Pretty Little Liars 8 – FAN-FICTION – 8×06 “Consequences”

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“Consequences – Conseguenze”

Episode #806

 

Written by:

Frà Gullo;

 

 

CAST UFFICIALE:

Aria Montgomery (Lucy Hale)

Spencer Hastings (Troian Bellisario)

Hanna Marin (Ashley Benson)

Emily Fields (Shay Mitchell)

Alison DiLaurentis (Sasha Pieterse)

 

CAST SECONDARIO EPISODIO 6:

Ezra Fitz (Ian Harding)

Mona Vanderwaal (Janel Parrish)

Ken DiLaurentis (Jim Abele)

Cassidy Harmor (Crystal Reed)

Kate Randall (Natalie Hall)

Peter Hastings (Nolan North)

Willa Davis (Sydney Sweeney)

Veronica Hastings (Lesley Fera)

Tom Marin (Roark Critchlow)

Addison Derringer (Avan Allan)

 

 

 

 

 

 

 

 

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Era passata una settimana dagli ultimi e preoccupanti avvenimenti di Rosewood. Il freddo cominciava a farsi sentire in città, mentre le foglie oramai lasciavano gli alberi, cadendo lentamente sull’asfalto, mentre un vento fresco aleggiava sulla cittadina.

A casa DiLaurentis, Alison era appena rientrata insieme a suo padre Ken, con le piccole Grace e Lily nei loro rispettivi passeggini. Sembravano star bene, a parte delle piccole fasce bianche alla testa. “Ed eccoci di nuovo a casa! Siete contente?” esclamava Alison felice, mentre si faceva spazio in salotto.

Ken aveva in mano la roba delle bambine, due borse in ognuna delle mani, che poggiò sul divano, dove sprofondò anche lui.

“Non ci posso credere che finalmente abbiamo potuto riportarle a casa” esclamò lui visibilmente felice.

Alison si sedette alla poltrona di fronte a lui, tenendo accanto a se il passeggino, dove le bambine ridacchiavano serenamente. “Non dirlo a me. Non ne potevo più di medici e ospedali” spiegò Ali alquanto provata in volto. Le occhiaie visibili le davano un’aria piuttosto esausta.

“Ora non credi di meritare un po’ di riposo? Tanto ci sono io. Posso guardare le bambine per te” spiegò Ken con fare premuroso.

“No, tranquillo papà. Tanto tra poco arriverà Emily. Vuole vedere le bambine” rispose Ali tentando di apparire tranquilla.

A queste parole, Ken scrutò attentamente la figlia. “Sta dormendo ancora a casa di Spencer?” chiese Ken.

“Sì. Dalla madre non vuole andare altrimenti la riempierebbe di domande, e noi due non parliamo da quando è andata via” rispose lei, mentre la tristezza apparve sul suo volto.

“Hai provato a chiamarla in questi giorni?” chiese Ken.

“No, non ne ho avuto il coraggio. E’ come se non riuscissimo più a trovare un punto d’incontro” rispose lei.

“Io continuo a dire che la miglior cosa è parlare. Continuate a evitare il discorso, ma alla fine dovrete affrontarlo, lo sai” rispose Ken.

“Lo so” continuò Ali, rimanendo a riflettere sulla cosa, ma sicura del fatto che il padre avesse ragione.

Ken poi si alzò e iniziò a togliere fuori la roba delle bambine dalle varie borse. “Piuttosto, notizie di Jason? Come sta andando al centro di riabilitazione?”

“Bene, piuttosto bene. Alla fine è entrato solo tre giorni fa. Però, pare si sia già ambientato, e che gli aiuti siano davvero concreti” rispose Alison fiduciosa.

“Ma perché decidere di andare in questo centro? Non capisco. Alla fine la polizia aveva scoperto che non era ubriaco, e che l’auto era stata manomessa. Era stato scagionato” rispose Ken, facendo capire cosa fosse successo in quella settimana.

“Anche se in questo frangente è stato incolpato ingiustamente, Jason, Jason aveva già dei problemi con l’alcool che voleva risolvere da un bel po’. E andare in questo centro di riabilitazione probabilmente è la decisione giusta che potesse prendere, aldilà di quello che è successo con le bambine” spiegò Alison.

“E’ assurdo comunque. Ancora la polizia non ha scoperto nulla su chi potesse aver manomesso l’auto di Jason, o su chi gli avrebbe potuto mettere quelle bottiglie vuote nel bagagliaio?” chiese poi Ken scrupoloso.

“No, niente di niente. Sono così presi dal caso di Addison e anche di Roger, da mettere in secondo piano qualsiasi altra faccenda” spiegò Alison scocciata dalla cosa, ma anche dovendo in parte mentire. Lei sapeva benissimo chi era stato. Sapeva che era stato un folle che voleva rendere la loro vita un inferno.

“Ok, ma stiamo parlando di qualcuno che ha tentato di uccidere Jason, e hanno rischiato anche le tue figlie. Non possono prendersela comoda o ignorare la cosa” rispose Ken piuttosto irritato.

“Che ti devo dire? Questa è la giustizia a Rosewood. Comunque, vado a fare una doccia veloce. Ne ho davvero bisogno. Stai tu con le bambine?” chiese poi Alison alzandosi in fretta dalla poltrona.

“Sì, vai tranquilla” rispose Ken.

Ali quindi diede un bacio alle piccole, e si diresse al piano di sopra, mentre Ken rimase a vegliare sulle gemelline, mentre riordinava le loro cose.

Poco dopo, al Brew, Spencer, Emily e Aria erano sedute insieme ai divanetti, intente a bere il loro caffè.

“Hai già visto le bambine stamattina?” intervenne Aria all’indirizzo di Emily.

La giovane Fields-DiLaurentis sembrava stanca e abbattuta. “Non ancora” rispose seccata.

“Non è che stai cercando di evitare Alison?” aggiunse Spencer.

“No, affatto. Perché pensi questo?” chiese subito Emily.

“Em, forse perché è da una settimana che non vi vedete?” intervenne Aria.

“E soprattutto perché tu apparivi in ospedale quando lei era in bagno o a darsi una rinfrescata. Vuoi che ti faccia altri esempi del perché penso questo?” continuò Spencer giocando un po’ sulla cosa.

Emily abbassò lo sguardo. Sapeva che le amiche avevano ragione. “Ragazze, è che devo, devo trovare il momento giusto per parlare con lei. Non riesco a trovare le parole da usare, non saprei cosa dirle” continuò Emily.

Spencer e Aria la scrutarono attentamente.

“Tu sei ancora convinta di volere il divorzio? Quando lo hai detto, eri, eri sotto shock per via delle bambine e dell’incidente. Il fatto di aver saputo che non era stata colpa di Jason, non cambia niente?” chiese Aria tentando di capire.

“Cambia qualcosa, ma non migliora la situazione. Io e Ali avevamo già dei problemi prima, a causa di Cassidy, perché ci eravamo allontanate inconsapevolmente. C’erano un sacco di problemi di cui non ci siamo mai rese conto, e ora, ora non so davvero cosa fare” spiegò Emily tentando nella sua testa di capirci qualcosa.

