padre, ma non posso. Tu ce l’hai qui, che spera di poterti parlare, quindi va da lui e parlaci” Emily rispose giusta e saggia, con quella saggezza e bontà che l’avevano sempre contraddistinta. E queste parole fecero breccia nel cuore di Alison. La donna quindi si voltò verso suo padre, che continuava a fissarla speranzoso.

“Forse hai ragione” rispose Alison.

“Certo che ho ragione. Dai, vai! Tanto a casa c’è la baby-sitter” rispose Emily rassicurando la moglie.

“Perché scusa? Non torni a casa?” chiese lei.

“Non subito. Ho deciso di andare a trovare i genitori di Addison, chissà che non capisca qualcosa di più riguardo questa situazione” rispose Emily.

“Em, per favore, non metterti nei guai. Facevamo queste cose in passato e ci si ritorcevano sempre contro. Non ficcanasare troppo. Me lo prometti?” concluse Alison.

“D’accordo, ora va! Ci vendiamo più tardi, e sta tranquilla, ok?” rispose Emily avvicinandosi alla moglie.

“Ok” rispose Ali, e le due si scambiarono un dolce bacio. “…A più tardi!” concluse Alison, e le due si divisero. Emily guardò Ali avvicinarsi al padre, era un po’ preoccupata, ma speranzosa che quel confronto potesse portare a qualcosa di positivo.

Alison arrivò all’auto del padre con un groppo in gola non indifferente, mentre la sudorazione saliva in modo impressionante. Ken, che prima era poggiato all’auto, ora era in piedi, rigido come non mai. I due si trovarono l’una di fronte all’altro. “Allora? Volevi prendere un caffè?” aggiunse Alison.

“Sì, vorrei tanto” Ken le sorrise.

A casa Hastings, invece, Veronica, Spencer e Craig, erano seduti nel giardino di casa, di fronte una graziosa tavola piena di piatti deliziosi preparati da Veronica. I tre stavano ridendo di qualcosa.

“E in pratica le si era incastrato il piede in questo cunicolo, e non riuscivo più a tirarla via! E’ stato esilarante!” raccontava Veronica, quasi con le lacrime agli occhi.

“Hai rischiato davvero la vita da bambina, eh Spencer?” chiese Craig anche lui divertito.

“Già, diciamo che ero parecchio vivace” rispose Spencer, e anch’essa era rilassata e presa dalle risate.

“Che poi come siamo riusciti a liberarti? Non lo ricordo” chiese Veronica.

Spencer si sentì di colpo a disagio, deglutì e fece un sospiro “Mi, mi liberò Melissa” di fronte a queste parole, calò il silenzio. Veronica cambiò espressione e divenne piuttosto seria. Il sorriso era svanito. Il silenzio faceva da padrone.

“Io, io lo avevo dimenticato” aggiunse poi mamma Hastings tentando di smorzare quel velo di tristezza che era calato. Craig fissava entrambe.

“E’ colpa mia. Ho richiamato momenti del passato, e non dovevo, mi spiace” intervenne il detective, alquanto gentile.

“No, non si deve scusare detective. Melissa faceva parte del mio passato, quindi sarebbe da stupidi fingere che non sia mai esistita” rispose Spencer saggiamente.

“Ok, ma che ti avevo detto? Chiamami Craig, per favore” chiese l’uomo. Spencer e Craig si sorrisero. Veronica notò questa tenera complicità tra i due, e sorrise anch’essa quasi emozionata. Quindi si ricompose di colpo.

“Allora vado a prendere il dolce! Arrivo tra un momento!” esclamò poi la donna alzandosi ed entrando in casa.

Craig e Spencer si ritrovarono al tavolo da soli. Mentre Spencer si premurava di versarsi altro vino, Craig non le toglieva gli occhi di dosso. Spencer si accorse del suo sguardo.

“Non vorrei dirti, Craig, ma questo sguardo è un po’ inquietante” spiegò Spencer, puntualizzando il nome dell’uomo.

Craig quindi distolse lo sguardo “Scusami, non volevo, è che, cercavo di capire” spiegò lui.

Spencer apparve confusa “Capire cosa?” chiese lei.

