Pretty Little Liars 8 – FAN-FICTION – 8×08 “The Lake”

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“The Lake” – “Il Lago”

Episode #808

 

Written by:

Frà Gullo;

 

 

CAST UFFICIALE:

Aria Montgomery (Lucy Hale)

Spencer Hastings (Troian Bellisario)

Hanna Marin (Ashley Benson)

Emily Fields (Shay Mitchell)

Alison DiLaurentis (Sasha Pieterse)

CAST SECONDARIO EPISODIO 8:

Toby Cavanaugh (Keegan Allen)

Veronica Hastings (Lesley Fera)

Ezra Fitz (Ian Harding)

Cassidy Harmor (Crystal Reed)

Addison Derringer (Avan Allan)

Willa Davis (Sydney Sweeney)

Caleb Rivers (Tyler Blackburn)

Mitch Carter (Dean Norris)

Xavier Goodwin (Matthew Daddario)

Craig Davis (Paul Johannson)

Hadley St. Germain (Celesse Rivera)

Ava Grant (Ana Markova)

Samantha Winson (Michele Selene Ang)

 

 

 

 

 

 

 

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Era mattina presto, ma a Rosewood, alla centrale di polizia, c’era parecchio fermento. All’entrata, un mucchio di giornalisti stava assalendo il detective Davis con i loro registratori e con i loro microfoni. Tutti urlavano, c’era un trambusto incredibile.

“Detective, detective! Lei crede davvero che Tom Marin abbia ucciso Addison Derringer? O pensa che sia stato incastrato come molti ipotizzano online?” chiese una delle giornaliste riuscendo a emergere in tutto quel baccano. Mentre era intenta a fare quella domanda, Veronica Hastings stava dall’altra parte della strada a osservare la caotica situazione.

“Posso rispondervi dicendovi che non lo so. L’arma del delitto, una calibro 45 nera, usata per uccidere Addison Derringer, è stata ritrovata nell’appartamento dell’uomo. L’arma combaciava con il proiettile che abbiamo estratto dal corpo della ragazza dopo l’autopsia. Ma non escludiamo che possa essere stato incastrato vista la segnalazione anonima arrivata in polizia” rispose Craig sperando di levarseli di torno.

“E riguardo quella ragazza? Claire Varlac? E’ ancora nel carcere minorile di Philadelphia? Vi ha rivelato qualcos’altro? Ha confermato o no se era Tom Marin la persona che aiutò quella notte a rapire Addison Derringer?” insistette poi un altro giornalista.

Craig sbuffò in preda alla disperazione, ma sorrise non appena incrociò lo sguardo di Veronica, che rideva divertita dall’altro lato della strada. Gli occhi dell’uomo subito s’illuminarono e fece cenno a Veronica di fare il giro da dietro. Veronica quindi si allontanò, mentre Craig tentò di entrare in qualche modo nell’edificio. “Non ho nient’altro da dire. Per favore. Fatemi passare” ruggiva lui alzando la voce. Riuscì a entrare e appena dentro si accasciò alla porta tirando un sospiro di sollievo.

“E’ bello farsi affidare un caso di omicidio in una piccola città, vero?” intervenne Veronica entrata dal retro e divertita dalla situazione.

L’uomo sorrise alla battuta.

Poco dopo, nell’ufficio di Davis, quest’ultimo stava salutando Veronica con un dolce e tenero bacio.

“Allora? Come stai?” le chiese tenendola stretta a se e guardandola poi negli occhi.

“Ho passato giorni migliori” rispose Veronica piuttosto pensierosa e scostandosi, andandosi a sedere.

Craig si sedette accanto a lei. “E’ per Spencer, non è così?” chiese lui.

Craig, io, io sono forte. Sono sempre stata forte. Anche quando mio padre morì quando avevo solo 25 anni, io nemmeno piansi. Sono sempre stata così. Sono sempre riuscita a non farmi trasportare dal dolore della perdita, perché sapevo che mi avrebbe distrutto. Peter non c’è più ed io, io mi sento uno schifo, davvero. Ma chi sta peggio è Spencer. Lei finge di essere quella forte e risoluta, ma conosco mia figlia. Sta crollando poco a poco. E ho davvero paura. Mi ha anche rivelato che è stata sospesa a lavoro, e, non ne sapevo nulla” raccontava Veronica con una voce alquanto preoccupata.

Craig le prese la mano “Si risolverà tutto. Secondo me devi solo lasciarle il tempo di elaborare il lutto. Aveva ritrovato suo padre e l’ha perso un istante dopo. Per te era il tuo ex marito, ma per lei, era suo padre. Nonostante tutto era suo padre. Devi darle tempo e non starle col fiato sul collo sperando che ti faccia un sorriso. Tornerà a sorridere quando si sentirà pronta, stanne certa. Inoltre, hai detto che ora c’è anche il suo fidanzato che è tornato per lei, giusto?” chiese Craig.

“Toby? Sì. Ma non so nemmeno io se è il suo fidanzato” rispose Veronica.

“In che senso?” chiese lui curioso.

“Vuoi davvero che te lo spieghi? Stiamo parlando di mia figlia, per favore replicò lei cercando di fargli capire che erano più ‘amici di letto’ nell’ultimo periodo.

Craig subito capì e si sentì leggermente in imbarazzo “Oh, ehm, ok, tutto chiaro. Meglio che mi metta a lavoro” rispose lui visibilmente impacciato e mettendosi alla scrivania. Veronica lo scrutava attentamente. La scrivania era sommersa da scartoffie di ogni tipo.

“Quei giornalisti sono come avvoltoi, eh? Ricordo che quando si venne a sapere di Melissa, avevamo i giornalisti anche nascoste nelle siepi del giardino di casa. Fu un incubo” spiegò la donna.

“Loro giustamente fanno il loro lavoro. Io dovrei fare il mio ma non so proprio che pesci prendere” ribatté Craig portandosi le mani alla testa quasi in segno di disperazione.

“Come mai? Credevo che con l’arresto di Tom Marin e la confessione di quella ragazza, foste vicini alla verità, o non è così?” chiese Veronica piuttosto perplessa.

“A quanto pare no. O almeno, io non lo sono rispose Craig.

“Pensi anche tu che Tom Marin sia stato incastrato?” chiese Veronica curiosa.

“Non lo so Veronica, è tutto troppo strano. La segnalazione anonima, la pistola messa in bella vista in un semplice armadio. Era sotto quattro paia di calzini. Se tu hai ucciso una ragazza e non vuoi che nessuno lo scopra, non nascondi l’arma del delitto nella casa in cui vivi con tua moglie” spiegò accuratamente Craig, dicendo cose giuste.

“Anche questo è vero” rispose Veronica riflettendoci.

Craig poi posò lo sguardo su di lei. “Tu lo conoscevi bene questo Tom Marin? Mi avevi detto che è il padre di Hanna Marin, l’amica di tua figlia, giusto?” chiese lui.

“Sì, esatto. Non lo conosco abbastanza. Ha lasciato Hanna e la madre quando Hanna era ancora molto giovane, ma l’ho sempre ricordato come un uomo per bene, a modo. Non avrei mai pensato che fosse capace di uccidere qualcuno” spiegò Veronica.

“Ecco, non sei la prima che me lo dice” rispose Craig.

“Quella ragazza ha rivelato altro? Claire Varlac?” chiese poi Veronica.

“Non ancora. Oggi andrò a trovarla. Non riesce a ricordare, dove fosse questo capanno in cui portarono Addison Derringer. Ha alcuni ricordi offuscati. Voglio capirci qualcosa in più. Piuttosto, mi preoccupa che debba stare in un carcere minorile. I ragazzi sono già terribili quando sono liberi. Immagina dei ragazzi criminali ammassati in un unico posto” rispose Craig, palesemente preoccupato per l’incolumità di Claire.

Nel frattempo, al liceo di Rosewood, nell’enorme palestra, una marea di gente era intenta ad addobbare la sala nel migliore dei modi. Lustrini, striscioni, palloncini colorati. C’era di tutto. Due ragazzi stavano appendendo lo striscione con su scritto “Ballo degli ex alunni classe: 2012”.

Poco più distante, Aria ed Emily erano sedute sugli spalti intente a gonfiare palloncini. Ne erano circondate, e a giudicare dalla quantità, ne avevano gonfiati parecchi. Emily sembrava esausta. Gonfiò l’ultimo e poi tentò di parlare.

“Mi spieghi…Mi spieghi perché siamo qui a organizzare una festa degli ex alunni di una classe che si è diplomata più di sette anni fa, quando dovremmo scoprire di più sulla persona che rapì Addison?” chiese la giovane con un’aria piuttosto esausta ma anche buffa.

Aria sembrava più rilassata di lei. “Perché in tutto il casino successo negli ultimi giorni, ci siamo dimenticati di un particolare importante, ovvero che quella ragazzina lì sotto che si diverte a spruzzarsi le stelle filanti addosso, aveva qualche problema con Addison” spiegò Aria, indicando Willa dall’altra parte della sala mentre insieme a Hadley, Ava e Samantha, si divertivano a riempirsi di stelle filanti. Sembravano tranquille.

“Quindi ora stiamo ipotizzando che Willa abbia rapito Addison perché la signora Derringer disse che non erano più amiche?” chiese Emily cercando di avere uno schema in mente.

“E perché Kate le ha viste litigare quella notte. Chi ci dice che dopo la lite non ha preso una bella e inquietante maschera e non si sia vendicata rapendo Addison e usando Claire per attuare il suo folle piano di vendetta? Quindi, per quanto non impazzisca a partecipare al ballo degli ex alunni, dovremmo farlo, in modo da non perdere di vista Willa, e scoprire la verità” finì accuratamente Aria.

Emily si guardò intorno un po’ scocciata. Era quasi disgustata “Ma poi quale classe del 2012 stiamo andando a festeggiare? Uno è morto decapitato, altri due sono in prigione perché totalmente pazzi, mi dici chi sarebbe rimasto di quella classe?” chiese giustamente la donna.

“Noi…E anche un’altra manciata di vecchi alunni. Dai, da un lato sarà anche divertente rivedere tutti!” intervenne Aria tentando di coinvolgerla, ma senza successo.

Parla per te. Inoltre dovremmo stare accanto a Spencer, e lo sai rispose Emily.

“Staremo con Spencer dopo. Ora è con Toby. E’ ovvio che ora abbia bisogno di lui” rispose secca Aria.

“Magari dovremmo metterci a cercare questo capanno in cui Claire e chiunque altro fosse con lei, hanno portato Addison quella notte. La polizia ancora non l’ha trovato, e a quanto pare Claire non ricorda dove si trovi questo posto. Potremmo cercarlo” ribatté Emily sperando di distogliere Aria da tutti quei palloncini, ma Aria fece finta di nulla.

Il telefono di entrambe però squillò. Tutte e due aprirono l’sms. Era un messaggio di Spencer nella chat di gruppo. “Riunione a casa mia, subito”.

“Parli del diavolo e spuntano le corna” terminò Emily, lasciando andare i palloncini e alzandosi in fretta.

Poco dopo, Aria, Emily, Hanna, Alison e Spencer, erano tutte insieme sedute nel granaio di casa Hastings. Le facce di tutte loro eccetto quella di Spencer, erano il ritratto della paura. Nessuna riusciva a parlare.

“Stai…Stai dicendo che Melissa è qui? A Rosewood?” intervenne Aria tentando di spezzare quell’enorme tensione.

“Non lo so. Può darsi. Di certo ha lasciato lei quell’orchidea sulla tomba di papà. E voleva che la trovassi. Sapeva che l’avrei trovata” rispose Spencer convinta delle sue parole.

“Sta giocando con te, di nuovo replicò Emily.

“Ci mancava solo questa” esclamò Alison con voce stanca.

“Dite che è una coincidenza che Alex Drake si faccia viva quando Claire decide di vuotare il sacco?” esclamò poi Hanna tentando di teorizzare sulla cosa. Tutte rimasero a rifletterci.

“Potrebbe essere lei la persona che ha rapito Addison?” chiese Aria.

“O magari la nuova amica di Addison che l’aveva fatta allontanare dal suo gruppo” continuò Emily.

“O magari era tutte e due” ribatté Hanna prontamente.

“Ragazze, con calma! Per favore! Ho appena scoperto che mia sorella, che ha tentato di rendere la mia vita un inferno dopo aver finto con me sin da quando sono nata, è tornata in città, oh, e altro dettaglio irrilevante, mio padre è anche morto! Potete darmi un po’ di tregua? Spencer era sbottata, urlando in maniera piuttosto furente.

Le ragazze rimasero tutte zitte per pochi secondi. Si sentirono a disagio.

“Ok…Allora, cosa, cosa consigli di fare? Partecipiamo comunque al ballo degli ex alunni?” intervenne Aria tentando di parlare in modo più calmo e ragionevole.

Spencer si calmò. Capì che doveva calmare il suo animo sofferente. “Sì, sì. Se quello che Kate ha detto è vero, quest’amica di Addison, Willa, sta nascondendo qualcosa. Penso che in qualche modo la confessione di Claire possa aiutarci ad avere un quadro quasi generale della situazione. E’ chiaro che chi ha ucciso Addison non è la stessa persona che l’ha rapita” raccontò Spencer camminando per la stanza.