“Ma Cassidy? E’ uscita dall’ospedale? Come sta?” intervenne Spencer.

“Sta bene. So che la dimettono oggi, non so altro” rispose Emily irritata.

“Con lei hai parlato invece?” chiese Aria.

“No, no ragazze, non ho parlato con nessuna delle due!” sbottò Emily piuttosto adirata.

Le due amiche la guardarono un po’ perplesse dal suo atteggiamento aggressivo. Emily si rese conto di aver un po’ esagerato. “…Scusatemi, è che, davvero, tra i problemi con Alison e questo pazzo che non si sa cosa voglia da noi, sento come se stessi soffocando” continuò Em, cambiando notevolmente tono.

“Tranquilla Em, capiamo perfettamente” aggiunse Aria, mostrandosi un po’ comprensiva.

Piuttosto, il padre di Roger? Non si è più fatto sentire da quella sera?” chiese Emily aprendo un discorso più importante.

“No, dovevamo vederci la sera dell’incidente di Jason, ma è sparito nel nulla. Al suo numero risponde la segreteria, e nel suo ufficio non va esattamente da una settimana” spiegò Spencer.

“Credi che questo A parte 4 gli abbia fatto fare la stessa fine della signora Derringer?” chiese Aria.

Emily e Spencer storsero un po’ il naso.

“A parte 4?” chiese Emily.

“Sì, è per dare un soprannome a questo psicopatico” rispose Aria.

“Penso che psicopatico renda meglio l’idea” ribatté Spencer.

Hanna invece è riuscita a scoprire qualcosa da Kate? Questa settimana sono stata fuori dal mondo” chiese Emily.

“A quanto pare no. Kate si è rintanata a Philadelphia e non vuole vedere nessuno” rispose Spencer.

“E come mai Hanna non è già lì a tirarle fuori la verità a colpi di schiaffi?” chiese sarcastica Emily, conoscendo bene il temperamento dell’amica bionda.

“Perché non vuole vedere suo padre. Si sono oramai persi da anni, e lei non saprebbe come affrontarlo” spiegò Spencer.

“Ma deve parlare soprattutto con lui. Il padre di Roger è stato chiaro. Incontrò il signor Marin quel giorno. Deve essere collegato al fatto che Kate incontrò Addison quella notte” spiegò Emily.

“E hai ragione. Ma Hanna non ne vuole sapere” rispose Aria un po’ affranta.

“Quindi siamo punto e a capo?” chiese Emily.

“Non proprio. Oggi andrò agli archivi del Rosewood Observer, voglio indagare su questo campo estivo, dove ci portavano da bambine. A quanto pare Roger sparì in quella zona” rispose Aria.

“Io proverò a estorcere informazioni da mamma. Da quando è tornata con Roger sembra che lui le confidi un sacco di cose di quello che succede con i casi di cui si occupa, quindi vediamo se scopro qualcosa in più” rispose Spencer decisa.

“Ieri ho incrociato il signor Derringer a scuola. Doveva riprendere alcune cose di Addison. Era davvero a pezzi” aggiunse poi Emily.

“Nella mia testa continuo a rivedere l’immagine della signora Derringer che viene uccisa” rispose Aria mentre un brivido, le percorse tutta la schiena.

Quel momento fu interrotto dal suono del telefono di Spencer. Era un sms. “Ecco, è la mamma!” aggiunse. Era un messaggio di Veronica. La donna lo lesse attentamente, senza perdersi una virgola. Mentre leggeva, il suo sguardo cambiò radicalmente, passando da un viso tranquillo, a un viso pieno di paura e di angoscia. Le amiche se ne accorsero.

“Spencer, che succede?” chiese Emily.

“Mio…M-Mio padre” rispose Spencer tentando di trovare le parole giuste.

“Tuo padre cosa?” chiese Aria.

“E’ in ospedale. E’ stato, è stato ricoverato d’urgenza” rispose la giovane Hastings, quasi impaurita dal dire quelle parole.

SIGLA.

 

A Philadelphia, in una caotica Philadelphia, due donne con due enormi giornali in mano, che le nascondevano il viso, erano sedute a un piccolo e grazioso bar situato di fronte ad un condominio. Da quel condominio, proprio in quel momento, uscì Tom Marin. Il padre di Hanna uscì da lì, giacca e cravatta, valigetta alla mano, e passo svelto. Si mise in strada e si allontanò.

Una delle due donne con il giornale in mano, lo abbassò lentamente, scoprendo il volto. Era Hanna. Con un foulard floreale in testa, e un paio di occhiali a goccia neri. Osservava suo padre allontanarsi. “Papà orso si è allontanato. Ripeto: papà orso ha lasciato l’edificio” sussurrò in modo robotico e a voce bassa.

Una scocciata Mona abbassò il giornale, levò gli occhiali a goccia neri, e sbuffò “Hanna, non siamo mica in Mission Impossible. Questa cosa è ridicola!” sbottò lei in modo buffo e levando a Hanna sia il foulard sia gli occhiali.

“No, ma sei impazzita? E se dovesse tornare e vedermi?” chiese Hanna con una spassosa paura.

Sarebbe la volta buona che ci parli faccia a faccia. E’ da una settimana che sai che in qualche modo tuo padre è coinvolto nella vicenda di Addison e Roger, così com’è coinvolta Kate. E veniamo ogni giorno qui sperando che lui esca di casa e che tu riesca a parlare con Kate, ma puntualmente ci sbatte la porta in faccia. Vogliamo trascorrere così anche la prossima settimana, o ti decidi a parlare con tuo padre?” Mona reagì in modo diretto e deciso, senza peli sulla lingua e rimproverando Hanna a dovere.

Hanna sbuffò, era pensierosa e preoccupata “Mona, io, io non vedo e sento mio padre da anni. Non ricordo nemmeno più la sua voce. Come posso avvicinarmi dopo tutti questi anni, solo per accusarlo di qualcosa?” chiese Hanna.

“Non devi accusarlo di nulla, ma solo chiedergli delle informazioni. Era lì al lago il giorno in cui Roger sparì. Litigò con tua madre. E sappiamo che Kate ha incontrato Addison la notte della sua scomparsa. Addison, sorellastra di Roger. E’ ovvio che le due cose siano collegate. Devi riuscire a superare questa tua paura, e parlargli. Magari, chissà, potete riuscire anche a ricominciare da zero e provare ad avere un rapporto decente, che dici?” continuò Mona sperando di dissuadere Hanna.

La bionda apparve pensierosa. “Io so solo che vorrei tornare nel mio splendido attico a New York, con Caleb che mi massaggia i piedi, e Regina che dorme nel box accanto a noi” rispose lei con voce malinconica.

“E invece sei qui con me a indagare su un omicidio. Non ti mancavano i vecchi tempi?” replicò Mona sarcastica.

“Per niente” precisò Hanna.

La giovane Marin-Rivers guardò intensamente Mona, mentre nella sua testa frullavano mille pensieri. “…Forse devo provare a parlare davvero con lui” continuò, iniziando a cedere.