“Sai, tutta la vicenda con Charlotte e Alex Drake, e ora l’omicidio di questa ragazza, Addison. Stavo cercando di capire quale nesso possa esserci con te e le tue amiche” spiegò lui accuratamente.

A Spencer queste parole non piacquero. Era come se Craig stesse aspettando di rimanere solo con Spencer per provare a carpirle qualche informazione. La donna provò a non scomporsi “Cosa dovrebbero c’entrare Charlotte e Alex con l’omicidio di Addison Derringer?” chiese lei.

“Forse niente, o forse tutto” rispose lui.

“Penso che la storia di Charlotte e Alex, e ciò che hanno fatto, è scritta nero su bianco in qualche fascicolo che ha la polizia, quindi penso non sarà difficile capire la loro storia. Ah, e poi c’è anche il libro della mia amica. Per quanto riguarda Addison Derringer, non penso che delle fotografie possano far trarre conclusioni di questo tipo” rispose lei a tono.

“No certo, però è strano. Charlotte e Alex Drake erano accomunate dall’odio che provavano per te e per le tue amiche, e guarda caso anche Addison Derringer non era una vostra grande fan, proprio nel periodo in cui Alex Drake vestita i panni di una stalker, come si faceva chiamare?” continuò lui imperterrito.

“Stranamente questa cena si è trasformata in un interrogatorio o sbaglio?” chiese lei, accusandolo.

“Stiamo solo conversando un po’” rispose lui tranquillo.

“A me non mi pare, forse a lei sì” ribatté Spencer.

“Sei tornata a darmi del lei?” chiese lui.

“Assolutamente sì” rispose lei piuttosto indispettita.

I due si lanciarono sguardi di sfida visibili lontano un miglio. Arrivò poi Veronica con una torta al cioccolato in mano e la posò sul tavolo. “Eccola qui! Spero non si sia sciolta!” aggiunse la donna. Poi si accorse degli sguardi seriosi tra i due. “…E’ successo qualcosa?” chiese.

Spencer si riprese “No, no sta tranquilla! Vado un attimo in bagno, torno subito” rispose lei cercando di liberarsi subito da quella cena. Craig la fissò mentre si allontanava, e Veronica capì che c’era qualcosa che non andava.

Al Radley Hotel, Hanna era appena rientrata nella sua camera affittata mentre era al telefono con Emily.

“Mi spieghi cosa ti salta in mente? Avevi nostalgia dei vecchi tempi?” chiese Hanna stizzita mentre lasciò la borsa, levò le scarpe, e si accasciò sul letto. Dal canto suo, Emily era parcheggiata nel vialetto in cui stava casa Derringer, e osservava la casa, in attesa di decidere cosa fare.

“Disse quella che è andata a trovare Lucas in prigione” rispose giustamente Emily.

“Ma io l’ho fatto per avere informazioni. Andando a casa di Addison sembrerà che tu voglia coprire le tue tracce nel caso l’avessi uccisa” rispose Hanna.

“Tu credi che la polizia sospetti di noi?” chiese Emily.

“Ma certo! Oramai sappiamo come funziona per loro. Gli basta un piccolo indizio, e montano un caso” ribatté Hanna.

“Quindi Lucas ti ha fatto capire che Addison lavorava insieme a Melissa?” chiese poi Emily cambiando argomento.

“Esatto. Ma l’hanno portato via prima che potesse dire di più, o meglio, io li ho costretti a portarlo via. Non sopportavo più il suo sorrisino. Poi quella casacca arancione era un pugno in un occhio” rispose Hanna.

Emily rimase in silenzio per pochi secondi. “Com’è stato rivederlo?” chiese lei.

Hanna sospirò, ci pensò bene. Aveva uno sguardo triste “E’ stato…Strano. Molto strano. Per quanto mi sforzassi di vederlo solamente come uno stalker psicopatico che mi ha mentito e torturato, continuavo solo a vedere Lucas, il mio migliore amico. E ho odiato questa cosa” rispose Hanna quasi rimproverando se stessa. “…Posso solo immaginare come possa sentirsi Spencer ancora oggi riguardo Melissa. Io ho perso il mio migliore amico, ma lei ha perso una sorella” continuò la giovane Marin-Rivers.

“Non ci siamo mai soffermate a pensare a ciò che potesse provare” continuò Emily iniziando a provare un leggero senso di colpa.