“Credo che chiunque sia la persona che ci sta torturando, è la stessa che ha rapito Addison” intervenne Emily.

“Non sappiamo però il motivo, e cosa c’entrano mio padre, e il padre di Alison” replicò subito Hanna.

Alison scrutò subito l’amica.

“Ali, devi riuscire a parlare con tuo padre e scoprire cosa nasconde. Hanna, tu invece prova a indagare su questo campo estivo dove andavamo noi da bambine. Se gran parte dei nostri genitori erano lì quel giorno, e se anche i proprietari del campo furono indagati, forse sanno qualcosa, o hanno visto qualcosa quel giorno. Porta Mona con te” ordinò Spencer, quasi con un’aria da leader.

“Perché non posso indagare io sul campo? Ho letto molto sui giornali trovati con Ezra. So anche il nome del proprietario” intervenne giustamente Aria.

“Perché tu ed io andremo alla St. Balance Art School di Chicago” spiegò Spencer, prendendo da sopra il tavolo, un depliant informativo di questa scuola d’arte di Chicago, e lo mostrò alle amiche. Guardandolo attentamente notarono subito lo stemma della scuola. Era un cavallo immerso in un prato di fiori rosa. Lo stesso identico disegno che la persona che rapì Addison, aveva tatuato sul fondo schiena, a detta di Claire. Alison subito prese in mano il depliant e lo guardò alquanto sconvolta.

“Claire ha descritto questo tatuaggio quando parlava del rapitore di Addison” esclamò.

“Quando ieri sera Aria mi ha chiamato e mi ha spiegato tutto, ho ripensato tutta la notte a questo dettaglio del tatuaggio. Ero sicura di aver visto un disegno simile da qualche parte, e poi mi ricordai di questa scuola. Era il periodo in cui volevo mollare tutto, e non sapevo che fare della mia vita, e mi ero fissata con il disegno. Trovai questa St. Balance School e iniziai a cercare informazioni. E mi sono ricordate del loro stemma” spiegò Spencer con arguzia.

“Quindi è probabile che la persona che rapì Addison abbia studiato a questa scuola, e per questo aveva quel tatuaggio?” chiese Aria.

“E’ un’ipotesi. Ma mi sembra opportuno controllare. Partiremo tra una ventina di minuti, ok?” continuò Spencer prendendo subito la borsa.

“Ok, vada per Chicago” concluse Aria.

“Io…Io vorrei provare prima a parlare con Willa. Ho in mente qualcosa per provare a farle vuotare il sacco” aggiunse poi Alison.

“Ok, come vuoi. Ma parla anche con tuo padre” ribatté Spencer chiara e concisa, e a tratti scontrosa. Le amiche si guardarono tutte tra di loro, mentre Spencer si apprestò a uscire dal granaio, senza nemmeno aspettare le amiche.

Pochi minuti dopo, Alison si stava dirigendo alla sua auto pronta per tornare a casa, quando fu raggiunta da Emily.

“Ehi Ali, aspetta!” esclamò la donna uscendo dal granaio. Alison si voltò di colpo, incredula e felice.

“Ehi, che succede?” chiese Alison.

“No, nulla. Solo che, mi chiedevo se, beh, se, se stasera ti andava di venire, di venire a cena con me” la voce di Emily era piena di un imbarazzo irresistibile e dolce. Alison le sorrise sorpresa. “…Sì, lo so, lo so che non è il momento opportuno, che ne stiamo passando troppe, che ci sono le bambine, il problema con tuo padre, lo so, è solo che io vorrei provare a salvare il nostro matrimonio, voglio farlo, ed è vero che-“ Emily stava iniziando a balbettare e ad agitarsi, ma Ali non le fece finire la frase.

“Ma certo” solo questo rispose.

Emily sbarrò gli occhi felici. “Ci…ci stai? Davvero?” chiese lei.

“Ovvio! Facciamo qui al granaio di Spencer alle 9?” rispose Alison con occhi pieni d’amore.

“Sì, sì. Perfetto! Le bambine possono stare da mia madre. Lo sai che non ne ha mai abbastanza di stare con loro” spiegò Emily, anch’essa con occhi che facevano trasparire tanto amore e tanta felicità.

“E’ deciso allora” finì Alison.

“Sì, a…A stasera allora!” concluse Emily lanciando un ultimo sorriso mozzafiato e dirigendosi poi verso il granaio, mentre Alison salì in auto sorridente e visibilmente emozionata, con due occhioni azzurri e lucidi che avrebbero potuto illuminare qualsiasi luogo buio e oscuro.

Alison quindi mise la cintura, e dopodiché prese il telefono e decise di telefonare a suo padre. Doveva parlare con lui. Ma trovò un messaggio in segreteria proprio da parte sua. Ali lo ascoltò curiosa “Ehi, tesoro, ascolta, sono dovuto partire per New York per un colloquio di lavoro improvviso. Rimarrò fuori per almeno due giorni. Ho chiamato la baby-sitter e le piccole sono con lei. Noi, noi ci vediamo quando torno, ok? Ti voglio bene” questo diceva il messaggio.

Alison mise giù piuttosto irritata e gettò il telefono sull’altro sedile. Capì perfettamente che suo padre aveva lasciato la città solo per non dover affrontare le sue domande. Quindi mise in moto e partì in fretta.

SIGLA.

 

 

 

 

 

 

Poco dopo, sul treno che sfrecciava verso Chicago, Spencer e Aria erano sedute ai loro posti assegnati, l’una di fronte l’altra. C’era poca gente sul treno, e la situazione era piuttosto tranquilla. Spencer stava con la testa poggiata al finestrino e con lo sguardo perso nell’azzurro cielo che le stava facendo da tetto. Aria non distoglieva lo sguardo dall’amica. La guardava intensamente, come se volesse penetrarla con lo sguardo.

“Devi chiedermi qualcosa?” intervenne di colpo Spencer, facendo sobbalzare Aria.

“Cosa? No, no, insomma, beh, Toby? Come sta? Non ho ancora avuto modo di vederlo” intervenne la giovane Montgomery-Fitz, tentando di aprire un discorso sensato.

“Sta bene. Ora sta alloggiando al Radley. Gli ho detto che oggi avevo un colloquio di lavoro a Chicago, ma voglio raccontargli tutta la verità al più presto” rispose Spencer, continuando a guardare fuori dal finestrino e non incrociando minimamente lo sguardo dell’amica.

“Fai bene, fai bene. Dirlo a Ezra è stata la cosa migliore. Mi sento più al sicuro, più tranquilla” rispose Aria.

Spencer non rispose, tornò zitta e sempre con lo sguardo perso su nel cielo. Aria tornò a fissarla senza dire una parola. Spencer però poteva percepire gli occhi dell’amica su di lei, quasi fastidiosi e imbarazzanti. A quel punto la giovane Hastings si voltò di scatto, questa volta posando lo sguardo su Aria.

“Posso sapere perché mi guardi con lo stesso sguardo che hai quando guardi un horror?” chiese di getto Spencer.

Aria quasi sobbalzò, “No, n-nulla, nulla. Cercavo di, non lo so, cercavo di capire come stai. E poi, che sguardo faccio quando guardo gli horror?” rispose lei.

“Quello di una bambina spaventata. E comunque, puoi tranquillamente chiedermelo come sto” rispose Spencer con tranquillità.

“Non è che tu sia stata molto aperta al dialogo negli ultimi giorni, e lo capisco, davvero. Però noi stiamo cercando di starti vicino, e tu ci allontani, e non sappiamo come comportarci. Stamattina sembravi un leader pronto a scendere in guerra, ora sei di nuovo triste. Non so come stai perché tu non me ne parli. Caspita, siamo o non siamo il team Sparia tu ed io?” Aria parlò apertamente e sinceramente. Spencer apprezzò molto tale gesto. Le sorrise appena nominò il team Sparia.

“Aria, non c’entri tu, o le altre. Voi tutte siete meravigliose, e non voglio che pensiate che vi stia allontanando” rispose Spencer.

“E allora cosa c’è? Perché ci tratti in questo modo?” replicò Aria con insistenza.

“E’ che non voglio che mi vediate nel mio stato peggiore” rispose Spencer aprendosi totalmente. Il suo volto cambio. I suoi occhi s’intristirono.

“Che intendi dire?” chiese Aria.

“Che odio mostrare alle persone più importanti della mia vita, il mio dolore. Mi avete vista nelle condizioni peggiori al Radley. Mi avete visto unirmi ad ‘A’. E ogni volta mi faceva male perché avevo paura che questo potesse dare una brutta immagine di me. Come se dovessi tenere alto il buon nome della più intelligente e della più forte del gruppo. Solo che io non sono così. Io non sono la più forte o la più intelligente. Sono solo, solo Spencer. E ho paura di deludere le vostre aspettative ogni volta che mi state accanto in dei momenti difficili. Perché, perché non vorrei mai deludervi. Mai la voce di Spencer era rotta dal pianto. Un pianto vero, sincero. Un pianto che rivelava tutte le sue insicurezze e paure.

Aria, anch’essa con gli occhi visibilmente lucidi, le prese la mano. “Spence, ascoltami. Noi non abbiamo mai preteso da te il massimo. Non abbiamo mai pensato che tu fossi la più intelligente, o la più forte…Ok, forse un pochino, ma questo non significa che tu non abbia il diritto di crollare o di piangere quando ne hai voglia. Non sei una macchina Spencer, sei un essere umano. Un essere umano splendido. E non devi vergognarti di mostrare le tue fragilità di fronte a noi. Siamo le tue migliori amiche. Ti conosciamo da una vita, e sai che vederti soffrire non ci farebbe cambiare di una virgola il bene o la stima che proviamo nei tuoi confronti. Non ti potremmo mai abbandonare, questo lo sai, vero?” anche Aria parò apertamente e col cuore in mano.

Spencer si asciugò lentamente le lacrime. “Ora lo so” rispose, mostrando un timido sorriso, che Aria ricambiò.

Contemporaneamente, l’auto di Hanna aveva appena parcheggiato sulla riva dello splendido lago Grayson. Un lago enorme, circondato da splendidi e imponenti abeti. C’era una quiete pazzesca, rilassante. Hanna e Mona scesero dall’auto e si guardarono intorno. Si poteva udire solamente il fruscio del vento in mezzo agli alberi, le cicale, il cinguettio degli uccelli. Era tutto immerso nella natura. Le due si guardavano intorno come estasiate.

“Può esistere qualcosa di più bello e rilassante?” chiese Hanna sorridente e incantata.

“Sì, ti ricordo che qui hanno affogato un bambino e l’hanno seppellito di nascosto” tuonò Mona, distruggendo tutto il buon umore che quel posto trasmetteva a Hanna, che subito fece svanire il suo sorriso. Lo sguardo della bionda si posò sul molo. Un lungo molo che finiva quasi a largo del lago.

“Lì deve essere il punto in cui Roger è caduto in acqua” esclamò Hanna mentre i brividi le pervasero il corpo.

“Come fai a saperlo?” chiese Mona.

“Non lo so, ho tirato a indovinare. Di solito nei film horror, quando la protagonista viene attaccata, è sul ciglio del molo di un lago, o quando un demone schifoso la prende e la tira sott’acqua con sé, o quando c’è qualche coccodrillo o squalo, affamati di carne umana” replicò Hanna spiegando la sua teoria.

Mona la guardò stranita “Guardi troppi horror tesoro” esclamò mentre si guardava intorno.

“Colpa di Caleb che ha messo Netflix” rispose Hanna.

Mona poi scrutò tra gli alberi, poco distanti da loro, ma ben nascosto, un vecchio cottage oramai disabitato. “Quello deve essere il cottage dei Derringer, dove Roger stava passando il weekend” spiegò. Poi continuò a guardarsi intorno, camminò un po’ di più, e non appena girò l’angolo, si trovò davanti un altro cottage, il triplo più grande, e con un’insegna oramai vecchia e polverosa all’entrata “Le Fate Invisibili”. Intorno all’enorme cottage c’erano una miriade di vecchi giochi per bambini, altalene, casette in miniatura, fate in versione gigante, scivoli. A ripensare al passato, doveva essere un posto davvero magico per i bambini.

“E’ il campo estivo. Quello di cui ha letto Aria sui giornali” intervenne Hanna.

Esattamente. Ora andiamo a vedere cosa possono raccontarci queste fate” finì Mona, incamminandosi con disinvoltura e con sicurezza verso l’entrata del vecchio campo. Hanna subito la seguì.

Più tardi, Emily stava passeggiando per le strade soleggiate di Rosewood con una sorprendente compagna, Cassidy. Tenevano in mano entrambe un cappuccino, e la situazione sembrava alquanto tranquilla. Cassidy però stava anche spingendo il passeggino con dentro la piccola Grace, che continuava a guardare con occhi sognanti.