“Vedila così: prima parli con lui e risolvi la faccenda, e prima potrai far tornare Caleb dall’Italia, e tornare insieme nel vostro bell’attico di New York” Mona fece leva sulla malinconia di Hanna per spingerla a parlare con suo padre, e a giudicare dal suo sguardo confuso, forse era riuscita nel suo intento.

In ospedale, un’affannata e impaurita Spencer, seguita da Emily e Aria, era appena entrata nell’edificio. Si precipitarono al bancone, dove stava un’infermiera. “Salve, s-senta mio padre è stato portato qui d’urgenza in ospedale, p-posso sapere a che piano si trova?” chiese la giovane Hastings, mentre aveva la voce rotta dal pianto.

“Sì, un momento solo” continuò l’infermiera, mentre firmava delle carte. Non alzò nemmeno lo sguardo.

“Tesoro” la voce calda, ma anche tanto spaventata di Veronica Hastings, arrivò da dietro.

Spencer si voltò e vide sua madre. Subito si precipitò da lei. “Mamma, ma che diavolo è successo?” chiese in preda all’agitazione.

Veronica sembrava piuttosto sbigottita, attonita, addolorata. “Spencer, forse è meglio che ci sediamo” continuò mamma Hastings, con tanto timore in corpo, e mentre Emily e Aria se ne stavano in disparte a osservare la scena.

Poco dopo, Spencer e Veronica erano sedute in sala d’attesa. Spencer era con le mani sulle gambe, come se fosse senza forze. Aveva appena ascoltato ciò che la madre doveva dirle. Era con lo sguardo perso nel vuoto.

“Un, un tumore al cervello? Ma…Ma com’è possibile?” Spencer tentava di farsi forza. Di dire qualcosa.

“A quanto pare è iniziato tutto quasi un anno fa. Iniziò ad avere i primi sintomi quando capì di avere difficoltà a dire qualcosa. Stava, stava bene, e poi a un certo punto dimenticava cosa stesse dicendo, e, e balbettava. Non riusciva più a parlare. Iniziò a fare delle visite e scoprì di questo tumore” rispose Veronica, anch’essa ancora incredula.

“Ma…Ma cosa, cioè, perché…Io” Spencer non riusciva a dire nulla, a esprimere un concetto sensato.

Il medico ha parlato di una neoplasia che interessa il cervello. Si riferisce alla crescita di una massa anomala di cellule all’interno dell’encefalo. Quando la crescita e la diffusione del tumore sono lente, diciamo che si parla di tumore al cervello di tipo benigno. Poi ci sono i casi in cui l’accrescimento e la formazione della massa anomala sono veloci, si parla di tumore al cervello di tipo maligno. O anche carcinoma, così ha detto il medico” spiegò Veronica, non tralasciando alcun dettaglio.

“E papà, papà ha…” Spencer continuava a balbettare.

“Ha un tumore di tipo maligno, sì” rispose Veronica in modo sofferente.

Gli occhi di Spencer si riempirono di lacrime. Lacrime che mai avrebbe voluto versare. “E lui, lui, cioè, non ci sono delle cure?” chiese, iniziando a esprimere frasi di senso compiuto.

“Iniziò la chemioterapia in pratica subito. L’ha portata avanti fino a poche settimane fa, quando, quando decise di interromperla lui stesso” continuò a spiegare Veronica.

“Ma perché? E’ impazzito?” ruggì Spencer, iniziando ad agitarsi.

Veronica subito le prese la mano “Tesoro, ha, ha smesso di farla perché aveva saputo che le metastasi erano oramai troppo estese nel cervello. C’è stato un periodo in cui sembrava che il tumore fosse sparito, ma fu un falso allarme. Era, era peggiorato. Aveva inondato il cervello. Il medico gli disse che poteva continuare la chemio, ma che gli avrebbe dato solo qualche altra settimana in più, ma che sarebbero state settimane difficili” spiegò Veronica.

“In che senso?” chiese Spencer.

“Perché avrebbero aumentato le dosi per la chemio, e questo lo avrebbe praticamente reso quasi un vegetale. Avrebbe vissuto un po’ di più, ma, senza poter parlare, senza potersi muovere. Sarebbe stato inutile” terminò Veronica.

Un silenzio assordante le pervase. Nessuna delle due diceva più niente. Spencer però si alzò di scatto. Sbarrò gli occhi. “Ecco cosa voleva dirmi quando è tornato” aggiunse, sconvolta più di prima. Veronica capì che effettivamente il ritorno di Peter era avvenuto poiché voleva dire addio alla figlia.

“Sì, lui, a quanto pare era tornato per salutarti, ma questa settimana è rimasto a letto perché era troppo stanco, e poi” Veronica fu subito interrotta dalla figlia.

“E poi io continuavo a ignorare le sue chiamate” rispose Spencer diretta. Le lacrime all’interno dei suoi occhi aumentarono. “…Sono stata presa così tanto dai miei problemi, da non, da non prestargli attenzione” continuò Spencer. La voce iniziava a essere singhiozzante.

Tesoro, sono, sono anch’io senza parole, davvero” aggiunse Veronica.

Spencer sbarrò nuovamente gli occhi. Le lacrime cominciarono oramai a rigarle il viso. “Mamma, ma…ma lui, lui ora morirà. Mamma. Mamma ti rendi conto? Lui, lui” Spencer scoppiò a piangere. Un pianto pieno di dolore. Il pianto di una figlia che si era appena resa conto che stava per perdere suo padre. Un padre che per quanto avesse sbagliato nella sua vita, l’aveva cresciuta. Era stata la sua roccia, il suo punto di riferimento. Un padre era sempre un padre, e Spencer questo lo aveva appena capito. E l’averlo capito troppo tardi, le stava lacerando l’anima in maniera orribile. Veronica si alzò di colpo e la strinse forte a se. La strinse talmente forte come a non volerla lasciare andare, e la giovane Hastings piangeva, piangeva così tanto da spezzarti il cuore.

Poco più tardi, al liceo di Rosewood, una Willa piuttosto pensierosa era seduta nel cortile della scuola mentre sgranocchiava delle patatine. Nei corridoi ci stava Alison, che si stava dirigendo nella sala docenti. Non appena vide Willa lì seduta, ebbe come un’illuminazione. Ricordò ciò che la signora Derringer aveva riferito a Emily. Ovvero che Willa e Addison non erano più amiche da un bel po’ di tempo. Quindi, presa dalla curiosità uscì nel cortile e si avvicinò a Willa.

“Ehi Willa, ciao!” esclamò Ali con fare amorevole e tranquillo.

“Signora Dilaurentis, salve” rispose Willa un po’ impacciata.

“Posso sedermi un attimo?” chiese Alison.

Willa aggrottò la fronte. Era un po’ confusa. “Sì, certo” aggiunse. Ali si sedette accanto e iniziò a fissarla pensierosa.

“Allora? Come stai? Come sta andando a scuola? Sto avendo talmente tanti impegni da non riuscire ad avere un attimo per te e le tue amiche, mi dispiace” continuò Alison dimostrandosi realmente dispiaciuta.