“Comunque ora inutile sentirsi in colpa. Siamo qui tutte insieme, e cercheremo di risolvere questa faccenda tutte insieme. Prima questo mistero si risolve, prima potremmo tornare alle nostre vite. Anche perché non mi fido a lasciare Caleb e Regina insieme a Mona” continuò Hanna.

“Mona e Caleb insieme? Non oso immaginare” rispose Emily ridendo divertita.

“Già! Oramai è la mia assistente personale, quindi mi segue ovunque, e siccome Caleb è impegnato con alcuni lavori d’informatica, Mona rimane a dormire nel nostro hotel, e fa da baby-sitter a Regina. A quanto pare adora stare con lei” continuò Hanna.

“Intenti Mona?” chiese Emily.

“No, intendo Regina. Ho paura che qualche giorno possa farmela vestire da baby A inquietante con la felpa nera. Comunque sono a pezzi. Ci sentiamo domani. Avverti se scopri qualcosa” terminò Hanna.

Emily sorrise ascoltando l’immancabile ironia dell’amica “Ok, vado. Ci sentiamo domani” concluse Emily, staccando. Quindi trovò il coraggio, uscì dall’auto e si diresse verso la porta di casa Derringer. Fece un bel sospiro e bussò. Attese qualche minuto, fino a quando non le aprì Robert Derringer, un uomo molto bello, capelli brizzolati e barba incolta. Era in vestaglia, e con uno sguardo che faceva trasparire tanto dolore e stanchezza.

“Posso fare qualcosa per lei?” chiese il signor Derringer con voce flebile.

“Ehm sì, cioè, più o meno. Io, io ero una delle insegnanti di vostra figlia Addison” rispose Emily alquanto a disagio.

Robert Derringer sbarrò gli occhi quasi incredulo, quindi spalancò la porta “Lei era su quelle foto, non è così?”

Emily abbassò lo sguardo come a non volerlo più guardare “Sì, io e alcune mie amiche, per questo sono qui” rispose la donna.

“Entri pure” rispose lui, ed Emily si addentrò un po’ ansiosa, ma curiosa di capirci qualcosa.

E intanto, Jason e Aria stavano passeggiando tranquillamente, e a giudicare dalle risate di entrambi, stava andando tutto ok.

“Io ricordo ancora che quando andammo allo zoo insieme, eri in pratica terrorizzata dalle scimmie!” aggiunse Jason divertito.

“Ma è ovvio! Erano delle scimmie enormi, e mi guardavano malissimo!” rispose lei buffa.

“Maddai, erano tenerissime! Ma nulla batte quando andammo a cena in quel ristorante italiano e chiedesti al cameriere di spostare la boccia con i pesci perché ti dispiaceva averla vicino!” continuò Jason divertito.

“E’ assurdo che tu riesca a ricordare tutto ciò che abbiamo fatto quando stavamo insieme” rispose lei incredula.

“Io ricordo ogni momento del periodo in cui siamo stati insieme. Tutto. Non riuscirei a dimenticare nulla, nemmeno se ci provassi” rispose lui un po’ più serio, e con una dolcezza che poteva disarmare chiunque, mentre si fermarono di fronte il cancello di casa Fitz-Montgomery. Aria si sentì stranamente a disagio.

“Eccoci qua! Caspita, è volato il tempo!” aggiunse lei cercando di smorzare l’imbarazzo.

“Significa che siamo stati bene, no?” chiese lui.

“Già. Sono stata molto bene. Stasera ho rivisto il Jason che era mio amico” rispose Aria.

Jason la guardava intensamente, con due occhi che potevano parlare da soli. “Come sta andando il libro? Ho letto che ai primi posti tra i più letti degli ultimi mesi. Io l’ho letto ed è fantastico!” rispose Jason.

“Sì, siamo precisamente al quarto posto, il che è incredibile! Il tour sta andando alla grande e sto incontrando davvero tanta gente che ha preso a cuore la mia storia, quella delle ragazze. Tantissime donne si sono immedesimate in me, in Spencer, in tutte noi. E’ davvero bellissimo. Ora speriamo che riesca a riprenderlo quanto prima, anche perché…” Aria non riuscì a finire la frase che subito Jason tentò di baciarla. La donna non ci stette minimamente. In un attimo lo cacciò via “…Ma che diavolo ti salta in mente?” chiese lei adirata.