“Non penso che esista qualcosa di più dolce che questa bambina. Ma perché non hai portato anche Lily?” chiese Cassidy, mentre la piccola Grace le sorrideva con tenerezza e Cassidy le faceva facce buffe.

“Si era addormentata come un ghiro, e siccome Grace piangeva, me la son portata. Ho passato poco tempo con loro in quest’ultimo periodo“ spiegò Emily mentre accarezzò la manina della sua bambina che faceva roteare in aria. “…Sai, mi ha sorpreso la tua telefonata oggi” continuò poi Emily all’indirizzo di Cassidy.

“Ti sembra così strano che voglia prendere un caffè con te?” chiese Cassidy.

“Poiché fino a qualche settimana fa eravamo come Steve e Tony in Civil War, direi di sì” rispose ironica Emily.

“Aspetta, tu guardi la saga degli Avengers? Dimmi che sei team Iron Man!” chiese subito Cassidy piuttosto euforica.

“Se devo dirla tutta, io sono team Vedova Nera. Il motivo penso tu lo sappia” rispose Emily con ironia e un po’ di malizia.

Cassidy scoppiò a ridere. Una risata fragorosa e contagiosa. Emily la guardò sorridente anch’essa.

“Sono contenta di vederti sorridente, e di, di vedere noi amiche. Ti ho sempre trovato una donna in gamba, ma mi ero imposta di odiarti perché giravi intorno ad Alison” aggiunse poi Emily.

“E’ acqua passata! Ora concentriamoci su quest’amicizia nascente” rispose poi Cassidy prendendo Emily a braccetto.

“Allora mi vuoi spiegare il perché di quest’uscita?” chiese Emily.

“In primis eravamo tutte e due con il giorno libero. E inoltre dovevo un po’ uscire. Se rimanevo un altro po’ a casa a guardare la maratona di The Vampire Diaries, avrei potuto uccidere qualcuno. A scuola poi mi guardano ancora come la professoressa pazza che ha tentato il suicidio, quindi ho bisogno di uscire e rilassarmi un po’. E poi…” Cassidy era titubante nel continuare il discorso.

“Poi cosa?” chiese Emily curiosa.

“Beh, diciamo che una certa persona potrebbe avermi detto di una certa cena in programma stasera, e quindi ho deciso di intervenire” rispose Cassidy, facendo la finta tonta.

Emily si fermò capendo tutto. “Ali ti ha detto del mio invito, non è così?” chiese.

“Esatto. Ma non prendertela con lei! Era solo molto emozionata, e ha voluto parlarne con me” rispose Cassidy difendendo subito Alison.

“Era emozionata? Davvero?” chiese Emily iniziando a essere curiosa.

“Ma certo! Continuava a chiedermi consigli su cosa dire, su come parlare, se portare anche lei qualcosa da mangiare. Mi ha tenuto al telefono quasi due ore. E dopo aver aiutato lei con un po’ di consigli, voglio aiutare te a lasciare Alison senza parole” spiegò poi Cassidy, e si fermò di fronte al “Dressing Dream”, un meraviglioso negozio di abiti femminili. Cassidy sorrise emozionata come una bambina. Emily era un po’ perplessa.

“Non sarebbe meglio tornare a scuola e continuare con la preparazione del ballo? Mancano pochi giorni” chiese poi Emily, un po’ a disagio, e tentando di cambiare discorso.

No. La scuola è piena di alunni e di altri insegnanti che aiutano. Tu hai dato una mano questa mattina. Ora è il momento di entrare lì dentro, trovare un vestito mozzafiato e far vedere ad Alison che moglie strafiga ha!” Cassidy sembrava alquanto convinta e decisa. Rimase con lo sguardo fisso su Emily, speranzosa, come una bambina che aspetta un regalo. Emily sbuffò per un attimo, ma poi sorrise.

“E va bene. Mi hai convinto, entriamo terminò la giovane Fields-DiLaurentis, capendo di non avere altra scelta. Cassidy iniziò a battere le mani felice e sorridente, prese il passeggino con Grace, e subito si addentrarono nel negozio.

Intanto, al campo estivo ‘Le Fate Invisibili’, Mona e Hanna erano sedute in un inquietante salotto oramai malandato. Chi ci viveva non doveva essere una persona molto pulita, e, infatti, l’uomo paffuto e tozzo che stava versando del thè nelle tazze poste sul tavolino di fronte alle due, non sembrava qualcuno molto dedito all’igiene. Barcollava anche.

“Ma la senti la puzza di alcool?” sussurrò Hanna all’orecchio di Mona.

“Sì, però fa finta di niente e bevi il the” rispose Mona cercando di rimanere impassibile e mostrando un finto sorriso.

“Bere quella roba? Quelle tazze saranno lì da quando mia nonna era ancora una bambina” sussurrò Hanna.

“Almeno fa finta di berlo, altrimenti non ci dirà nulla” rispose Mona buffa, tenendo i denti stretti siccome non voleva farsi sentire.

L’uomo quindi si sedette alla poltrona sgualcita e sporca di fronte a loro, e rimase per pochi secondi a fissare le due. Aveva uno sguardo a tratti inquietante. Come se volesse saltare addosso alle ragazze in un attimo. “Allora? Chi avete detto che siete?” ruggì con un tono di voce sgradevole.

“Ehm, come le dicevo, siamo delle collaboratrici della polizia di Rosewood, e siamo qui per farle alcune domande riguardo alla scomparsa di un bambino che avvenne circa sedici anni fa, proprio qui sul lago Grayson, poco distante dal vostro campo” spiegò Mona tentando di mantenere la calma.

“Roger Maxfields? Pensate di essere le uniche ad avermi riempito di domande da quando hanno ritrovato i resti di quella povera creatura?” tuonò l’uomo sempre con tono scontroso.

“Quindi avrà già parlato con la polizia?” chiese Mona.

“Esatto! E anche mia moglie ne ha fin sopra i capelli della polizia. E quando torna, non vuole di certo trovarvi qui! E come ho già detto a loro, non so niente di quel bambino! Io quel giorno ero qui con alcuni bambini e con la mia splendida moglie, e quando siamo usciti, lui era già scomparso. Sono stato indagato solo perché di tanto in tanto alzavo il gomito. Era mia moglie che si occupava di tutto” aggiunse l’uomo con fare piuttosto irruento.

“E come mai avete chiuso il campo?” chiese Mona.

 “Dopo il fattaccio del ragazzino, iniziammo a perdere molta clientela. Si era sparsa la voce che io lo avevo ucciso, o che io mi divertivo a…ad abusare di bambini innocenti. E’ stato orribile la voce dell’uomo apparve più calma e anche triste.

“Ci…Ci dispiace, signor?” chiese Mona.

“Carter. Mitch Carter” rispose lui.

“Signor Carter. Purtroppo la gente è sempre piena di pregiudizi e pronta a puntare il dito senza nessuna prova” continuò Mona.

“Quindi, signor Carter, lei non sa proprio nulla riguardo quel giorno?” intervenne Hanna, seduta in un modo talmente rigido su quel divano, da risultare goffa.

“No, niente!” esclamò lui tornando al tono infastidito e arrogante di prima.

Mona lo scrutò attentamente, come se volesse estorcergli le rispose con un solo sguardo. “Senta signora Carter, in passato sono stata qualcosa che lei non potrebbe nemmeno immaginare. Ho condotto una doppia vita in modo assolutamente fantastico, riuscendo a mentire meravigliosamente” iniziò a spiegare Mona elogiandosi.

“Non che questo ti faccia onore” aggiunse Hanna. Mona la fulminò subito con lo sguardo.

“Quindi, come le dicevo, ho molta dimestichezza con le bugie. E mio caro signor Carter, le sue bugie si possono notare anche a un miglio di distanza. Quindi le conviene parlare fino a quando uso le buone. Non vorrebbe che usassi le cattive, vero?”  continuò la giovane Vanderwaal sicura di se.

“Ma…Ma come si permette? Io, io non so niente ho detto! Andate subito via!” l’uomo iniziò ad urlare, e si alzò in piedi indicando loro l’uscita. Hanna iniziò a spaventarsi.

“Forse è meglio andare o finiremo noi nel lago oggi” intervenne Hanna.

Mona quindi tirò fuori dalla borsa alcune foto, e le buttò sul tavolo. “Signor Carter. E’ lei quello che in questa foto sta baciando il parroco della chiesa di Philadelphia in un vicolo della città?” tuonò subito.

Hanna sbarrò gli occhi e prese una delle foto in mano. “Oh…Mio…Dio” solo questo disse. Era esterrefatta.

L’uomo si sentì mancare la terra da sotto i piedi. La paura lo inondò totalmente. Si sentì soffocare, mentre si accasciò sulla poltrona e prese le foto in mano. Foto che lo ritraevano con un uomo sulla 60ina come lui, con il colletto da prete, dietro la chiesa della città, a scambiarsi tenere effusioni. Il signor Carter le guardava quasi vergognandosene.

“Quindi, se non vuole che queste foto finiscano nelle mani di sua moglie, le conviene parlare subito e dirci tutto ciò che sa riguardo quel giorno. A lei la scelta” Mona lo aveva totalmente braccato.

“Mi spieghi come hai fatto ad avere queste foto?” chiese subito Hanna.

“Meno sai, e meglio è, fidati rispose Mona. “…Allora? Vuole parlare o no?” concluse la giovane Vanderwaal con fermezza e decisione. Il signor Carter doveva parlare. Era l’unica alternativa possibile alla rovina del suo matrimonio.

Poco dopo, il signor Carter era più calmo, tranquillo. Era pronto a raccontare ogni cosa a due attentissime Hanna e Mona.

“Anni fa, il nostro campo estivo era il migliore del paese. Arrivavano bambini da ogni angolo della città. Bambini felici di passare delle giornate in compagnia, a divertirsi, fare il bagno al lago. Avevamo scivoli d’acqua, avevamo le barche in cui facevamo fare il giro di tutto il lago fino al bosco. Aprivamo il primo di Giugno e chiudevamo il primo di Settembre, e ogni estate facevamo il pienone. I bambini qui si divertivano come matti. Erano felici, spensierati. Poi però arrivò quel maledetto giorno, e cambiò tutto. ” raccontò accuratamente l’uomo.

“Signor Carter, lei ha visto qualcosa quel giorno? Ha visto qualcuno dar fastidio al piccolo Roger magari?” chiese Mona.

“No, non ho visto cosa successe al bambino, nessuno al campo vide. Quello era il giorno del gioco delle favole. Tutti i bambini stavano nell’atrio del cottage, per la merenda, e per giocare tutti insieme. Non c’era nessuno fuori. I bambini stavano dentro con mia moglie, mentre io stavo tornando dal consueto giro in barca che facevo fare ogni mezz’ora a un gruppo diverso di bambini. Mentre mi avvicinai al molo, notai due macchine della polizia dall’altro lato del campo, dove la famiglia Derringer aveva il loro cottage. Capii’ che era successo qualcosa. Non appena attraccai e feci scendere i bambini, trovai mia moglie Anne. Disse che poco distante dal campo era scomparso un bambino, e che i genitori avevano denunciato subito la scomparsa” spiegò l’uomo.

“Sa se il bambino era da solo al lago? Com’è possibile che i suoi genitori non si siano accorti di nulla?” chiese poi Hanna.

“Ricordo che non era con i suoi genitori. Era con un’altra persona.Ma non so chi. Me lo disse mia moglie. A quanto pare questa persona si allontanò un attimo, e quando tornò, il bambino era già scomparso” continuò a spiegare il signor Carter, fornendo ulteriori dettagli.

“E non sa chi fosse questa persona? Se fosse un uomo o una donna? O che aspetto avesse?” domandò subito Mona.

“No, mi dispiace. Ho solo sentito questa cosa. Però, però quel giorno vidi qualcos’altro. Quando ero in barca con i bambini, vidi qualcosa poco prima che arrivasse la polizia” aggiunse poi il signor Carter.

Il suo racconto ci catapultò in un flashback di quel 20 Luglio del 2001. Era una splendida giornata di sole, e il signor Carter era in barca con un gruppetto di cinque bambini che si divertivano ad ammirare la maestosità di quello splendido lago, e del bosco che lo circondava. In lontananza gli faceva da sfondo, da un lato il campo estivo, dove i bambini erano rintanati dentro per la consueta merenda, e dall’altra il cottage dei Derringer.

“Vedete quei pini laggiù? Quei pini sono lì da ben 300 anni” raccontava teneramente l’uomo ai bambini, che sembravano divertirsi un sacco.

Mentre remava, però, l’uomo notò qualcosa. Notò, nei boschi sopra il campo estivo, tre uomini. Uno era di spalle e non si poteva riconoscere, mentre gli altri due erano Tom Marin e Ken DiLaurentis. I tre discutevano in modo piuttosto animato, e Ken stava indicando qualcosa lì per terra ai loro piedi. Era un telo bianco di medie dimensioni, in cui era avvolto qualcosa, o qualcuno. Gesticolavano sempre di più, discutevano. Erano in piena lite, come se stessero decidendo cosa fare.