“Stiamo bene. Ci stiamo facendo forza a vicenda. E’ l’unica cosa che non ci fa crollare. La certezza di esserci l’una per l’altra” spiegò Willa.

“E le altre dove sono? Solitamente siete sempre in gruppo” chiese Alison guardandosi intorno.

Beh, Hadley è a casa con l’influenza, e Ava e Samantha sono a lezione di storia” rispose Willa.

“Sbaglio o vi ho visto spesso insieme a Claire nelle ultime settimane? Claire Varlac intendo” chiese Ali.

Willa iniziò a irrigidirsi. “Sì, diciamo che abbiamo provato a rimediare a ciò che Addison aveva lasciato qui a scuola” spiegò la giovane.

“Dava parecchio fastidio a Claire, non è vero?” domandò Alison.

“Beh, Addison quando ci si metteva, era spietata. Claire era una delle sue tante vittime” rispose Willa.

“Posso immaginare di cosa tu stia parlando. Un tempo ero come lei” rispose Ali, ripensando al passato.

“Lei però ha avuto la possibilità di crescere e di maturare, Addison purtroppo no” replicò Willa un po’ triste.

“Io ho avuto una seconda possibilità perché sono stata fortunata, ma anch’io ho rischiato di finire nello stesso posto in cui si trova adesso Addison. Purtroppo la vostra amica ha sbagliato a farsi troppi nemici. Pensava di poter gestire tutto, ma si sbagliava. Credimi, io lo so bene. Quando sei popolare, quando tutti a scuola sanno chi sei, vuoi farti temere. Vuoi farti temere perché con la paura riesci ad ottenere tutto, specie quando sei molto insicura, e tendi a mascherare questa insicurezza con la cattiveria. Io ero così. E anche Addison” spiegò Alison in modo saggio e adulto. Lei si era sempre rispecchiata in Addison. In lei vedeva quell’Alison DiLaurentis cinica e cattiva che comandava nei corridoi del liceo, in quei lontani anni di scuola. Quando le uniche preoccupazioni erano l’acne, e il piacere al ragazzo più figo della scuola.

Addi però non era così malvagia, o almeno, non sempre” rispose Willa, tentando di difendere il ricordo dell’amica scomparsa.

“Willa, stiamo parlando di una ragazza che ha tentato di accusare una sua professoressa di molestie sessuali. Ricordi cosa combinò a mia moglie Emily, vero? Cosa s’inventò?” ricordò Alison agitandosi un po’.

“Quelle erano semplici bravate. Non ha mai voluto fare sul serio” ribatté Willa.

Alison apparve piuttosto sorpresa. “Comunque è strano che tu la difenda così tanto, sai?” aggiunse furbamente.

Willa subito la guardò confusa “Che intende dire?” chiese.

“Beh, la madre di Addison disse che tu e lei non eravate più amiche da un bel po’ prima che lei sparisse” Alison sganciò la bomba lasciando Willa di sasso. La ragazza iniziò ad agitarsi notevolmente, e Alison lo notò.

“Io e Addison? Ma è assurdo. Ci siamo volute bene fino all’ultimo giorno!” la voce di Willa iniziò ad alzarsi, e lei iniziò a tremare dall’agitazione.

“Quindi la madre di Addison s’inventò tutto?” chiese Alison.

“Sì.Stiamo parlando di una donna che si è tolta la vita. Questo dovrebbe farle capire che non era tanto apposto con la testa, non crede?” Willa era oramai agitatissima. Si alzò di colpo e fece per andarsene, senza nemmeno salutare.

“Tu quella notte eri sveglia, o sbaglio?” Alison oramai la voleva braccare. E lo stava facendo egregiamente.

Willa si fermò di colpo e tornò a voltarsi. “Sì, e allora?” chiese.

“So che hai raccontato agli inquirenti che l’avevi sentita urlare, ma che quando sei andata a vedere era già sparita, giusto?” continuò Alison senza nessun freno.

“Sì, è andata esattamente così” rispose Willa.

“Eppure è strano. Sì, perché Addison è scomparsa nel tuo giardino, che non è tanto grande per quel che mi ricordo. Quindi mi chiedo come sia stato possibile che tu l’abbia sentita urlare, e che due secondi dopo era già sparita, e che tu non abbia visto niente” spiegò Alison senza un minimo tentennamento.

“Signora DiLaurentis, cosa sta cercando di insinuare? Devo andare dal preside forse?” Willa iniziò ad usare le minacce.

No, tranquilla. Non c’è bisogno del preside. Semplicemente, ho vissuto sulla mia pelle una notte come quella in cui Addison scomparve. E fidati, l’ultima persona che disse di aver sentito una sua amica urlare durante un pigiama party, aveva molte cose da nascondere” Alison fece questa frecciatina riferendosi a Spencer. Voleva far intendere quanto fosse palese che Willa, così come Spencer all’epoca della sua sparizione, stesse nascondendo qualcosa di grosso che rivelò solo dopo tanto tempo.

Willa e Alison rimasero a fissarsi senza dire nient’altro. Alison rimase con un ghigno disegnato in volto, mentre Willa rappresentava la paura. La campanella suonò. Gli studenti iniziarono ad uscire dalle loro classi. “D-Devo andare ora!” concluse Willa.

“Va pure, ne riparleremo terminò Ali quasi minacciandola, mentre Willa si perse tra la folla di studenti usciti dalle varie classi. Il cellulare di Alison squillò. Era Aria che le stava telefonando, e subito rispose. “Aria?”, e rimase ad ascoltare.

In ospedale, più tardi, in una stanza, Peter Hastings era steso nel suo letto, senza la parrucca. Stava lì accovacciato, calvo, mentre il suo sguardo era perso nel vuoto. Bussarono alla porta. “A-Avanti” esclamò con una voce tanto debole quanto oramai flebile. Come se non riuscisse ad avere più la forza di emettere un suono.

Spencer fece capolino dalla porta. “Ciao papà” esclamò la donna.

Il volto di Peter s’illuminò. Era come se di colpo tutta la tristezza di pochi secondi prima fosse sparita.

Peter non riuscì a parlare. Le fece cenno di entrare. La giovane Hastings si avvicinò al letto del padre, e si sedette alla sedia posta accanto a lui. Rimase per pochi secondi a fissarlo. Poi lentamente fece apparire un timido ed emozionato sorriso sul suo volto.

Peter sorrise anch’esso. La ragazza gli prese la mano e la strinse forte alla sua, avvicinandosela al petto. Lì dove stava il suo grande cuore.

“C-Ciao…t-tesoro” Peter trovò la forza di risponderle.

Spencer non riusciva più a guardarlo, era come a disagio. “Papà, io, mi dispiace se ti ho ignorato in questi giorni, se, se non ti ho ascoltato, se non ti ho dato retta. Dovevo prestare più attenzione a te, al tuo ritorno, e invece, invece ora, ora mi sento così in colpa” Spencer non riusciva a trattenere le lacrime. Nuovamente iniziarono a scendere a fiotti.