Jason abbassò la testa “Scusami, io, è che, non so, perdonami!” rispose lui balbettando.

“E pensare che ero felice di aver rivisto quella parte di te che apprezzavo. Ma evidentemente non è cambiato nulla! Era solo una farsa per arrivare qui! Buonanotte!” Aria era alquanto furiosa. Il tono della sua voce era alto e sprezzante. Alzò subito i tacchi, aprì il cancello che dava sul giardino di casa, e si avviò verso la porta, senza guardarsi più indietro.

Jason rimase di fronte il cancello, divorato dal senso di colpa.

A casa Derringer, intanto, Emily era seduta nel salotto, sul divano che dava sull’enorme camino con sopra centinaia e centinaia foto di Addison insieme alla mamma e al papà. Robert Derringer era seduto poco distante da lei, sulla sua poltrona, mentre Felicity Derringer, anch’essa una bella donna sulla cinquantina, arrivò con tre tazze di thè caldo su di un vassoio. Notò che Emily era intenta a fissare le foto sul camino.

“Era bellissima, non è vero?” chiese Felicity con tono malinconico, e posando il vassoio sul tavolino posto al centro della stanza.

“Già molto. Era anche molto sveglia per la sua età” rispose Emily tentando di essere il più gentile possibile.

“Rimanere con il dubbio per più di un anno è stato ancora più straziante” aggiunse poi il signor Derringer.

Rimasero per un attimo tutti in silenzio, mentre i due coniugi ammiravano le foto della loro unica figlia. Emily capì di dover ‘fuggire’ da quell’imbarazzo, provando a scoprire qualcosa o a carpire informazioni.

“Signori Derringer, io devo chiedervelo. Per caso Addison, aveva, aveva problemi con qualcuno?” chiese poi lei quasi con paura. I due la fissarono di colpo.

“No, certo che no. Era ben voluta da tutti. Infatti non capiamo come mai avesse nascoste quelle orribili foto di lei e delle sue amiche, siamo, piuttosto confusi” spiegò la signora Derringer.

“Non è proprio vero tesoro” rispose Robert Derringer.

“Che intende dire?” chiese Emily curiosa.

“Un giorno la beccai parlare al telefono con qualcuno. Qualcuno che a quanto pare la stava tormentando. Io non ci diedi peso all’epoca, ma ora…A questo punto poteva significare tutto” rispose il signor Derringer.

Partì un flashback della primavera scorsa. Addison si stava preparando per andare a scuola. Era bella e raggiante come sempre. Apparve sua madre lì in camera. “Tesoro se vuoi andare a scuola con papà sbrigati o farai tardi!” esclamò la donna.

“Mamma non stressarmi! Sto arrivando!” rispose Addison con tono saccente.

Poi tirò fuori il telefono, aprì la chat di gruppo in cui stavano anche le sue amiche, e mando una registrazione vocale “…Ehi ragazze, sto per arrivare! Mi raccomando, il tavolo in mensa, quello al centro, è nostro. Se ci rivedo quella storpia sordo muta di Claire vedrete un lato di me che non vi piace, vi avverto. Ci vediamo tra poco, e Willa? Il mio vestito blu, ricordatelo. A tra poco!” e inviò.

Di colpo le squillò il telefono. Era un numero anonimo. Alla vista di quella chiamata, il volto di Addison cambiò di colpo. Era preoccupata. Non sembrava più la bulletta che era sempre stata. Quindi socchiuse la porta della stanza e rispose.

“Quanto ancora vorrai tormentarmi?” chiese Addison a voce bassa al suo interlocutore. “…No, ho capito, ma non sono più convinta, e lo sai perché!” mentre Addison diceva queste cose, papà Derringer era appena uscito dalla camera da letto, e sentendo i bisbigli provenire dalla stanza della figlia, si avvicinò furtivamente.  “…No, no ascoltami tu! Ti sono venuta dietro dopo che mi hai spiegato tutto, ma non così! Non voglio farlo, ti è chiaro o hai intenzione di tormentarmi per il resto della tua vita? Sì, ho capito ma io non…” Addison non riuscì a finire la frase perché suo padre fece capolino dalla porta.