Il signor Carter rimase a osservarli incuriosito per pochi minuti, fino a quando proprio Tom Marin, non si accorse che il signor Carter dalla sua barca, li stava osservando. Subito Carter distolse lo sguardo e fece finta di nulla, concentrandosi sui bambini. Uno di loro intervenne “Ma ci sono i lupi nei boschi?” chiese uno di loro.

“Lupi? No, i lupi qui non ci sono. Potreste però notare molte volpi, sapete?” spiegò l’uomo. Quando poi tornò con lo sguardo nuovamente sul bosco, i tre e il telo bianco, non c’erano più. Erano spariti. Quindi il signor Carter tornò a remare con una strana e brutta sensazione nello stomaco.

 

 

 

 

 

 

Mona e Hanna erano piuttosto scioccate di fronte il racconto dell’uomo.

“Lei…Lei sta dicendo che questi tre uomini avevano con sé il corpo del, del piccolo Roger?” chiese Hanna tentando di farsi coraggio di fronte a quel racconto.

“Io questo non lo so. Dopo la scomparsa del bambino, mi tornò subito in mente quel che avevo visto. Lo avevo completamente dimenticato, ed ero deciso a raccontarlo subito agli inquirenti, però…” l’uomo raccontava un po’ spaventato.

“Però cosa?” chiese subito Hanna.

Una notte, mia moglie rimase a dormire in città dalla sorella che stava poco bene. Io ero solo al campo, e qualcuno, qualcuno fece irruzione, e mi trascinò fuori dal cottage. Mi portò nei boschi” spiegò il signor Carter.

Un altro flashback ci catapultò nel passato. Qualcuno aveva scaraventato il povero signor Carter per terra, nei boschi. Aveva la bocca chiusa da del nastro adesivo nero, e le mani legate dietro. Questo qualcuno era una persona di grossa stazza, sicuramente uomo, alto, e con un passa montagna in testa.

Il signor Carter si dimenava e si lamentava terrorizzato. L’uomo incappucciato però tirò fuori dalla tasca un piccolo coltellino, e subito lo puntò alla gola di Carter. L’uomo subito smise di muoversi. Non emise un suono. Sentiva la lama fredda di quel coltello strisciare sulla sua gola.

“Se continui a urlare farai una brutta fine” la voce dell’uomo incappucciato uscì. Sembrava molto familiare. Carter si calmò sempre di più. L’uomo incappucciato rimase a fissarlo dalle fessure del suo inquietante passamontagna nero. “…Bene. Ora ascoltami molto attentamente. So che quel giorno mi hai visto nel bosco. So che hai visto qualcosa. Non so quanto tu abbia visto, ma voglio darti un consiglio: se vuoi tenerti la tua splendida moglie e il tuo bellissimo campo estivo, ti consiglio di tenere la bocca chiusa, altrimenti, lei e tutto il cottage finiscono sul fondo di questo sudicio lago. Ti è chiaro il concetto?” l’uomo incappucciato parlava con una voce piena di disprezzo e cattiveria.

Carter stava iniziando a piangere. “…Allora? Ti è chiaro il concetto?” insistette l’uomo incappucciato, spingendo di più il coltellino, ferendo il povero Carter al collo. Sentendo la ferita al collo, il povero signore subito annuì con la testa.

“…Benissimo. Hai capito. E ora un’altra cosa importante: io ti toglierò il nastro adesivo dalla bocca, e ti slegherò le mani. Dopodiché io andrò via, e tu non emetterai il minimo suono, e dopo stanotte dovrai dimenticarti del lago, di quello che hai visto quel giorno, e di ciò che è successo questa notte. Tutto chiaro, vero? Sai cosa succederà se parli, giusto?” continuò a precisare l’uomo incappucciato, con fare piuttosto arrogante. Carter annuì nuovamente.

L’uomo incappucciato quindi tolse subito il nastro adesivo dalla bocca di Carter, che subito cacciò un lungo respiro, e lo slegò tagliando la corda con il coltellino. Carter rimase accasciato lì a terra.

“N-Non dirò una parola, t-te lo prometto!” il signor Carter si premurò subito di precisare ciò, in preda al terrore. La persona incappucciata quindi si rialzò, si voltò, e iniziò ad allontanarsi. Ma prima gli lasciò l’ennesima raccomandazione.

“Buona vita Carter. Se ancora ci tieni alla tua vita, tieni la bocca chiusa” concluse l’uomo incappucciato, sparendo nell’oscurità di quell’immenso bosco. Il signor Carter rimase lì steso, devastato dalla paura, e iniziò a piangere. La persona incappucciata invece, dopo essersi allontanata abbastanza da non farsi vedere, si poggiò a un albero e tolse il passa montagna. Era un giovane Tom Marin. Respiro affannato, e sguardo perso e preoccupato. Il signor Carter però, non riuscì di certo a vedere che sotto il passa montagna si nascondeva lui.

 

 

 

 

 

 

Hanna e Mona erano ancora più frastornate e stupite dal racconto.

“Quando…Quando lessi sul giornale dell’arresto di quell’uomo, Tom Marin, ricordai. Uno di quei tre uomini che erano nel bosco quel giorno, era lui. Era più giovane, ma lo ricordo benissimo. Lo ricordo perché veniva sempre a portare sua figlia al campo. Lui e sua moglie, come si chiamava? Era molto bella” raccontò ancora l’uomo.

“Ashley” rispose Hanna con la voce spezzata.

Esatto, Ashley. Ashley e Tom Marin. Portavano spesso qui la loro bambina, quindi lo riconobbi anche per questo. E avevamo parlato tante volte quando portavano la figlia al campo, quindi, quindi riconobbi la voce. L’uomo che mi minacciò quella notte, era luicontinuò a spiegare il signor Carter.

Mona e Hanna erano pietrificate. Soprattutto Hanna. L’ipotesi che suo padre in realtà potesse essere invischiato nella morte di un povero bambino innocente, si concretizzava sempre di più dopo tale rivelazione. E ciò le gelava il sangue.

“Quindi…Quindi lei ha tenuto tutte queste informazioni per se per tutto questo tempo?” chiese Mona rimproverandolo.

“Cosa potevo fare? Aveva minacciato di uccidere mia moglie! L’amore della mia vita. Ho solo lei al mondo. Capii’ che probabilmente avevo visto qualcosa che non dovevo vedere, che forse dietro c’era qualcosa di grosso, e quindi stare zitto fu la miglior cosa. E, infatti, non successe nulla. Nessuno è più venuto a minacciarmi, niente. Abbiamo vissuto sereni, fino a quando non hanno ritrovato i resti di quel povero bambino” continuò il signor Carter.

“Lei aveva in mano gran parte della verità per provare a dare giustizia a un bambino di soli nove anni, ed è stato zitto! Si rende conto?” Mona sembrava piuttosto inalberata. Furiosa. Sembrava non controllarsi più.

Il signor Carter stava zitto, e con la testa bassa e con sguardo colpevole.

“Mona sta calma…Senta, c’è altro che vuole dirci? A questo punto vuoti completamente il sacco” intervenne Hanna.

“C’è solo una cosa” rispose lui.

Pochi istanti dopo, Hanna e Mona stavano nel bel mezzo del bosco, ed erano intente a seguire il signor Carter in mezzo alle sterpaglie e all’erba alta quasi più di loro. In pratica erano nel cuore dei boschi del lago Grayson.

Secondo te è stato un bel piano decidere di seguirlo nel bosco? Lo sai che finiremo sotto terra, vero?” chiese Hanna rimanendo attaccata a Mona.

“Ha detto che deve mostrarci qualcosa d’importante. Voglio credergli” rispose Mona decisa.

“Anch’io credo di voler vivere. Torniamo indietro e andiamo alla polizia!” replicò Hanna stizzita.

“Eccoci arrivati” rispose lui. Era posto in mezzo al nulla. C’erano solo alberi, erbaccia, e fiori selvatici intorno a lui. Hanna e Mona si guardarono intorno piuttosto perplesse. Non c’era altro lì intorno.

“Cosa? Cosa dovremmo vedere?” chiese Hanna alquanto perplessa.

L’uomo quindi si chinò, e nell’erba cercò qualcosa, fino a che non trovò una maniglia nera e arrugginita. Una piccola maniglia. Tirò la maniglia e scoprì una minuscola botola che si aprì di fronte i loro occhi. Hanna e Mona si avvicinarono piuttosto sconvolte. La botola era praticamente un minuscolo buco profondo meno di un metro.

“Cos’è questa botola? Perché ci ha portati qui?” chiese Mona.

“Perché è qui che fu seppellito il piccolo Roger” spiegò l’uomo sganciando la bomba.

Hanna e Mona erano piuttosto confuse. Non riuscivano più a capirci nulla.

“No, si sbaglia. I resti di Roger sono stati ritrovati sulle montagne della Pennsylvania. Lontano da Rosewood” rispose giustamente Hanna.

“Sì, ma un mese dopo il fattaccio, ero qui a cercare delle pigne, e trovai questa botola. Nessuno aveva mai saputo che fosse qui. Nemmeno io. Era un rifugio segreto che avevano chiuso, risalente ai tempi della guerra. Ero curioso, così decisi di aprirlo. Quando lo aprii’, vidi…V-Vidi” l’uomo non riusciva più a parlare.

“Penso che non ci sia bisogno di spiegarcelo dettagliatamente. Roger rispose Mona con voce nauseata.

“Quel che rimaneva di lui, vero?” chiese Hanna.

“Sì…Ero, ero sconvolto, ma, m-ma non potevo dir nulla. Io non potevo parlare, dannazione!” rispose l’uomo, iniziando a piangere.

“Così ha richiuso la botola ed è tornato a casa come se niente fosse, giusto? Tanto aveva solo ritrovato i resti di un povero bambino. Che le importava se a casa una famiglia piangeva la scomparsa del loro bambino, vero?” Mona era piena di collera.

Il signor Carter piangeva. Piangeva tanto.

“Mona, andiamo via. Non voglio sprecare un minuto di più con quest’essere” concluse Hanna alquanto schifata. Mona continuava però a fissarlo. Non riusciva a distogliere lo sguardo da lui. Uno sguardo pieno d’odio, di livore, di rabbia. Era come se volesse ucciderlo con lo sguardo. Dopodiché però capì di doversi calmare, quindi alzò i tacchi e si allontanò. Hanna rimase un attimo dietro, di fronte al signor Carter.

“Andremo dalla polizia. Ci dispiace, ma è l’unica cosa che possiamo fare” terminò la donna. Carter non le rispose. Rimaneva con lo sguardo basso, e in lacrime. Le lacrime di un uomo che era stato divorato per anni dalla paura e che ora stava vedendo le conseguenze delle sue orribili decisioni.

Nel frattempo, Aria e Spencer si erano addentrate nella maestosa e bellissima St. Balance Arts School di Chicago. Era enorme. Una libreria imponente stava all’ingresso. Una scalinata che dava al piano di sopra di fronte la porta. Lì intorno c’era il bar, la zona studio, la zona lettura. Era come una piccola città.

“Mio dio, ma è meravigliosa” esclamò Aria perdendosi nella grandezza di quel posto.

“Già. Ora che l’hai ammirata, però, dobbiamo concentrarci” rispose Spencer riportando Aria alla realtà.

“Ok, dobbiamo concentrarci. Ma cosa possiamo fare esattamente? Chiedere se conoscevano qualcuno qui che aveva lo stemma della loro scuola tatuata sul cu, cioè, sul fondo schiena?” chiese diretta Aria.

Spencer la fulminò con lo sguardo. “Certo che no! Siccome sappiamo che chiunque abbia rapito Addison non era di certo una persona normale, e siccome la stessa Willa ha parlato di una ragazza che aveva fatto allontanare Addison dalle sue amiche, chiederemo se in passato qui ci sono stati problemi con qualche studentessa un po’…Sopra le righe, diciamo cosìspiegò accuratamente Spencer.

“State parlando della storia di Isabelle la pazza, vero?” la voce di un uomo alle loro spalle, le fece sobbalzare. Era un uomo molto bello. Una trentina d’anni, capelli neri, e sorriso mozzafiato. Le due non riuscirono a non guardarlo quasi ipnotizzate, mentre il ragazzo sorrideva a entrambe.

A Rosewood, al liceo, Willa stava uscendo dal bagno e stava tornando in palestra con gli altri studenti, quando venne però chiamata da Alison, che fece capolino dalla sua classe.

“Ehi Willa, potresti venire un momento?” chiese Alison.

Willa si stranì immediatamente. “No, non posso. Devo aiutare le altre per il ballo, e devo correre a casa a studiare” rispose lei tentando subito di andar via.

“So che hai discusso con Addison la notte della sua scomparsa” rivelò di colpo Alison. Era l’unico modo per farla fermare, e ci riuscì. Willa si fermò di colpo. Il battito del cuore le aumentò. Si voltò lentamente verso Alison.

Pochi istanti dopo, una Willa piuttosto scocciata e agitata, si era seduta al suo solito banco in aula. C’erano solo lei e Alison. Le luci erano spente, mentre Alison stava facendo accendendo il proiettore che dava sulla lavagna.