Peter le strinse la mano come a volerla spronare “Ehi…L-L’importante, o-ora, è…E’ che tu, t-tu sia, sia qui” all’uomo non importava altro se non questo. L’avere accanto a se sua figlia. Per il resto, tutti i giorni precedenti erano stati cancellati.

“Papà perché non ne hai parlato prima? Perché tenercelo nascosto?” chiese Spencer, non riuscendo ancora a capacitarsi della cosa.

“P-Perché…Perché n-non, non volevo, n-non volevo che lasciassi tutta, t-tutta la tua vita, p-per me. Non volevo, n-non volevo che mollassi tutto, per me. V-Volevo provare a guarire, ma, ma purtroppo, p-purtroppo non è andata come, come speravo” Peter pian piano riusciva a farsi forza e a parlare di più, a creare delle frasi sensate.

Spencer apparve un po’ furiosa “Ti odio per questo! Io ora c-come dovrei, come dovrei affrontare la cosa?” chiese lei sentendosi persa e disorientata.

“Come, come hai sempre affrontato tutto. Come una Hastings” poche le parole di Peter, ma essenziali, giuste, vere, che colpivano dritte il cuore sofferente della giovane Spencer. La ragazza rimase a fissarlo, in lacrime, e tenendogli stretta la mano.

Poco distanti da lì, nella sala d’attesa, Emily e Aria erano sedute con lo sguardo triste. Furono raggiunte da Alison, alquanto preoccupata. “Ehi, sono qui. Ma cosa diavolo è successo?” chiese arrivando di colpo lì da loro.

Emily si stranì e abbassò lo sguardo. Aria si alzò.

“Quello che ti ho detto al telefono. Il padre di Spencer aveva un tumore al cervello, e non ha mai detto nulla, ora, ora pare sia arrivato alla fine” spiegò Aria con voce triste.

Alison guardò poi la sua Emily, che stava ancora seduta e con lo sguardo basso.

“Oh mio dio. E Spencer come sta?” chiese Ali.

“Secondo te? Ora è dentro con il padre. La signora Hastings è a parlare con il medico. A quanto pare lo aveva tenuto nascosto a tutti. Lasciò anche la sua fidanzata, o quel che era, perché non voleva che scoprisse di questa malattia” continuò a raccontare Aria.

“Questa non ci voleva davvero. E’ assurdo” rispose Ali piuttosto sconvolta.

“Tu hai sentito Hanna per caso? Ho provato a chiamarle, ma c’è la segreteria” aggiunse Aria.

“No, per niente. Tra l’altro avevo dimenticato che oggi dimettevano Cassidy, e le avevo promesso di accompagnarla a casa” rispose Alison.

Emily in quel preciso momento alzò lo sguardo. Uno sguardo incredulo. “E’ incredibile” solo questo aggiunse.

“Ah, ora ti sei degnata di alzare lo sguardo?” ruggì Alison.

Emily si alzò e le andò di fronte. Erano faccia a faccia.

“Sì, perché a quanto pare non t’importa niente se non di accudire la povera Cassidy, vero?” chiese Emily, alquanto adirata.

“Ragazze, non è il luogo adatto questo, per favore” aggiunse Aria tentando di fare da paciere, ma con scarso successo.

“No, sei te che mi hai tagliato fuori e non vuoi parlare. E ora te la prendi solo perché voglio aiutare un’amica in difficoltà?” rispose Alison a tono.

“Un’amica che ha provato a minare il nostro rapporto, che ha detto di essere innamorata di te. Non dimenticarlo!” Emily iniziò ad alzare la voce.

“Em, non alzare la voce, per favore aggiunse Aria guardandosi intorno. Ali ed Emily non la calcolarono minimamente. Era come se fosse invisibile.

“Rimane comunque una mia cara amica che sta attraversando un brutto periodo! Non la lascerò sola. Potrai odiarmi per questo, e di certo l’unica cosa che vorrei in questo momento è che tu tornassi a casa da me e dalle nostre figlie, ma non chiedermi di abbandonare Cassidy, perché non lo farò. E’ un’amica. E le amiche non si abbandonano. Soprattutto non in momenti come questi” Alison aveva detto cose giuste e sensate, ed Emily, stando zitta, capì che in parte aveva ragione.  Rimasero a fissarsi per pochi secondi, e Aria ne approfittò per avvicinarsi di più alle due.

“Ok, facciamo così. Ali, tu va a prendere Cassidy e accompagnala tranquillamente a casa. Qui rimaniamo io ed Emily, e ti faremo sapere, e intanto provo a ricontattare Hanna. D’accordo?” spiegò Aria in modo efficiente e quieto.

Alison ed Emily non dissero nessun’altra parola. Rimasero lì zitte, e piuttosto incavolate. Una Spencer con gli occhi gonfi e stanchi, uscì dalla stanza di suo padre Peter. Le amiche la videro e subito la raggiunsero.

“Ehi, allora? Come sta tuo padre?” chiese Aria, mentre Alison era intenta ad abbracciare Spencer.

Non…Non riesce più nemmeno a parlare” spiegò lei sistemandosi i capelli arruffati.

“Spence, noi siamo qui, ok? Per qualsiasi cosa” aggiunse Emily con voce amorevole.

“No, no, ragazze. Andate a casa, davvero” rispose Spencer.

“Spence, non esiste che ti lasciamo qui da sola” rispose Aria con decisione.

“Non sono da sola, c-c’è la mamma con me, ed io, voi, dobbiamo provare a scoprire chi ci sta torturando, quindi, meglio dedicarsi a questo. Più di tanto qui non potete fare” rispose Spencer senza nemmeno riuscire a guardarle in faccia.

“Spence, ma siamo le tue amiche. Vogliamo starti accanto” continuò Emily.

“No!” Spencer sbottò di colpo sorprendendo le amiche, che rimasero attonite. La donna però si accorse di aver risposto in modo troppo adirato e tentò lentamente di ricomporsi “…Voglio dire, meglio di no. Davvero, ragazze andate. Aria, tu dovevi indagare sul parco estivo, giusto? Fallo. Lasciate Hanna indagare su suo padre, e voi due…” Spencer guardò Ali ed Emily. “…Voi due cercate di risolvere qualsiasi cosa stia succedendo, perché odio vedervi in lite, chiaro?” finì.

Alison ed Emily si guardarono per un secondo. Un accenno di pace comparve nei loro occhi.

Nel frattempo, a Philadelphia, Tom Marin era seduto a un bar, con il suo caffè latte di fronte, e stava al telefono. “Sì, ma non penso che gli investitori vogliano prendere una decisione proprio oggi, non credi?” l’uomo parlava di affari di lavoro con qualche suo collega.

In lontananza, Mona stava spingendo Hanna ad avvicinarsi. La spinse verso il bar, e dopodiché lei si nascose in un vicoletto. Hanna fece un respiro profondo. Le mani le sudavano. Il cuore le batteva all’impazzata. Dopo anni stava rivedendo suo padre.