“Ehi tesoro, va tutto bene?” chiese l’uomo.

La ragazza rimase pietrificata. “Certo! Sì, tranquillo!” subito staccò la telefonata. “…Era solo Ava che si lamentava perché devo ridarle un vestito, tra l’altro orribile. Non so nemmeno come io abbia fatto ad usarlo! Allora andiamo?” rispose lei in fretta e furia cercando di cambiare argomento. Quindi prese lo zaino e uscì in fretta dalla stanza. Il signor Derringer rimase a riflettere per pochi secondi. Pochi secondi che avrebbero potuto aiutare se solo si fosse concentrato di più, ma non lo fece, quindi raggiunse mamma e figlia al piano di sotto.

 

“Lasciai perdere. Non ci pensai più, ma potevo, potevo indagare. Ora la mia bambina è morta, ed io, io mi sento male al pensiero che avrei potuto fare qualcosa” nel presente, la voce spezzata dal pianto del padre di Addison, fecero venire un nodo alla gola anche a Emily che tentava invano di trattenere le lacrime. Il signor Derringer si portò le mani sul viso, con segno di disperazione.

“Ehm, s-senta, potrei usare il bagno un momento?” chiese poi Emily.

“Sì, certo. Prima porta a sinistra in cima alle scale” rispose la signora Derringer.

“Grazie” rispose Emily, e quindi salì al piano di sopra.

Salite le scale e arrivata alla sua sinistra, notò un’altra stanza proprio accanto al bagno. Sulla porta c’era la targhetta “A.D.”; che apparve quasi inquietante a Emily, viste le iniziali molto conosciute a lei e alle sue amiche. Era però la cameretta di Addison. La donna si avvicinò con la paura che le pervadeva il corpo, e pian piano aprì, ed entrò nella stanza. La cameretta si presentava come una delle solite camere di un adolescente. Vestiti alla moda, poster di cantanti famosi, trucchi, smalti. La camera di Addison era la rappresentazione di ciò che un’adolescente potesse essere. La giovane si guardò intorno con la speranza di trovare qualcosa. Capì di non avere molto tempo, doveva provare a cercare qualcosa. Stava per iniziare a mettere le mani ovunque, ma poi si rese conto di qualcosa che stava dimenticando. Tirò fuori un paio di guanti in lattice dalla tasca e li indossò, e quindi cominciò a cercare.

Guardò nei cassetti, sotto il letto, nel comodino, ovunque, fino a quando non toccando il cuscino, sentì un qualcosa di rigido proprio dentro la federa. La donna quindi aprì in fretta la federa e tirò fuori una foto. Una foto che Emily osservò attentamente. Rimase alquanto confusa. I rumori di alcuni passi la fecero subito sobbalzare, quindi prese la foto, la mise in tasca, riordinò tutto, tolse i guanti, e si apprestò a uscire dalla stanza più in fretta che poteva.

 

Contemporaneamente, a casa Hastings, Spencer si stava dirigendo verso la sua stanza, mentre stava scrivendo un sms nella chat di gruppo in cui c’erano lei e le altre. “Hanna, novità? Sei andata a trovare Lucas?” scrisse. Quindi si avvicinò alla porta della sua camera, e si accorse che era aperta. Sentì dei rumori provenire dall’interno, quindi senza pensarci due volte, aprì di colpo “Chi c’è?” aggiunse coraggiosamente, e si trovò davanti…Il detective Davis. Craig era intento a rovistare tra la roba della donna.

I due rimasero a fissarsi per pochi secondi. Spencer era sbigottita. “…Che diavolo sta facendo?” ruggì lei.

“Spencer, posso spiegare” rispose lui cercando di trovare una scusante.

La donna quindi gli prese dalle mani un libro che stava controllando. “Ecco perché voleva questa cena al più presto, non è così?” chiese lei visibilmente furiosa. In quel momento arrivò anche Veronica Hastings.

“Che sta succedendo qui? Craig, ma non eri andato in bagno?” chiese la donna confusa.

“Già, ma prima ha pensato di fare una breve fermata in camera mia per cercare l’arma con cui ho ucciso Addison Derringer!” continuò Spencer usando un’ironia mista a rabbia.