“Si può sapere cosa stiamo facendo? Continua ad alludere a qualcosa come se io avessi fatto del male ad Addison” iniziò Willa con tono polemico.

Tranquilla. Voglio solo farti vedere un piccolo video, e alla fine deciderai tu se parlare o meno” continuò Alison. La donna quindi prese il telecomando e accese il proiettore. Sul proiettore apparve la foto di una ragazzina che non aveva sicuramente più di 17 anni.

“…Allora, questa ragazza si chiama Jessie Ford. Aveva 17 anni, era di Los Angeles. Si è tolta la vita a causa delle angherie che subiva a scuola da parte di un gruppo di bulletti” iniziò a spiegare Alison. Poi passò a un’altra foto, un’altra ragazza. “…Lei invece è Kitty. Anche lei 17 anni. Si tagliò le vene dei polsi dopo che a scuola alcune ragazze fecero girare un suo video in cui si cambiava negli spogliatoi della scuola” mentre Alison raccontava, Willa si sentiva sempre più a disagio, come se non volesse guardare quelle slide.

Le slide continuarono e passarono a un ragazzino occhialuto. “…Lui invece è Bryan. Aveva 16 anni. Lui si è sparato un colpo di pistola in bocca, dopo aver rubato la pistola di suo padre poliziotto. Si è ucciso perché a scuola lo prendevano in giro poiché si era venuto a sapere che era gay” continuò a raccontare Alison con precisione e accuratezza.

Le immagini continuarono a scorrere “Poi abbiamo Harrison, c’è Yard, Fred, Lydia, Angela” spiegava Alison mentre faceva scorrere con più velocità le slide. Tutti ragazzini di 16/17 anni. “…Sono tutti ragazzini della tua età. Alcuni poco più grandi, altri poco più piccoli. Ma avevano tutti una cosa in comune. Venivano bullizzati in continuazione a scuola. Chi perché portava gli occhiali, chi perché si vestiva in un modo diverso dalle altre ragazzine. Chi perché era il secchione della classe. Chi perché era gay. Per un motivo o per un altro, tutti erano presi di mira dai bulletti che pensavano di poter comandare. E tutti sono accomunati da una cosa. Si tolsero tutti la vita. Una vita che avrebbero dovuto vivere nel migliore dei modi” Alison parlava con una saggezza disarmante.

Willa era piuttosto a disagio. Non aveva il coraggio di guardare Alison in faccia, ma tentò di farlo. “Ma cosa c’entra tutto questo con me? Ok, mi dispiace per questi ragazzi, quindi? Vuole farmi capire che Addison ha fatto del male a molti ragazzi in questa scuola? Sì, lo so. Addison è stata un mostro per gran parte degli studenti, e allora? E’ morta, ed io non posso far nulla ormai” rispose la giovane piuttosto in collera.

Alison le si avvicinò “Non voglio farti capire questo. Voglio farti capire un’altra cosa. E cioè, che a causa di tutte le cattiverie, le prese in giro, e gli scherzi malefici che Claire fu costretta a subire dal primo giorno in cui conobbe Addison, ora questa ragazza si è rovinata la vita. A causa dell’odio per ciò che Addison le aveva fatto, e che tu e le tue amiche le avete permesso di fare, una ragazzina è in carcere. Una ragazzina che si è fatta trascinare in un qualcosa più grande di lei, solo perché l’odio che provava per Addison era troppo grande. Una ragazzina intelligente, brava a scuola, che non aveva mai fatto del male a nessuno, ora si ritrova in un carcere minorile per aver cercato di vendicarsi sulla tua amica, sbagliando sicuramente. E poi…Poi abbiamo te” Alison era risoluta e più sicura che mai.

“Cosa c’entro io?” chiese Willa.

“Poi ci sei tu perché che nascondi qualcosa riguardo quella notte. Non so cosa. So solamente che mentre Claire ha avuto il fegato di andare dalla polizia, consapevole che avrebbe rovinato la sua vita, tu continui a stare zitta. Continui a fingere di avere una vita perfetta, a divertirti con le tue amiche, a preparare un ballo, quando poi nascondi qualcosa, e hai troppa paura di raccontarlo. Quindi che ne diresti se per una volta, provassi a fare la cosa giusta? Che ne diresti se dopo tutte le volte in cui sei stata zitta di fronte ad una Addison che comandava nei corridoi, riuscissi a parlare e a fare ciò che deve essere fatto?” chiese Alison speranzosa.

Willa stava con lo sguardo basso. Uno sguardo sofferente. Lo sguardo di chi stava per cedere.

“…Prova a dire la verità. Dire la verità è sicuramente pericoloso. Tutto può cambiare. Ma potrebbe aiutare molte persone. Potrebbe aiutare Claire. E se tu sei convinta di non essere uguale ad Addison, fa la cosa giusta, e dì la verità. Dì cosa è successo quella notte” Alison terminò con quest’ultima frase, e dopodiché stette zitta.

Willa si asciugò una timida lacrima che le rigò il viso, poi lentamente alzò lo sguardo e guardò dritta negli occhi Alison. “Io…Io non so se ho il coraggio. Se parlo, cambierà tutto” rispose la ragazzina.

“Questo è sicuro. Ma almeno, almeno ti libererai di questo fardello che ti porti dentro da troppo tempo. Ed io ti aiuterò ad affrontare le conseguenze, te lo prometto rispose Alison con fare amorevole.

Willa fece un lungo respiro. Era probabilmente pronta a parlare “Io…Credo, credo che  Addison sia stata rapita a causa mia” solo questa frase disse. Una frase che era il preludio della sua verità.

Alla St. Balance Arts School, intanto, Aria e Spencer stavano passeggiando nel cortile dell’enorme campus, insieme al bel tipo dagli occhi verdi.

“Xavier, giusto?” stava chiedendo Spencer piuttosto curiosa.

“Sì. Sai, mia madre era fissata con la Francia” spiegò il ragazzo sorridente.

“Bene, quindi tu studi qui alla St. Balance?” ribatté Spencer.

“Sì, sono al mio terzo anno. E’ davvero la miglior scuola d’arte, anche se, ha parecchi demoni da nascondere” spiegò lui.

“Ti riferisci a questa Isabelle la matta? Ci puoi dire di più?” chiese Aria curiosa.

“Non c’è molto da dire. La scuola insabbiò tutto per non distruggere il loro buon nome. Però la storia si tramandò di anno in anno, di studente in studente, diventando quasi una leggenda metropolitana” spiegò il ragazzo.

“E ci puoi dire di più riguardo questa leggenda?” continuò Spencer.

“Era, il 2001 se non sbaglio. Era iniziato l’anno accademico” iniziò a raccontare Xavier, sedendosi a una panchina lì vicino. Aria e Spencer lo imitarono.

“Il 2001, l’anno in cui scomparve Roger” sussurrò Aria all’orecchio della giovane Hastings.

“C’erano molti studenti ansiosi di iniziare, tra cui questa Isabelle. Si diceva fosse una ragazza molto chiusa e taciturna. Ma il suo essere così introversa pare che fosse solo una maschera per nascondere la follia che aveva in testa” spiegò Xavier.

“Che intendi dire? Ha causato dei problemi qui al campus?” chiese Spencer.

“Un giorno, aggredì una studentessa. Era in sala mensa, e di colpo si alzò e punto un coltello da cucina alla sua gola. Era praticamente sotto shock, spaventata. Urlava cose senza senso, e nel farlo ferì la ragazza, che probabilmente era anche sua amica. Una delle poche che avesse. Isabelle scappò subito dall’accademia, e quando la polizia si mise sulle sue tracce, scoprì un bigliettino in una camera di un motel, in cui rivelava che si era uccisa. Il problema è che non hanno mai trovato il suo corpo, e nessuno ha mai più saputo, dove fosse finita. Dopo questo fatto, la scuola insabbiò tutto. Non potevano rischiare di rovinare il loro buon nome rivelando di aver avuto studenti un po’, schizzati, diciamo così. Ogni informazione esistente su Isabelle fu distrutta, foto, dati anagrafici, tutto. Una cosa però si sa su questa Isabelle” continuò a raccontare Xavier.

“Ah sì, e cosa?” chiese subito Spencer.

“Era una bionda. Una bellissima bionda, dai racconti che ho sentito. Poi non so, magari i ragazzi nel corso degli anni hanno aggiunto dei dettagli un po’ coloriti e inventati da loro. Le leggende metropolitane cambiano sempre versione a secondo di chi le racconta. Ma la cosa certa, è che era bionda spiegò il ragazzo.

Aria e Spencer si fissarono perplesse. “Non starà mica parlando di Charlotte, vero?” chiese Aria all’indirizzo dell’amica, e sussurrandoglielo nell’orecchio.

“E’ impossibile. Charlotte era ancora Charles all’epoca” rispose Spencer.

Il ragazzo le guardò un po’ perplesso. “Ma come mai siete interessate a questa storia?” chiese.

“Oh, beh, i-insomma, siamo, siamo una sorta di duo del giornalismo, interessate a casi di campus universitari dove è accaduto qualcosa d’inquietante nel corso degli anni” rispose Aria, inventando una scusa assurda.

Spencer la guardò confusa, così come Xavier.

“Oh, tutto chiaro rispose lui.

“E senti, Xavier, non è più successo niente in questo campus? Solo la storia di questa Isabelle?” chiese Spencer.

“Sì. Per il resto, è sempre stata una scuola prestigiosa e frequentata da un sacco di ragazzi” spiegò il tizio.

“Quindi probabilmente c’entrerà questa Isabelle. Magari era la nuova amica di Addison” continuò a sussurrare Aria alla giovane Hastings. Xavier era sempre più perplesso nel vederle in quello strano e sospetto atteggiamento.

“Ma va tutto bene?” chiese lui.

“Sì, sì, tranquillo. E’ che la mia amica è impaziente di tornare a casa, per questo rispose subito Spencer alzandosi in fretta.

“Beh è un peccato. Speravo di poterti offrire un caffè” rispose Xavier all’indirizzo di Spencer, e sfoggiando un sorriso davvero bellissimo. La Hastings si sentì estremamente a disagio, e Aria un terzo incomodo.

“Guarda, purtroppo, purtroppo ora non è possibile” rispose Spencer alquanto imbarazzata.

“Magari, posso lasciarti il mio numero” insistette Xavier.

“Ah, perché no!” rispose Spencer contenta della cosa. Aria la guardò sbigottita. Xavier quindi tirò una penna e un quaderno dal suo zaino, strappò un pezzo di carta, e le scrisse il numero.

“Eccolo” concluse lui, consegnandole il foglietto, e iniziando ad allontanarsi.

“Aspetta, e vai via così? Non vuoi il mio di numero?” chiese Spencer.

Hai tu il coltello dalla parte del manico. Se mi scriverai, vorrà dire che sei interessata a quel caffè. Spero di sentirti!” concluse Xavier con fare sicuro. Un atteggiamento che aveva affascinato Spencer. Quest’ultima tirò fuori il telefono, compose il numero scritto sul bigliettino, e fece squillare il telefono di Xavier, che da lontano, sorrise senza però voltarsi. Spencer sembrava parecchio sorpresa da quell’atteggiamento spavaldo e irresistibile.

Aria e Spencer rimasero da sole. Aria fissò l’amica perplessa. Spencer sembrava con occhi sognanti.

“Oh, ti prego! Andiamo o perdiamo il prossimo treno!” concluse Aria, notando quell’aria incantata nell’amica, e trascinandola subito via da un braccio.

In serata, nel granaio di casa Hastings, una Emily piuttosto impaziente era seduta sul divano. Sfoggiava un meraviglioso vestito nero senza spalline, e che le scendeva fino al ginocchio. Una scollatura mozzafiato, i capelli raccolti in modo arruffato come piacevano ad Alison, e un sobrio collarino nero al collo, di piccole dimensioni. Era meravigliosa. La tavola era apparecchiata per due, e c’erano due candele accese poste al centro del tavolo. Emily era agitata, molto agitata. Le squillò il telefono. Era Cassidy.

“Ehi, ancora niente! Secondo me mi da buca” rispose subito Emily.

Dal canto suo, Cassidy era gettata sul divano del suo appartamento, già in pigiama. “Ma no, sta tranquilla. L’ho sentita poco fa e mi ha detto che stava passando da casa di tua madre a lasciarle le bambine” rispose Cassidy tentando di farla calmare.

“Ah, quindi significa che verrà?” chiese Emily, mentre il batticuore saliva sempre di più.

“Certo che verrà! E quando ti vedrà con quel vestito addosso, vorrà sicuramente saltare la cena e passare direttamente al dolce” rispose Cassidy divertita e con fare malizioso.

“Cassidy…E’ imbarazzante tagliò corto Emily.

“Ok, ok, scusami! Ma tu sta calma e non farti prendere dal panico. Andrà tutto bene, fidati rispose Cassidy sicura di se.

“Comunque Cassidy, grazie, davvero. Sono contenta di aver legato con te, dico sul serio” Emily si era calmata un po’ ed era apparsa alquanto felice di dire ciò.