“…Sì, lo so, infatti, ho parlato con il loro manager ma a quanto pare è già tutto saltato” continuava Tom Marin al telefono. Hanna era oramai vicina, ad un passo da lui. Era arrivato il momento di farsi coraggio. Quindi arrivò al tavolo, e senza dire una parola, si sedette alla sedia vuota di fronte a lui. Non appena Tom la vide, rimase impietrito. Scombussolato. Confuso. Una miriade di emozioni gli ronzavano in testa. “…Ehm, Daniel, ti richiamo dopo. Ora ho da fare…Ok, ciao” Tom concluse in fretta e mise giù.

I due rimasero a fissarsi per pochi secondi. Hanna però era pronta a non cedere. A rimanere forte e a fargli tutte le domande che doveva fargli. “Ciao papà” esclamò con decisione e senza tentennamenti. Doveva per forza apparire così.

Nell’appartamento di Cassidy, quest’ultima si era appena rannicchiata sul divano, mentre Alison stava posando le borse con i suoi vestiti lì sul tavolo.

“Non posso crederci di essere di nuovo a casa” aggiunse Cassidy quasi incredula.

“Come ti senti? Bene?” chiese Ali preoccupata.

“Sì, un po’ debole, ma sto bene” rispose Cassidy.

Alison si sedette accanto e la guardò dritta negli occhi. Senza dire la minima parola Cassidy si sentì inevitabilmente a disagio. “…Perché mi fissi in questo modo?” chiese poi Cassidy.

“Perché cerco ancora oggi di capire come hai potuto commettere un gesto come quello” rispose Alison alquanto severa.

Cassidy abbassò lo sguardo imbarazzata. “Ali, è…E’ difficile parlarne” rispose la donna.

“Ma provaci. E’ tutta la settimana che tenti di evitare l’argomento. Sono probabilmente l’unica amica che hai. Parla con me” rispose Ali sperando di farla parlare un po’ di più.

“Appunto. Hai detto bene. Tu, tu sei la mia unica amica. Da quando sono arrivata a Rosewood, non sono riuscita a legare con nessuno oltre a te. A New York ero sempre sola, con i miei genitori non ci parliamo più, e ci sentiamo solamente quando c’è bisogno di spillarmi soldi. E mi sono resa conto che, che sono da sola perché, perché sono incapace a mantenere i rapporti” rispose Cassidy.

“Ma non dire così” ribatté Ali.

“No Ali, è così. Guarda quello che ho combinato con te ed Emily. Per colpa di un sentimento non ricambiato, ho, ho agito in modo meschino, e ho tentato di rovinare qualcosa di bello, per paura di perderti. Devo, devo provare a cambiare se voglio ricominciare a vivere” Cassidy sembrava ben consapevole degli sbagli fatti.

Ali le prese la mano. “Esatto. Devi provare a scacciare via la paura di non piacere alla gente. Io, io ho, ho detto parole forti quella sera, ma solo perché ero ferita. Ero delusa da te e volevo farti male, e ho sbagliato. E mi sento così in colpa” continuò Ali.

“Non devi sentirti in colpa. Mi sono meritata tutte quelle parole. Sono stata troppo debole io. Ma ora, ora ho capito. Ho capito che non c’è bisogno di rovinare una splendida amicizia come la nostra. Un’amicizia che rimarrà tale, promesso precisò Cassidy piuttosto sincera.

Ali le prese anche l’altra mano. “Io ti voglio bene Cass, davvero. Mi dispiace tanto non poter ricambiare i tuoi sentimenti, ma, questi giorni, questi giorni lontani da Emily, mi hanno fatto capire tanto. Mi hanno fatto capire che amo mia moglie, e che la amerò sempre. Ma ciò non significa che tu non possa avere un posto nella mia vita. Sei importante per me. Dico sul serio. E prima o poi troverai la persona che ti amerà per ciò che sei” continuò Alison con una dolcezza incredibile. Lei teneva tanto a Cassidy, nonostante tutto.

“Tu dici che può succedere? Di incontrare la persona giusta?” chiese Cassidy con una tenerezza incredibile.

“Ma certo! Ma prima di trovare qualcuno che ti ami, devi riuscire ad amare di più te stessa. Solo così potrai aprirti verso l’altra gente. Solo così potrai davvero lasciare che qualcuno ti ami” spiegò Alison con saggezza.

Cassidy le sorrise. “Grazie Ali. Ti voglio bene” concluse.

“Ti voglio bene anch’io” continuò Alison. “…Ma ora devo scappare! Le bambine sono a casa con mio padre, e vorrei, vorrei provare a parlare con Emily. Prima c’è stata una lite furibonda” spiegò Ali alzandosi e prendendo la borsa.

“Non le è andato giù il fatto che dovevi riaccompagnarmi a casa, vero?” chiese Cassidy, intuendo il motivo del litigio.

“Già. Vediamo se riesco a risolvere qualcosa. Inoltre, Spencer dice che non ci vuole in ospedale con lei, ma so che non è così. La conosco bene” spiegò Ali pensierosa.

“Io, io non conosco Spencer, però, però credo che chiunque abbia bisogno delle sue amiche in momenti del genere. Anche se lei vi respinge, voi, voi statele accanto. Perché avrà bisogno di voi nei prossimi giorni. Ora più che mai” terminò Cassidy dicendo effettivamente cose giuste.

Intanto, Hanna e suo padre Tom erano ancora seduti a quel bar a Philadelphia.

“Hanna! Che sorpresa vederti! Come stai?” aggiunse l’uomo, tentando di apparire tranquillo.

“Papà, evitiamo i convenevoli. Non ci parliamo da anni, quindi non penso che t’importi di come sto” rispose lei alquanto stizzita.

“Hanna, per favore. Non cominciare con le tue solite scenate melodrammatiche” replicò l’uomo scocciato.

Hanna apparve incredula. “Le mie scenate melodrammatiche? Ho un padre che posso definire tale solo per lo stesso cognome che portiamo, che ha preferito una figlia acquisita, tra l’altro stronza come poche, al sangue del suo sangue, e ti permetti anche di farmi le ramanzine?” chiese lei iniziando ad adirarsi ma rimanendo sul punto.

“Hanna, abbiamo, abbiamo tentato di continuare ad avere un rapporto, ma, ma evidentemente non riuscivamo più a trovare un punto d’incontro. Tu non stavi più bene con me, e abbiamo smesso di vederci” spiegò l’uomo.

“Tu però non ti sei di certo affrettato a richiamarmi” rispose Hanna a tono.

Lo so. E ho sbagliato pure io, lo ammetto. Ma non puoi riversare tutte le colpe su di me. L’allontanamento c’è stato da parte di entrambi. E questo tu lo sai” specificò Tom.

“Papà, per favore. Non peggiorare la situazione” rispose lei.

I due rimasero per un attimo zitti, a fissarsi. L’uomo accennò un timido sorriso.

“Ho saputo che ti sei sposata, che hai una figlia. E poi, beh, impossibile non notare i cartelloni pubblicitari della tua casa di moda. Sono molto fiero di te, nonostante tutto aggiunse l’uomo apparendo sorprendentemente sincero.