“Veronica, io, io sto cercando di risolvere un caso complicato” rispose lui in palese difficoltà.

“E lo fai approfittandoti di me e di mia figlia accettando una cena a casa solo per poter ficcanasare in giro?” chiese Veronica incredula.

“Hai ragione, ho sbagliato, è che…” Craig non ebbe il tempo di finire la frase.

“Va via” Veronica fu chiara e diretta. Craig la fissò quasi incredulo.

“Dici sul serio?” chiese lui.

“Mai stata così seria in vita mia. Se non vuoi che mi rivolga subito al tuo capo in modo che ti cacci il distintivo, ti conviene alzare i tacchi e andartene subito da casa mia. Ne ho fin sopra i capelli dei pezzi di merda” rispose Veronica, sorprendendo Spencer.

Craig non disse nulla. Alzò i tacchi con lo sguardo da cane bastonato e uscì dalla stanza, non prima di aver lanciato un’ultima occhiata a Spencer, e sparì. Veronica lasciò andare la sua durezza di pochi secondi prima, e fece un lungo e triste sospiro, sedendosi subito sul letto della figlia, quasi come se si fosse lasciata andare. Spencer si sedette accanto a lei. Notò che era sull’orlo del pianto e subito la strinse a se facendole poggiare il capo sulla sua spalla.

 

Il mattino seguente, al Brew, Alison era seduta ai divanetti e sembrava serena e sorridente. Suo padre Ken era intento a fare la fila per pagare il caffè, e lanciò alla figlia un dolce sorriso che anche Ali a fatica ricambiò. In quel preciso momento entrò anche Spencer nel locale e notò gli scambi di sguardi tra i due. Si sedette vicino ad Ali.

“Devo dedurre che il caffè di ieri sera sia andato bene?” chiese Spencer curiosa.

“Diciamo di sì. Si è scusato per essere sparito, ha detto di essersi pentito, e che vuole fare il possibile per recuperare il tempo perso con me e Jason. Voglio provare a dargli una seconda possibilità, ma ho paura che possa deludermi di nuovo” spiegò Ali un po’ titubante.

“Io ieri sera ho avuto un incontro piuttosto vivace con il nuovo detective” rispose Spencer scocciata.

“In che senso?” chiese Ali.

“Nel senso che ha fatto preparare una cena a casa mia solo con l’intento di rovistare nella mia stanza” rispose Spencer.

“Ma è contro la legge o sbaglio?” chiese Alison.

“Certo che lo è! Ora devo decidere cosa fare. Anche perché secondo me mamma si è innamorata di lui” continuò Spencer.

In quel momento entrò Emily al Brew. Sembrava piuttosto affannata e ansiosa. Appena vide Ali e Spencer, si precipitò da loro. “Eccovi qui!” esclamò la donna con la voce spezzata.

“Ehi tesoro, che succede? Perché sei così agitata?” chiese Ali.

“Perché ho trovato qualcosa a casa di Addison. Avete provato ad accendere il televisore?” chiese Emily.

In quel preciso momento però, le tre vennero interrotte dal brusco arrivo di un tizio. Un tizio sulla quarantina, piuttosto trasandato, pieno di piercing e tatuaggi e uno sguardo alquanto cattivo. Si diresse direttamente verso Ken DiLaurentis, intento a fare la fila per pagare. Lo prese subito dalla giacca “Ecco dov’eri! Sono giorni che Val ti sta cercando!” l’uomo ruggì pieno d’odio e scaraventò Ken a terra.

Ali subito si precipitò da lui mentre tutti i presenti furono attirati dalla curiosità e assistettero alla scena. Ali subito tentò di far alzare suo padre “Ma è impazzito? Che succede?” chiese Ali confusa.

“Tesoro, stanne fuori, per favore!” rispose Ken.

“Tu devi essere la figlioletta ricca che gli deve prestare i soldi, non è così?” chiese l’uomo con fare scorbutico.

Ali apparve ancora più confusa di prima. “Che intende dire papà?” chiese Ali. Anche Emily e Spencer si avvicinarono.