Cassidy dal canto suo sorrise felice. “Anch’io. E ora ho capito che ho sprecato del tempo inutile a tentare di fare qualcosa di sbagliato, quando alla fine posso essere amica di entrambe, e stare comunque bene” continuò Cassidy visibilmente felice.

Bussarono poi alla porta del granaio.

“Oh mio dio, bussano alla porta. E’ arrivata! Ci sentiamo più tardi!” Emily era agitatissima.

“Ok, mi raccomando poi voglio sapere tutto. Tanto mi dirà tutto anche Alison!” rispose Cassidy più emozionata di lei.

Emily mise giù il telefono, quindi si sistemò un’ultima volta il vestito, fece un lungo respiro e andò ad aprire. Appena aprì, si trovò davanti Alison…insieme a Willa. Emily apparve piuttosto perplessa, e tutto l’entusiasmo di pochi secondi prima, svanì.

“Em, dobbiamo…Dobbiamo parlare” aggiunse Alison con decisione.

Pochi istanti dopo, Alison, Willa ed Emily, erano sedute sui divani del granaio. Emily stava porgendo a Willa un bicchiere d’acqua.

“Ecco, bevi” fece la giovane amorevolmente.

“Grazie” rispose Willa.

Alison intanto notò la splendida tavola apparecchiata. Incrociò lo sguardo di Emily.

“Avevi cucinato tutto te?” chiese Alison curiosa.

“La maggior parte sì. L’altra roba l’avevo comprata al supermercato” rispose Emily. Alison le sorrise divertita.

“Vi sto anche rovinando la cenetta romantica, non dovrei essere qui” esclamò Willa, tentando di andar via. Alison le prese la mano e la riportò a sedere.

“Willa, non hai rovinato nulla. Devi semplicemente dirci cosa successe quella notte. Perché pensi di essere tu la causa del rapimento di Addison?” chiese Alison.

“Io…Non dico di essere la causa, ma, ma se non avessi litigato con lei, se non le avessi impedito di tornare al granaio, probabilmente sarebbe ancora viva” spiegò la giovane con sguardo sofferente.

“Quindi avete litigato, giusto? Per questa nuova amica che Addison aveva?” chiese Emily.

“Sì. La trovai nel mio giardino, e le chiesi cosa stesse facendo. Discutemmo un po’, ma lei non voleva sentire ragioni. Voleva tornare nel granaio, ma, io…Io insistetti affinché parlassimospiegò Willa.

Il suo raccontò ci catapultò con un flashback, alla notte in cui Addison scomparve. Willa stava seguendo Addison, che si stava dirigendo con decisione nel granaio.

“Ehi Addison, non abbiamo ancora finito!” urlò Willa con decisione.

“Io penso proprio di sì invece” rispose Addison con tono saccente. Fece per aprire le porte del granaio, ma Willa la tirò da un braccio.

“Dobbiamo parlare!” tuonò Willa alquanto incazzata.

“Ma quel poco alcool che hai bevuto stasera ti ha dato alla testa?” ruggì Addison.

Le due rimasero a fissarsi. Addison era piuttosto scocciata. Sbuffò e decise di tornare in giardino. Tornata in giardino si sedette sulla sdraio dove prima ci stava la mazza da baseball, ora per terra. Ai piedi di Addison invece c’era quella strana chiave a croce. Willa la seguì.

“…Ok, vuoi parlare? Parliamo!” esclamò la giovane Derringer.

Willa rimase in piedi a fissarla. “Quindi confermi che ti sei allontanata da noi, o no?” chiese la giovane.

“Quanto la fai lunga! Ok, ho una nuova amica, e allora? Di certo non vi sto ignorando. Se soffri di mancanza d’affetto, comprati un cane” rispose Addison scocciata e fece per alzarsi.

Willa la trattenne nuovamente da un braccio.

“Penso che tu debba dirmi la verità. E dopo la dirai alle altre. Chi è quest’amica?” chiese Willa con decisione.

Le due erano faccia a faccia.

“Penso che tu stia un tantino esagerando Willa” rispose Addison tentando nuovamente di andar via, ma senza successo. Willa la teneva bloccata.

“Addison, perché hai preferito questa nuova amica a noi? Chi è? Cosa state combinando insieme? E’ da settimane che mandi messaggi segreti, fai telefonate segrete, sei con la testa da un’altra parte. Poi che ci facevi sveglia nel bel mezzo della notte, qui fuori?” insistette Willa.

Addison iniziò ad apparire in difficoltà “Non…Non sono affari che ti riguardano” precisò.

“Io invece penso di sì, visto che siamo amiche da una vita e merito una risposta” ribatté Willa.

“Quando mai una risposta ti ha reso felice? Vuoi sempre sapere, sapere, sapere. Basta!” rispose Addison.

“Ok, non vuoi parlare? Allora vediamo cosa ne pensano le altre” ribatté Willa, che subito fece per andare verso il granaio per svegliare Hadley, Samantha e Ava, ignare di tutto e immerse nel loro sonno.

“No, aspetta!” Addison urlò spaventata. Non voleva che svegliasse le altre. Willa si fermò e si voltò verso Addison.

“Ok, quindi? Vuoi dirmi cosa sta succedendo?” chiese Willa.

Addison si sentì braccata. Capì che doveva inventarsi qualcosa per scrollarsi di dosso tutta la curiosità dell’amica. Dopo averci rimuginato su, le venne in mente qualcosa. Qualcosa di brutto e doloroso, che avrebbe distrutto Willa, ma era l’unico modo per non farle fare più domande, per allontanarla dalla verità, forse troppo pericolosa per lei.

“Vuoi davvero sapere la verità? Sei sicura?” chiese Addison.

“Sì, sono sicura” ribatté Willa, avvicinandosi di più all’amica.

“E va bene, l’hai voluto tu…Diciamo che io, e, e il tuo meraviglioso fidanzato-“ iniziò a raccontare Addison.

“Jackson? Cosa c’entra Jackson in questa storia?” chiese Willa iniziando ad agitarsi.

“Diciamo che ci siamo divertiti un po’ in questi ultimi mesi. Ed è stato davvero bello” rispose Addison. Willa rimase pietrificata, immobile. Non poteva credere a ciò che stava sentendo. La sua amica, la sua migliore amica, era andata a letto con il suo fidanzato. Sentì come se il cuore le si stesse spezzando. Gli occhi si riempirono di lacrime. Lacrime piene di tristezza, amarezza, delusione. Non riusciva a distogliere lo sguardo da Addison. Dall’altra parte, Addison tentava di rimanere risoluta e sicura di se, ma voleva crollare. Si vedeva che le faceva male raccontare quella bugia.

“Tu…T-Tu e, tu e Jackson siete, s-siete…Siete stati insieme?” chiese Willa tentando di trovare le parole giuste.

“Bravissima! Ed è stato uno spasso, anche se mentirti, non è stato facile, te lo assicuro. Ora sei contenta della spiegazione? Non c’è nessuna amica, ok? C’è solo il tuo ragazzo che ti ha messo un bel paio di corna con me, più volte” precisò Addison usando una cattiveria inaudita.

Willa non riusciva più a parlare. Le lacrime iniziarono a rigarle il viso. “Ma…C-Come, c-come hai potuto farmi questo?” riuscì a chiedere.

“Oh ti prego Willa! Prima capirai che queste amicizie liceali sono false e destinate a finire, e prima vivrai più serena. Ora torno a dormire perché ho davvero sonno” concluse Addison, e fece per andarsene. Mentre si allontanava, e non poteva essere vista in volto da Willa, Addison iniziò a piangere. Delle sorprendenti lacrime iniziarono a rigarle il viso. Si sentiva uno schifo per quello che aveva raccontato, ma in cuore suo sapeva che era l’unico modo per allontanare Willa da una verità che poteva solamente metterla in pericolo. Vedere la sua migliore amica piangere, però, le faceva un male cane. In quel momento stava uscendo fuori l’umanità di Addison, fino ad ora celata dal disprezzo e dalla cattiveria. Mentre si avvicinava al granaio, Willa ebbe come uno scatto di rabbia. Aveva due occhi pieni d’odio e di collera. Si guardò intorno come alla ricerca di qualcosa. Vide quella chiave a croce per terra, e la prese in mano. Tutto accadde velocemente. Con la chiave in mano si precipitò verso Addison, e la colpì in testa. Non con tanta forza, ma con quella necessaria affinchè le facesse male. Addison si accasciò a terra perdendo i sensi. All’estremità della chiave a croce c’era del sangue. Willa rimase pietrificata di fronte l’amica a terra. Stava con la chiave in mano, e praticamente sotto shock.

 

 

 

 

 

 

Nel presente, Alison ed Emily erano sbigottite. Willa piangeva mentre raccontava.

“Willa…Cos’altro è successo? Perché pensi che sia stata rapita per colpa tua se non eri tu la persona che ha aiutato Claire?” chiese poi Alison.

“Io…Io non volevo farlo! Solo che quello che mi aveva detto mi fece, mi fece veramente fatto ribollire il sangue. In quel momento salì un odio dentro di me, incredibile. Volevo far del male ad Addison per ciò che aveva fatto. Volevo fargliela pagare. Non pensai minimamente. Ero solamente accecata dalla rabbia, e la chiave era lì, è accaduto tutto così velocemente!” Willa raccontava oramai in lacrime.

“Willa, questo lo abbiamo capito. Ma cos’altro è successo dopo?” insistette poi Emily.

“Io…Io cercai di capire se fosse ancora viva, e, e lo era rispose Willa.

Il racconto si tramutò ancora in un flashback di quella notte. Willa si accasciò su Addison.

“A-Addison ti prego, ti prego svegliati!” iniziò a dire Willa disperata, e gettando a terra la chiave a croce. Tentò di svegliarla, ma non dava segni di vita. Quando poi mise la mano sul capo dell’amica, si ritrovò sporca di sangue. Stava perdendo sangue dalla testa a causa della ferita. Willa si ritrovò le mani insanguinate. Era impaurita, sotto shock. Si alzò di colpo pensando di averla uccisa. Era convinta di averla uccisa. Non dava segni di vita. Si guardò intorno spaventata. Prese nuovamente in mano la chiave e a croce sporca di sangue, e subito corse verso casa, superando il granaio e correndo più in fretta che poteva. Mentre corse via, non si accorse che Addison stava iniziando a lamentarsi, e a svegliarsi, anche se con difficoltà.

Willa entrò dentro casa. I suoi genitori non c’erano. Si guardò intorno, e andò verso la sua camera da letto. Entrò, e si premurò di nascondere la chiave a croce sotto il letto. Dopodiché uscì e andò verso il bagno. Era in preda al panico. Entrò in bagno, e andò di fronte lo specchio. Si guardò allo specchio con occhi pieni di disprezzo. Piangeva.

“Che cosa ho fatto, che cosa ho fatto!” iniziò a dire tra se e se. Non riusciva a controllarsi. Guardò le mani oramai sporche del sangue di Addison. Quindi aprì subito il rubinetto del lavandino, e iniziò a lavarsi le mani. Strofinava così forte quasi da volersi staccare la pelle da sopra il corpo. Mentre lavava via quel sangue, piangeva sempre di più. Non riusciva a credere a ciò che aveva fatto. Aveva davvero ucciso la sua amica Addison? Non lo sapeva. Sapeva di avere il suo sangue sulle mani, e che era troppo impaurita per ciò che sarebbe successo da lì a breve, quando le sue amiche si sarebbero svegliate. Dopo aver lavato via tutto il sangue, asciugò tutto, e rimase ancora di fronte lo specchio. Tentò subito di asciugare le lacrime e di ricomporsi.

Improvvisamente sentì un urlo. Un urlo veramente forte. Riconobbe quell’urlo. Era Addison. In quel momento capì che l’amica probabilmente era ancora viva, ma quell’urlo non faceva sperare niente di buono. Sapeva però di dover subito tornare nel suo giardino. Subito corse fuori casa e tornò, dove stava Addison, ma di lei, nessuna traccia.

Addison era sparita. Non era più lì. Era come se si fosse volatilizzata nel nulla. Willa si guardò intorno. “Addi…” chiese, ma nessuno le rispose. C’era un silenzio inquietante. Si asciugò le lacrime.

Intanto però, nel granaio, Hadley stava iniziando a svegliarsi, e sgranando gli occhi si accorse dell’assenza di Addison e di Willa. Quindi la ragazza svegliò subito Ava stesa sul divano con Samantha. “Ava” sussurrò ancora un po’ assonnata.

Sia Ava sia Samantha si svegliarono. Anche loro un po’ frastornate e con gli occhi assonnati. “…Dove sono Addison e Willa?” chiese poi Hadley guardandosi intorno preoccupata. Ava scosse la testa. Non lo sapeva. E a giudicare dalla faccia di Samantha, nemmeno lei aveva idea di dove fossero finite le due.

Hadley quindi si alzò e iniziò ad avvicinarsi all’uscita, vedendo, infatti, una ragazza che si dirigeva verso di loro “Addi?” chiese subito. Ma non era Addison, era Willa, che arrivò con una faccia che non faceva presagire nulla di buono.