“T’importa davvero o cerchi solo di comprarmi?” chiese lei continuando a rimanere sulla difensiva.

“Hanna, mi spieghi per quale motivo sei qui allora? Solo per attaccarmi? Non c’è nessun altro motivo?” chiese lui tentando di capire.

“Un motivo c’è” rispose lei, e tirò fuori dalla tasca un trafiletto di giornale che riguardava il ritrovamento dei resti di Roger Maxfields. Lo mise proprio di fronte all’uomo, sotto i suoi occhi. Tom lentamente prese il trafiletto in mano. Non appena notò la foto di Roger sul giornale, un brivido gli pervase tutto il corpo. Ebbe un nodo alla gola come se stesse per soffocare.

“N-Non capisco” rispose lui sperando di non far trasparire l’agitazione.

“Penso tu sappia benissimo di cosa voglio parlare” specificò Hanna. “…E penso che anche Kate dovrebbe dirmi alcune cosine interessanti. Non credi?” chiese ancora con sicurezza.

“Hanna, per favore. Lascia perdere” rispose lui sperando di chiudere in fretta il discorso.

“Io non lascio perdere un bel niente. Noi due ora andiamo a casa e tiriamo fuori dal letto la tua figliastra stronza e faremo due chiacchiere” precisò Hanna, riuscendo a tirare fuori una forza invidiabile. Tom si sentì quasi braccato.

Nel granaio di casa Hastings, Emily era appena rientrata mentre finiva di parlare al telefono con Aria. “Aria, mi raccomando, richiama appena scopri qualcosa. Sempre se scopri qualcosa. Io ora faccio una doccia e dopo vado a-”  Emily non finì il discorso poiché trovò Cassidy seduta sul divano. “…vado a vedere le bambine. Ci sentiamo dopo” concluse la giovane Fields-DiLaurentis, non distogliendo lo sguardo da Cassidy.

Le due quindi rimasero faccia a faccia dopo che Emily riagganciò. “Ciao Emily” esclamò Cassidy alquanto ansiosa.

“Tu che ci fai qui?” chiese Emily un po’ scontrosa.

“A-Alison mi aveva detto che stavi dormendo qui in questi giorni, q-quindi, ho trovato l’indirizzo sul telefono, e sono venuta qua, aspettando che tornassi” specificò Cassidy.

“E’ un po’ inquietante come cosa, non trovi?” rispose Emily gettando la borsa sulla poltrona e dirigendosi alla cucina, dove tirò fuori una bottiglia di vino dalla credenza, e un bicchiere in cui iniziò a versarlo. Cassidy la guardava senza batter ciglio. “…Ne vuoi anche tu?” chiese poi all’indirizzo della giovane.

“No, grazie. Non bevo vino” specificò Cassidy.

Emily se lo versò e bevve quel bicchiere in un secondo netto. Poi posò il bicchiere e tornò con lo sguardo su Cassidy. “Come mai sei qui? Devi rivelarmi qualche altro scoop inerente a te e mia moglie?” stuzzicò la giovane.

Cassidy incassò la frecciatina e sorrise. “Mi merito questo trattamento” rispose lei senza far polemica.

Emily rimase lì in piedi a fissarla. “Cassidy, perché sei qui? Davvero chiese poi Emily, un po’ più seria.

Cassidy la guardò nuovamente e intensamente. “Sono qui per dirti, per dirti che mi dispiace” Emily apparve sbigottita, senza parole. Non poteva credere che le stesse realmente chiedendo scusa. “…Mi dispiace per quello che ho fatto. Per aver tentato di minare il tuo matrimonio con Alison. Ho giocato sporco, ho cercato di dividervi. Io, io non dovevo farlo. Purtroppo, purtroppo quando ho paura di perdere qualcuno, tendo a sbagliare ogni cosa. Quindi, mi scuso. Mi dispiace davvero tanto che ora vi troviate in questa situazione per colpa mia” continuò Cassidy.

Emily iniziò lentamente ad ammorbidirsi, e si sedette accanto a lei. “Non è colpa tua. La situazione con te ci ha solamente aperto di più gli occhi. Ci eravamo allontanate già da qualche tempo. Così prese dal lavoro e dal crescere le bambine, che avevamo dimenticato cosa significasse amarci. Io continuo a prendermela con te, ma è solo perché tu hai fatto uscire fuori tutti i problemi che io e lei avevamo” spiegò Emily, mentre Cassidy la ascoltava senza perdersi una virgola. “…Ok, e anche perché hai giocato un po’ sporco, questo è vero” continuò Emily tentando di smorzare la tensione usando un po’ d’ironia.

Cassidy accennò un sorriso. “Dici che potremmo riuscire a ricominciare da zero? A provare ad avere un rapporto, quasi civile?” chiese Cassidy speranzosa.

“Diciamo che, per ora posso, posso provare a non sbuffare quando ti vedo nei corridoi della scuola” rispose Emily sorridendole. Sembrava essere tornato il sereno, almeno tra loro due.

Comunque Emily, parla con Alison. Provate a chiarirvi. Se c’è una cosa che ho imparato da questa situazione, è che, è che il vostro amore è più forte di qualsiasi altra cosa. Quindi, cercate di risolvere le vostre divergenze. Ok?” rispose Cassidy.

“Ci penserò su” rispose Emily alquanto pensierosa.

Cassidy quindi fece per alzarsi. “Ora vado. Ho praticamente una casa da riordinare” specificò lei.

“Cassidy, prima che tu vada, posso chiederti una cosa?” chiese Emily.

“Sì certo” rispose Cassidy.

“Perché quel gesto? Perché lo hai fatto?” la domanda di Emily fu diretta, schietta, sincera.

Cassidy non si scompose. “Perché quando sei completamente sola, pensi che l’unico modo per smettere di soffrire sia, sia mettere fino a ogni cosa. Per evitare di stare ancora male, per non sentire più quel senso di vuoto e di solitudine che ti logora ogni giorno” raccontò la donna, tentando di farsi forza.

“E ora, ora che stai bene? Come la affronterai?” chiese Emily.

“Ora che la vita mi ha dato una seconda possibilità, ho capito che non sono sola. Ho Alison. Ho un’amica che farebbe di tutto per me. E posso riuscire ad andare avanti grazie a lei, e grazie a me stessa. Devo solo pensare che, che andrà meglio” spiegò la donna, risoluta e decisa.

Emily le regalò un ultimo sorriso, e la lasciò andare.

Alla sede del giornale ‘Rosewood Obersever’, Aria stava entrando negli archivi insieme con una dolce signora che le stava facendo strada.

“Sai Aria, ho letto tutto il tuo libro e l’ho divorato! L’ho consigliato anche alle mie amiche” raccontava la signora con dolcezza, mentre si addentravano tra l’ammasso di giornali vecchi di decenni.

“Sono contenta signora Pitts” rispose Aria.

“Se penso che tu e le tue amiche abbiate vissuto davvero quell’inferno, mi si gela il sangue. Io vi ho visto in pratica crescere tra le strade di questa città” rispose la donna.