“Intendo dire che il tuo caro papà ha giocato un po’ troppo, e non può più pagare il suo caro appartamento. Appartamento che Val gli ha affittato. Il caro paparino doveva pagare più di due settimane fa, ma sparì nel nulla dopo che promise di trovare la figlia perduta per chiederle un prestito” raccontò accuratamente l’uomo.

Ali rimase sconvolta, senza parole. Non poteva credere che suo padre era tornato nella sua vita solamente per spillarle dei soldi. Tutte le scuse della sera prima svanirono nel nulla, spazzate dalla cruda e sofferta verità. Tutti i sorrisi, le belle parole, tutto buttato via. Ali si allontanò dal padre. “E’ vero quello che dice quest’uomo?” chiese Ali con la voce spezzata dal pianto.

Ken non rispose. Rimase a terra, con lo sguardo basso e colpevole. Non riusciva a dire nulla, perché era la verità. Ali non voleva crederci. Subito uscì di corsa dal Brew, seguita da Emily e Spencer.

 

Al liceo di Rosewood, nel frattempo, Cassidy era appena entrata nell’edificio con un bigliettino in mano. Gli studenti stavano iniziando a entrare. La donna sembrava piuttosto felice. Si diresse nella sala docenti e con lo sguardò iniziò a cercare qualcosa, o qualcuno. Arrivò il signor Smith, l’insegnante di chimica. Un uomo basso, un po’ tozzo, capelli grigi, occhiali da vista sul naso e passo lento ma deciso.

“Buongiorno signorina Harmor” esclamò l’uomo con estrema gentilezza.

“Oh, buongiorno Albert. Senti, ma sei arrivato solo tu ancora?” chiese lei curiosa.

“Sì, certo, come ogni mattina sono il primo ad arrivare, perché me lo chiedi?” replicò lui. Cassidy si guardava intorno con fare sospetto e stringendo in mano quel biglietto.

“No, è che, insomma, non è che per caso hai visto la coach Fields qui a scuola?” chiese lei.

“No, lei non arriva mai a quest’ora. Solitamente arriva poco dopo sua moglie” rispose lui.

Cassidy sorrise contenta di tale notizia mentre teneva in mano e in modo piuttosto visibile quel bigliettino.

“Deve dargli quel biglietto?” chiese lui.

“No, non devo darlo a lei. E’ un invito. E devo darlo a sua moglie. Solo a sua moglie rispose Cassidy scandendo bene l’ultima frase. Quindi si guardò intorno un’ultima volta. “…Bene, poiché non c’è, posso stare tranquilla. A più tardi Albert” terminò la donna, uscendo quindi dalla sala docenti.

Nei corridoi della scuola intanto, Claire era al suo armadietto intenta a prendere dei libri per la lezione d’inglese, quando fu colta alla sprovvista da Willa. “Ciao Claire!” esclamò la ragazza apparendo piuttosto disponibile e gentile.

Claire dal canto suo apparve scocciata. “Che cosa vuoi Willa?” chiese la ragazza mentre rovistava nell’armadietto, e non si accorse che cadde un cerchietto per capelli blu. Willa si accorse della cosa ma fece finta di nulla.

Nulla, volevo sapere se ti andava di pranzare con me e le altre oggi” chiese la bionda.

Claire quindi posò lo sguardo su Willa e la fissò intensamente. “Ma perché di colpo sei così gentile? Non ci siamo mai calcolate di striscio quando Addison comandava in questi corridoi. Che cosa è cambiato adesso? E’ senso di colpa o cosa?” Claire affermò la verità senza peli sulla lingua.

Willa non si scompose “Volevo solo essere gentile, tutto qui” rispose con tranquillità.

“Beh, non c’è bisogno. Preferisco pranzare da sola, come ho sempre fatto. Grazie” rispose Claire stizzita, e subito si allontanò in fretta. Willa sorrise quasi soddisfatta, quindi si abbassò e prese il cerchietto blu, osservandolo con attenzione.

In quel momento la raggiunse Hadley. “Che cosa stai combinando con Claire?” chiese l’amica.

“Niente, sto solo cercando di capire quanto c’entri con la morte di Addison. E ora so che c’entra” concluse la ragazza, e subito mostrò il cerchietto a Hadley. Non appena la ragazza vide quel cerchietto, lo prese in mano sconvolta.

“Ma, questo, questo è il cerchietto che indossava Addison la notte…” Hadley non riuscì a finire la frase.