“E’ scomparsa” intervenne Willa con la voce spezzata.

“Che vuoi dire che è scomparsa?” chiese Hadley confusa.

“L’ho cercata ovunque. Penso di averla sentita urlare” concluse Willa, lasciando Hadley, Samatha e Ava, sconvolte, spaventate e confuse. Dov’era finita Addison? Non lo sapevano, ma le parole di Willa facevano presagire qualcosa di preoccupante. Molto preoccupante.

 

 

 

 

 

 

“Non sapevo cosa fare. Sapevo, però, di non poter dire alle mie amiche cos’era successo. Non ne avevo il coraggio, così appena sentii che Hadley si era svegliata, mi ricomposi e tornai al granaio, dicendo loro di aver sentito Addison urlare, ma che non ero riuscita a trovarla” spiegò Willa nel presente.

Alison ed Emily avevano ascoltato tutto con estrema attenzione.

“Ecco perché pensi che sia colpa tua se è stata rapita, Perché Claire e il suo complice hanno approfittato del fatto che fosse debole a causa del colpo che le avevi dato” aggiunse Alison, capendo tutta la situazione.

“Q-Quando, quando il giorno dopo fu dichiarata la scomparsa di Addison, io, io entrai in panico. Iniziai a sentirmi in colpa. Pensavo che se non ci fosse stata quella lite, se non l’avessi costretta a dirmi la verità, probabilmente non le sarebbe successo nulla. Sarebbe tornata nel granaio a dormire, e nessuno l’avrebbe portata via. Quindi, quindi ripresi la chiave con cui l’avevo colpita, e, e la seppellii in un campo poco distante da Rosewood, e non rivelai mai a nessuno quello che successe. Non potevo farlo. Poi, poi Claire ha confessato alla polizia ciò che aveva fatto, ed io, ho dovuto far qualcosa spiegò Willa non riuscendo a trattenere le lacrime.

“Che intendi dire?” chiese Emily.

“Dopo aver sentito al notiziario ciò che Claire aveva confessato, avevo paura che la polizia avrebbe ricominciato a indagare anche su me e le altre. Già sospettavano di me all’epoca, a causa del fatto che fossi sveglia. Dopo aver saputo che Addison era già stata aggredita, era solo questione di tempo prima che scoprissero tutto, quindi, quindi recuperai la chiave, e me ne sbarazzai definitivamente gettandola in un pozzo nel bosco. Così non sarebbero mai riusciti a risalire a me, e a ciò che avevo fatto, p-però…Però adesso qualcuno sa, e ho, ho tanta paura rivelò Willa mentre il pianto diventava più forte.

“Che vuol dire che qualcuno sa? Qualcuno ti sta minacciando Willa?” chiese subito Alison.

Willa quindi tirò fuori il telefono dalla tasca, andò nei messaggi. “Mi è arrivato la sera che gettai via la chiave. E da allora me ne sono arrivati altri, tutti, tutti che alludevano a quest’amica che credevo avesse Addison” spiegò. Ali ed Emily presero in mano il telefono e lessero l’sms “Tu non volevi me nella vita di Addison? Io non voglio te…viva. Guardati le spalle”.

“Willa, quindi, quindi tu sei convinta che la storia del tradimento con il tuo ragazzo-“ Alison subito intervenne.

“Ex ragazzo. Lo lasciai in pratica il giorno dopo” precisò Willa.

“Ok, la storia del tradimento con il tuo ex ragazzo, fosse inventata?” continuò Alison.

“Penso do sì. Jackson ha sempre negato di essere stato con Addison, sempre. Anche se io decisi di non tornare più con lui, ha continuato sempre a dire di non aver mai toccato Addison, di non averci mai provato con lei. E ora, ora mi  arriva questo messaggio. Penso, penso che ci fosse davvero un’amica misteriosa nella vita di Addison. Qualcuno, qualcuno che l’aveva portata via da noi. Addison mi raccontò una bugia pur di non spiegarmi chi fosse questa sua nuova amica. Penso che volesse tenermi al sicuro, e penso che quest’amica, chiunque essa sia, è la stessa persona che ha ingannato Claire, e ha rapito Addison spiegò Willa con decisione.

Alison ed Emily rimasero a riflettere sulla cosa, piuttosto confuse e perplesse.

In tarda serata, Aria era appena rientrata a casa, piuttosto esausta. Si stava trascinando dentro “Sono a casa…Finalmente urlò.

“Vieni di sopra!” urlò Ezra dal piano di sopra. Aria quindi lo raggiunse, mentre si levava le scarpe man mano che saliva i gradini. Arrivata in camera da letto, trovò le luci spente, ma la camera era costernata da candele profumate e accese, ed Ezra era ai piedi del letto, tuta nera addosso, e seduto, in attesa della sua splendida moglie. Le stava sorridendo. Aria rimase piuttosto sconvolta. Si guardò intorno un po’ perplessa.

“Non dirmi che avevamo qualcosa da festeggiare e mi sono dimenticata?” chiese lei ironica.

No, tranquilla, però, visto tutto quello che stai passando ultimamente, questo pazzo che vi sta perseguitando, ora il fatto che hai deciso di lasciare il tour, ho pensato che ci meritavamo una serata di solo relax, tu ed io, e nessun’altro” spiegò l’uomo con fare romantico e avvicinandosi a lei, levandole lentamente il cappotto.

“Scusa, e Byron? Dov’è?” chiese la donna.

“Byron è con i tuoi genitori, dormirà da loro, quindi non preoccuparti” rispose Ezra mentre si alzò e iniziò a baciarle il collo da dietro, con teneri e sensuali baci. Aria tentava di trattenersi, ma con estrema fatica.

“Ma…dovrei, io dovrei avvisare le altre, dobbiamo parlare” rispose Aria cercando di mantenere il controllo, ma stava già palesemente cedendo.

“Per stasera prova a non pensare a omicidi, arme del delitto. Stasera proviamo a pensare a noi due” continuò lui mentre i baci sul collo aumentavano, ed erano sempre più passionali. Aria non riuscì più a resistere. Si voltò verso il marito e lo baciò con una passione e un impeto alquanto dirompente. Una passione talmente forte che li portò a buttarsi subito sul letto, rimanendo incollati.

A casa Hastings, invece, Spencer era rientrata anch’essa, e appena entrò, trovò Toby seduto sul divano, intento a leggere una rivista. La ragazza quasi sobbalzò. “Toby, mi hai spaventata! Che ci fai qui?” chiese lei.

“Scusami, ero passato per sapere se eri tornata, e per sapere come stavi. Mi ha aperto tua madre mentre stava uscendo. Sembrava molto elegante” esclamò Toby.

Sì, probabilmente stava andando a cena con il detective. Ti avevo detto che mia madre fa coppia fissa con l’uomo che si sta occupando del caso di Addison Derringer?” chiese lei, posando la borsa sul tavolo.

Caspita. Un bel problema” rispose lui.

“Non tanto a dire il vero. Craig la sta rendendo felice, si vede. Sono io che sto sbagliando con lei invece” continuò Spencer sentendosi in colpa.

“In che senso?” chiese Toby.

“L’ultima volta che abbiamo parlato le ho semplicemente urlato in faccia, e le ho rivelato che mi avevano sospeso dal lavoro. Da allora, oltre al buongiorno e buonanotte, e al ‘mi passi lo zucchero’ non ci diciamo molto. E non se lo merita” rispose Spencer. Toby si alzò e andò verso di lei.

“Beh, allora parlale. E’ tua madre, risolverete tutto, come sempre. Avete superato problemi ben peggiori” le ricordò Toby, cingendola in vita. Spencer si lasciò stringere.

“Come lo scoprire che la mia madre biologica era una donna poco sana di mente?” chiese lei usando un po’ d’ironia.

“Sì, una roba del genere” rispose Toby sorridendole. I sorrisi si tramutarono in piccoli e teneri baci che anche Spencer ricambiò senza farsi pregare. Dopodiché si scostò.

Ho conosciuto un ragazzo interessante oggi, sai?” iniziò a stuzzicare lei.

Toby la guardò un po’ infastidito “Ah sì, e me lo stai dicendo, perché?” chiese lui.

“Non lo so, forse voglio provocare una reazione di gelosia in te, chissà rispose Spencer.

“E perché dovrei? Noi andiamo solo a letto insieme, vero?” stuzzicò invece Toby.

“E’ vero” rispose Spencer con un sorriso sornione.

I due si stavano mangiando con gli occhi, era palese, era cristallino. Gli occhi di Spencer stavano spogliando Toby, mentre quelli di Toby stavano spogliando Spencer. In quel momento volevano solamente essere in un letto, da soli, insieme, e senza vestiti, a lasciarsi andare alla passione più sfrenata.

Nel granaio degli Hastings, invece, Emily era intenta a spegnere le candele su quella tavola apparecchiata, ma oramai inutile, mentre Alison era al telefono con Willa.

“Sta tranquilla Willa. Fin quando ci siamo noi a proteggerti, sei al sicuro. Stasera cerca di riposare e domani ne riparleremo, te lo prometto…Ok, buonanotte e quindi staccò il telefono.

“Allora? Come sta?” chiese Emily preoccupata e sedendosi sul divano. Alison la imitò.

“Tralasciando il fatto che l’ho riaccompagnata a casa e aveva paura anche del vento che faceva volare le foglie, e che dieci minuti dopo che l’ho lasciata, mi avrà fatto almeno cinque chiamate fino a quando non sono tornata qui, direi bene rispose Alison alquanto pensierosa e un po’ ironica.

“Cosa dobbiamo fare ora con queste informazioni?” chiese Emily.

“Non lo so. Di certo ci da ancora di più un quadro generale della situazione. Addison aveva conosciuto qualcuno. Qualcuno che l’aveva portata via dalle sue amiche. Lo stesso qualcuno che l’ha rapita, e che ora sta torturando noi e Willa. Il messaggio che ha ricevuto parla chiaro” rispose Alison.

“Adesso bisogna scoprire chi è questa persona, e chi ha ucciso Addison, giusto?” chiese Emily.

“Già…Ora però vorrei solo sprofondare in un letto” rispose Alison. La donna poi posò lo sguardo sulla tavola apparecchiata. La guardò un po’ malinconica. “…Mi dispiace per la nostra cena” aggiunse la giovane.

“Sta tranquilla. Era più importante ciò che aveva da dire Willa. Possiamo rifarla rispose Emily.

“No, non era più importante. Stiamo parlando di salvare il nostro matrimonio. Per me ha la priorità su tutto” rispose Alison.

FATE PARTIRE QUESTA CANZONE PRIMA DI CONTINUARE A LEGGERE;

Emily la fissò intensamente. Come se la stessa baciando con gli occhi. “Sai…Mi…Mi sei mancata tanto in questi giorni” esclamò la giovane, provando a far cadere la corazza da dura.

Alison le sorrise “Io dormivo in continuazione con il tuo cuscino abbracciato a me. C’era tutto il tuo profumo sopra” rispose Alison.

Emily continuava a fissarla intensamente. “Sai, non possiamo risolvere tutto così, in una notte. Ci…Ci vuole tempo”

Alison era un po’ delusa da questa risposta. “Hai ragione” rispose.

“Sai, le cose cambiano. Cambiano sempre. Non si può farle tornare com’erano” Emily sembrava un po’ impacciata, e malinconica.

“Sì, è ovvio” rispose Ali con una delusione crescente.

“Ci vuole del tempo. Non si può semplicemente fare una cena, e-“ Emily fu interrotta.

“Lo so” rispose Alison diretta. Erano occhi negli occhi.

“Ci sono molte cose da superare. Entrambe dobbiamo ricostruire la fiducia l’una per l’altra. Dobbiamo capire se siamo le stesse di prima, o se siamo cambiate. Dobbiamo capire se le nostre vite possono ancora intrecciarsi. E’ un processo lungo, importante…” Emily sembrava fin troppo seria. Alison abbassò lo sguardo, intristita. “…E possiamo saltarlo”, non appena Emily disse ciò, una luce apparve negli occhi di Alison, che subito riposò gli occhi sulla moglie. Era confusa, ma sentì il cuore batterle subito all’impazzata. “…Ti prego, puoi darmi un bacio adesso?” concluse poi Emily.

Alison non poteva crederci, ma stava succedendo davvero. Sorrise con la bocca e con gli occhi. Non se lo fece ripetere due volte, e di colpo baciò la sua Emily. Un bacio che aspettava da tanto. Un bacio pieno d’amore ed enfasi, che andava a risanare tutto il tempo passato divise.

E intanto, Hanna stava nei corridoi del secondo piano del Radley Hotel, mentre si stava dirigendo nella sua stanza. Era al telefono con Mona. “Saremmo dovute andare alla polizia oggi stesso a raccontare ciò che ci ha detto Carter” spiegava Hanna mentre si trascinava nel corridoio.

“No. Devi ancora parlarne con le altre. Domani andremo tutte insieme. Ora riposati, è stata una lunga giornata” rispose la voce di Mona dall’altra parte del telefono.