“La notte in cui scomparve” concluse Willa. Le due quindi rimasero a fissare Claire farsi spazio tra gli studenti in corridoio, e con la certezza che lei fosse invischiata fino al collo nella morte della loro migliore amica.

 

Intanto, un’Alison quasi in lacrime stava camminando per le strade di Rosewood, seguita da Emily e Spencer.

“Tesoro, aspetta! Parliamone!” esclamò Emily.

“Non c’è nulla di cui parlare! E’ un bugiardo!” rispose Alison fermandosi di colpo.

“Non voglio apparire insensibile, ma Emily, cosa volevi dirci prima che succedesse quel macello?” chiese Spencer.

In quel preciso momento arrivarono anche Aria e Hanna dall’altro lato della strada, e raggiunsero le amiche.

“Ehi ragazze! Ok, dobbiamo aggiornarci su un po’ di cose! Ali, perché hai tutto il mascara sbavo, sembri me quando riguardo Le pagine della nostra Vita” rispose Hanna. Alison non rispose. Spencer ed Emily fissarono Hanna un po’ attonite.

“Anche Emily ci stava aggiornando” rispose Spencer lanciando un’occhiataccia a Hanna, e  intimando Emily a continuare il discorso iniziato poco prima.

“Ah già! Vabbè, vi faccio vedere il servizio su internet. E’ andato in onda poco fa il notiziario” raccontò Emily tirando fuori il telefono e facendo partire un video “E’ stato confermato dopo le analisi dell’autopsia, che i resti ritrovati nel bosco Yarg, sulle montagne della Pennsylvania, appartengono a Roger Maxfields, un bambino newyorkese di nove anni, scomparso in circostanze misteriose diciassette anni fa, proprio nella cittadina di Rosewod. Mentre non si riesce a trovare la madre del bambino, il padre del piccolo, appresa la notizia, ha deciso di chiudersi in un doloroso silenzio, per piangere la morte di un figlio che finalmente in qualche modo, dopo così tanti anni può trovare la pace” mentre il notiziario comunicava la notizia, era apparsa anche una foto del piccolo Roger. Capelli lunghi fino all’orecchio, lentiggini, occhi verdi, e sguardo dolce.

“Emily, tutto ciò è molto triste, ma cosa c’entra con la morte di Addison?” chiese Spencer un po’ perplessa.

“Ieri sera mi sono intrufolata nella camera da letto di Addison e ho trovato una foto” rispose la donna tirandola fuori e mostrandola alle amiche. Era la foto di Roger Maxfields, il ragazzino i cui resti erano stati ritrovati pochi giorni prima. Lo stesso di cui parlava il notiziario. Aria prese la foto in mano quasi sconvolta.

“Ma è il bambino di cui ha parlato il notiziario? Perché ce l’aveva Addison?” chiese Aria confusa.

“Non lo so. So solo che era nascosta, quindi non voleva che la trovasse qualcuno“ continuò Emily.

“Ma cosa diamine c’entra un bambino scomparso diciassette anni fa con la morte di Addison?” chiese Spencer confusa.

“A me già scoppia la testa” rispose Hanna.

In quel preciso istante, i telefoni delle ragazze squillarono tutti all’unisono. Era un suono che non avrebbero mai voluto sentire. Un brivido percorse la schiena di tutte loro. Quei momenti li avevano vissuti già in passato, in circostanze che oramai avevano dimenticato da tempo, ma che erano rimaste scolpite nelle loro menti. Tirarono fuori il telefono impaurite come mai prima d’ora. Avevano paura di leggere ciò che si aspettavano di leggere.

“Ragazze, non è quello che penso io, vero?” chiese Aria perplessa.

Tutte lessero l’sms arrivato.

“Non è possibile” rispose Hanna sbigottita.

“Ditemi che è solo un brutto sogno” chiese Alison.

“Quello che avete vissuto in passato vi sembrerà il paradiso a confronto. Questa volta vi mando sotto terra. Allacciate le cinture puttanelle” tutte lessero l’sms contemporaneamente. Non volevano crederci. Non potevano crederci. Stava ricominciando tutto, un’altra volta.

FINE SECONDO EPISODIO.

 

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by: Frà Gullo;

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