“Va bene, come-“ Hanna non finì la frase perché una scia di petali bianchi che faceva da percorso fino alla sua stanza, attirò la sua attenzione. “…Vuoi, ci, ci sentiamo domani Mona, buonanotte concluse Hanna, mettendo giù. Era piuttosto confusa. Sentì però la sensazione di dover seguire quella scia. Mentre si avvicinava alla porta della stanza, quella porta si aprì. Ad aprirla, fu…Caleb. Caleb, con la piccola Regina accanto, e che teneva dalla sua tenera manina. Hanna si fermò di colpo. Si portò le mani alla bocca in segno di stupore. Caleb era lì. Il suo meraviglioso Caleb che non perse tempo a sorriderle.

“Ciao amore” esclamò lui. La piccola Regina sorrideva felice, alla vista della sua mamma, e riusciva a rimanere in piedi.

“Non posso crederci! Siete qui!” Hanna urlò, mentre gli occhi le si riempirono di lacrime. Lacrime di gioia. Corse subito verso di loro, e suggellò quel momento con un meraviglioso bacio al suo altrettanto meraviglioso marito. Il bacio durò a lungo, come se non volessero più staccarsi. Come se il tempo fosse solo per loro. Lentamente, ma a fatica, si distaccarono, continuando a guardarsi con gli occhi dell’amore. “…Ma, ma che cosa ci fate qui?” chiese lei, cercando ancora di realizzare.

“Non ne potevamo più dell’Italia. Soprattutto se non c’eri tu con noi. Quindi abbiamo deciso di tornare e farti una bella sorpresa. Mi ha aiutato Mona” spiegò lui. Hanna era ancora incredula. Subito prese in braccio la sua meravigliosa figlia. Regina sghignazzava felice.

“E tu amore mio? Come stai? Dio, quanto mi sei mancata esclamò Hanna, stringendola forte a se. Talmente forte da sentire il suo cuoricino battere. Caleb sorrideva emozionato nel vedere sua moglie lì con lui, di nuovo insieme. E rimasero lì a ridere, e a riabbracciarsi, felici come mai prima d’ora.

E come nelle migliori favole, per una notte, una sola notte, tutte si stavano concedendo dei momenti felici. Momenti di passione, d’amore, di felicità, di famiglia.

A casa Fitz, Ezra e Aria erano a letto insieme, coperti solamente da un leggero lenzuolo bianco, mentre si lasciavano andare alla passione più sfrenata. Aria baciava il petto di Ezra, lui le accarezzava i capelli, la riportò su, e la baciò come se avesse il fuoco dentro…

Nel granaio degli Hastings, anche Emily e Alison, si erano lasciate andare. Stavano ritrovando quell’ardore, e quell’attrazione che sembrava stesse svanendo nel loro rapporto. Ma mentre si attorcigliavano nel letto, erano felici, erano in estasi mentre le labbra di entrambe passavano sinuose sui corpi di tutte e due. Alison iniziò a baciare il collo di Emily, mentre quest’ultima la strinse forte a se, come se avesse paura che potesse scappare. “Quanto mi sei mancata” sussurrò Emily, mentre tornarono a baciarsi…

A casa Hastings, nella camera di Spencer, anche Toby e Spencer si stavano abbandonando all’amore, al sesso, a quell’attrazione meravigliosa che li aveva sempre tenuti uniti in un modo o nell’altro. Spencer stava levando la maglietta a Toby, e si gettarono sul letto, mentre Toby sfilava la camicetta bianca a Spencer, per poi levarle il reggiseno, stringendola a se, e baciando ogni centimetro del suo meraviglioso corpo. Mentre si lasciavano andare, sul comodino, il telefono di Spencer squillò. Era un sms “Ok, non ho resistito e ti ho scritto io. Sei veramente bella! Allora, questo caffè?”, era un sms di Xavier, il ragazzo della St. Balance di Chicago.

E nel frattempo, a casa di Willa, quest’ultima era stesa sul suo letto, intenta a leggere un libro, o almeno ci stava provando. I pensieri erano troppi. Così come la paura. I suoi occhi si posavano in continuazione sul suo cellulare posto sul comodino. In quel momento poi, bussarono alla porta della sua stanza. Sobbalzò non appena bussarono. Rimase immobile.

“Chi…Chi è? Mamma, sei tu?” chiese la ragazza.

“No, non proprio la mamma, ma pur sempre di famiglia” una voce familiare rispose. Willa riconobbe quella voce, e sorrise. Subito saltò dal letto e andò ad aprire. Era Mona. Una sorridente Mona Vanderwaal.

“Mona? Oh mio dio che sorpresa! Che ci fai qui?” esclamò subito Willa, gettandosi al collo della ragazza, e abbracciandola forte.

“Mi mancavi” rispose Mona, rimanendo abbracciata a Willa. Erano molto unite. Lo si poteva notare dall’atteggiamento di Willa, cambiato in un attimo, non appena capì che era Mona. Si fidava di lei, le voleva bene. Perché? Non potevamo ancora saperlo…

In commissariato, invece, il detective Davis era seduto alla sua scrivania mentre stava mettendo tutto apposto. Era ben vestito e pronto per uscire. Gli squillò il telefono. Era un sms di Veronica “Dove sei? Ti sto aspettando al ristorante”. Craig sorrise, e le rispose subito “Sto uscendo ora dalla centrale. Arrivo” e inviò. Mentre riordinò tutto, si soffermò poi su terzo cassetto della sua scrivania. Guardò intensamente quel cassetto. Sembrava pensieroso. Molto pensieroso.

Dopodiché si alzò dalla scrivania e andò a chiudere la porta dell’ufficio finora rimasta aperta. Tornò a sedersi e aprì in fretta il cassetto, tirando fuori una piccola pennina USB. Quindi inserì la pennina nel suo portatile, aprì la cartella che apparve sulla schermata, e selezionò il video “ADDI002”. Appena aprì il video, apparve il volto di una Addison un po’ spaventata, seduta nella sua camera da letto. Inizio a parlare.

“Ciao, se…Se qualcuno sta vedendo questi video, significa. Significa che probabilmente sono, sono morta” questo iniziò a dire Addison nel video. Craig però sembrava avesse già visto quella parte. Non gli interessava molto. Passò subito avanti con il cursore del mouse, e arrivò a un pezzo piuttosto fondamentale, dove oramai Addison stava già parlando da un bel po’.

“…E quindi, ho aiutato questa Alex Drake, o Melissa Hastings” era arrivato a questo punto. Dopodiché tornò indietro col cursore di pochi secondi, e di nuovo “E quindi, ho aiutato questa Alex Drake, o Melissa Hastings”, e poi di nuovo:

“…E quindi, ho aiutato questa Alex Drake, o Melissa Hastings”…“…E quindi, ho aiutato questa Alex Drake, o Melissa Hastings”…“…E quindi, ho aiutato questa Alex Drake, o Melissa Hastings”“…E quindi, ho aiutato questa Alex Drake, o Melissa Hastings”, Davis continuava ripetutamente a tornare indietro con il cursore per ascoltare esattamente queste poche parole, e mentre le ascoltava, i suoi occhi si riempivano di una rabbia veramente spaventosa. Si notava una collera e una furia impressionante nei suoi occhi, mentre continuava a risentire le stesse parole di Addison a ripetizione “…E quindi, ho aiutato questa Alex Drake, o Melissa Hastings”

E intanto, al Lago Grayson, una macchina della polizia era arrivata di fronte il campo estivo ‘Le Fate Invisibili’. La macchina era visibilmente illuminata da una luce ardente e rossa. C’era anche il camion dei pompieri. Scesero dall’auto due agenti. I due si avvicinarono al capo pompiere che era intento a guardare verso il cottage.

“Allora, cos’è successo qui?” chiese uno degli agenti.

“A quanto pare una fuga di gas. Ci hanno chiamato due campeggiatori che hanno visto le fiamme dall’altra parte del lago” rispose l’uomo barbuto.

“C’era qualcuno in casa?” chiese l’agente.

“E’ probabile che ci fosse il proprietario, Mitch Carter. Ma purtroppo, credo non sia rimasto niente di lui. Una tragedia” rispose il capo pompiere un po’ triste.

E i due agenti rimasero a guardare la scena. Era il cottage, il campo estivo, completamente in fiamme. Fiamme talmente alte da poter quasi toccare il cielo. Mitche Carter era morto per una misteriosa fuga di gas? Chissà, ma noi sapevamo che non era stata una fuga di gas. Era chiaro come il sole. E mentre l’incendio divampava e i pompieri tentavano di spegnerlo, quella tragedia, che non era di certo stata casuale, si era portata via un’altra parte della verità…O forse no.

In un motel fuori città, qualcuno era appena entrato in una stanza, chiuse la porta alle sue spalle. Aveva in mano un telefonino usa e getta. Chiuse la porta alle sue spalle, e si sedette sul letto. Era Mitch Carter. Sembrava parecchio spaventato. Continuava a guardarsi intorno, ed era palesemente terrorizzato e ansioso. Quindi compose in fretta un numero di telefono e aspettò che qualcuno rispose.

Il volto sorpreso e felice di Mitch, fece capire che qualcuno rispose “Anne, Anne tesoro sono io! Ora devi ascoltarmi attentamente. Qualcuno ha messo fuoco al nostro cottage. Qualcuno ha tentato di farmela pagare per aver parlato. E se dico altro, è, è la fine. Fidati. Dobbiamo lasciare la città, immediatamentespiegò l’uomo, più agitato che mai.

E poco più tardi, Ezra e Aria erano stesi nel loro letto, dopo una notte di passione. Stavano rannicchiati l’uno accanto all’altro, mentre fissavano il soffitto, e sorridevano.

“E’ stato bellissimo” esclamò Aria estasiata.

Ezra sorrise. Di colpo furono interrotti dal suono del cellulare di Aria. La ragazza si stranì.

“Ma chi sarà a quest’ora?” chiese perplessa. Prese il telefono da comodino, era Philip. “…E’ Philip” continuò lei.

“Probabilmente ti starà chiamando per il tour. Lo stai evitando” rispose Ezra.

“Già, forse è arrivato il momento di dirgli tutto. Ok…Un bel respiro Aria era decisa ad annullare il tour, quindi si alzò dal letto, e mise la maglietta nera di Ezra addosso. “…Ehi Philip, ciao, scusami se-“, Aria non riuscì a finire la frase poiché la voce di Philip, grossa e alquanto furiosa, tuonò.

“No, niente scuse! Ma dico sei impazzita a pubblicare una roba del genere?” chiese la voce dell’uomo.

“Cosa? Che vuoi dire? Non so di cosa tu stia parlando” rispose Aria perplessa.

“Ah no? E il bell’articolo che hai pubblicato sul tuo blog? E’ assurdo! Lo stanno condividendo ovunque. Ti sei rovinata, lo sai?” rispose Philip.

Aria si precipitò di colpo al suo portatile aperto sul tavolo di fronte al letto, e aprì subito il suo blog. “Philip non so di cosa tu stia parlando” rispose lei mentre attendeva il caricamento della pagina. Non appena lo aprì, trovò un articolo a quanto pare pubblicato e firmato da lei. “…Ma che diamine?” fece lei sconvolta.

Ezra si alzò anch’esso. “Ma che succede?” chiese.

“Hai rivelato che il libro autobiografico era solo una farsa? Che hai preso in giro tutti! Ti rendi conto di quello che hai fatto? Ti rendi conto delle conseguenze?” continuò a urlare Philip.

Mentre Aria leggeva le orribili parole scritte in quell’articolo, si portò la mano alla bocca completamente sconvolta. Era un articolo pieno d’odio, di disprezzo, e prese in giro verso tutti i suoi lettori che avevano imparato ad amarla. Ezra stava scorrendo con il mouse per leggere anch’esso.

“Mio dio, Aria, è stato condiviso da più di 700 siti internet” rispose Ezra anch’esso senza parole. Arrivò poi sul fondo, dove c’erano i commenti.

“P-Philip io, i-io…Ti richiamo! Aria non riusciva a dire nulla, e gli staccò il telefono in faccia.

Ezra le fece vedere i commenti. Commenti pieno d’insulti e odio. “Sei una schifosa” o “Dovresti morire” o “Puttana” o “Lurida bugiarda” o “Hai preso in giro tutti, brutta troia”. Commenti che facevano accapponare la pelle per la cattiveria e per il livore usato. Aria iniziò quasi a piangere.

“Ezra, i-io…Io non ho pubblicato questo articolo! Sappiamo entrambi chi è stato” rispose lei ben consapevole di chi fosse il responsabile.

“Lo so, io lo so, ma ora, ora come lo spiegherai a tutti loro?” chiese Ezra preoccupato.

Aria non sapeva che pensare, non sapeva cosa dire. Rimase pietrificata di fronte alla totale distruzione della sua carriera da parte di uno psicopatico che ora aveva preso di mira lei, e non sapeva proprio come poter risolvere la situazione.

FINE OTTAVO EPISODIO.

 

 

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