“Già, però vede, siamo qui. E siamo riuscite a sopravvivere. E’ questo l’importante. Piuttosto, qui ci sono tutti i giornali che partono da quale anno?” chiese Aria incuriosita.

“Partono dal 1996 fino allo scorso anno, il 2019. Ma come mai sei così interessata ai vecchi giornali?” chiese la donna.

Aria pensò subito a una scusa “P-Per, beh, sto preparando un nuovo libro sulla storia di Rosewood, quindi vogliamo informarmi su tutto ciò che è accaduto nella nostra città in tutti questi anni” rispose Aria, con la sua capacità di raccontare bugie.

“Ho capito cara. Beh, fammi sapere quando lo pubblicherai, perché sarà sicuramente magnifico come il precedente. Se hai bisogno di me, sono nell’ufficio in fondo al corridoio. Buona ricerca” concluse la donna.

“Grazie!” rispose Aria, a tratti disperata, notando la notevole quantità di vecchi giornali accatastati su quegli scaffali polverosi. La ragazza quindi tirò fuori il cellulare, trovò il numero di Ezra, e gli telefonò.

“Pronto?” si sentì la voce del giovane Fitz.

“Ezra, ehi, senti, dovresti venire qua a darmi una mano” terminò Aria, capendo di non potercela fare da sola.

In ospedale, nel frattempo, Spencer era nuovamente seduta nella stanza del padre, ed era rannicchiata con la testa su un angolo del letto, e stava dormendo. Peter tentò con fatica di svegliarla.

“S-Spencer…Ehi” sussurrò lui con voce sempre più debole. La ragazza lentamente aprì gli occhi e tentò di ricomporsi.

Ehi, ma quanto ho dormito?” chiese lei un po’ frastornata.

“Non molto. Ma era…Era bello g-guardarti dormire. Come…C-Come quando, quando, eri, eri piccola” rispose lui piuttosto affaticato.

“Papà, non affaticarti, per favore” rispose lei, prendendogli la mano.

In quel momento, Veronica Hastings fece capolino dalla porta. “Disturbo?” chiese la donna sperando di non essere di troppo.

“Mamma ehi, non so, papà?” chiese Spencer sperando di non creare un disagio tra i due.

“No, a-assolutamente. Anzi, S-Spencer, p-puoi…Puoi lasciarci un attimo d-da da soli?” chiese Peter a fatica.

Spencer apparve alquanto perplessa. Si lanciò un’occhiata di preoccupazione con la madre, e si alzò. “Sì certo, vado, vado a prendere un caffè intanto” concluse la donna, lasciando soli i suoi genitori.

Un imbarazzante silenzio riecheggiava nella stanza. Un silenzio fatto di bugie, tradimenti, sofferenze. Tutto ciò che aveva sempre contraddistinto il rapporto tra Veronica e Peter. Mamma Hastings si sedette dove prima stava Spencer.

“Sai, c-credevo…C-Credevo che saresti, s-saresti stata tu, a mandarmi sotto terra” esclamò Peter con sarcasmo, e spezzando quel palese imbarazzo.

Veronica scoppiò a ridere. Una risata mista a commozione. I suoi occhi erano lucidi.

“Mi vedi così terribile?” chiese lei.

“No, n-non terribile. Ma, f-forte. P-Più forte di qualsiasi, q-qualsiasi persona abbia, abbia mai incontrato” rispose Peter convinto delle sue parole.

“E’ brutto essere arrivati a questo punto, non credi?” chiese Veronica malinconica.

“Già…E la, l-la colpa è solo mia. Tu…T-Tu devi smetterla di, di sentirti in colpa” aggiunse Peter.

“Perché dovrei sentirmi in colpa?” chiese Veronica un po’ perplessa.

P-Per, per Melissa. Io so, s-so che ti senti in colpa p-per, per non aver capito prima, per, p-per non aver capito prima c-cosa, cosa stesse succedendo. Ma, ma la colpa, la colpa è mia. Io ho portato Melissa in casa nostra. Io ho sempre mentito. E’ colpa mia n-non tua. E voglio che tu la smetta di d-di attribuirti colpe che non hai” Peter stava facendo ammenda nel modo più straziante e reale possibile.

Le lacrime iniziarono a scendere sul viso di Veronica. La donna prese la mano del marito. “M-Mi dispiace che siamo arrivati a questo punto” rispose lei tentando di mostrarsi forte, ma senza successo.

Peter, con tutta la forza rimasta in corpo, strinse di più la mano della donna. “Sappi che, c-che nonostante tutte le bugie, t-tutti gli inganni, t-tu, tu e Spencer, siete, siete le persone più importanti della mia vita. E, e v-vi amerò sempre. In, in qualsiasi posto andrò, v-veglierò su di voi. Tenterò di d-di proteggervi c-come, come ho sempre cercato di, di fare” la voce di Peter appariva ancora più stanca. Oramai era al limite. Non aveva più forze. La sua vita stava lentamente scivolando via.

Veronica piangeva, non riusciva più a parlare. “…A-Ascolta, g-guarda nella mia giacca, l-lì sul tavolo. N-Nella tasca s-sinistra” chiese Peter, provando ad indicare la sua giacca grigia sul tavolo di fronte il letto. Veronica si alzò e andò a frugare nella tasca, trovandoci dentro una lettera. Una lettera chiusa in una busta con su scritto “Per mia figlia Spencer”. Veronica capì che era una straziante lettera d’addio. “…Q-Quando, q-quando io non ci sarò più, p-potresti d-darla a Spencer?” chiese lui.

Veronica mise la lettera nella tasca posteriore del suo pantalone nero e tornò a sedersi accanto a lui. “Certo che lo farò” finì la donna, regalando al suo ex marito un altro dolce sorriso.

Contemporaneamente, nell’appartamento di Tom Marin, Hanna, Tom, Mona e anche Kate, erano seduti tutti insieme nel soggiorno. Stavano tutti zitti. Kate era con lo sguardo fisso sul pavimento. Tom scrutava tutti i presenti. Mona sembrava l’unica un po’ scocciata.

“Qualcuno vuol parlare o no?” intervenne la Vanderwaal spezzando il silenzio.

Kate alzò lo sguardo “Qualcuno mi spiega cosa ci fa lei qui?” ruggì la bionda.

“E’ con me. Piuttosto, sbaglio o avete qualcosa da raccontare tu e papà?” intervenne Hanna con decisione.

Kate guardò il padre, come a cercare il suo aiuto. “…E non guardare lui sperando in qualche aiuto. Dovete dirci la verità. Con le buone o con le cattive” spiegò Hanna alquanto irritata.

“Ma mi spieghi cosa t’importa di questa storia? Oramai appartiene al passato” aggiunse Tom.

“M’importa perché c’è qualcuno che sta tentando di rovinare la mia vita, e quella delle mie amiche” rispose Hanna senza controllo.

“Hanna” sussurrò Mona, preoccupata del fatto che avesse detto troppo.

“No, Mona! E’ inutile stare zitti. C’è qualcuno che ci sta perseguitando dal giorno in cui hanno ritrovato sia Roger, e sia il corpo di Addison Derringer. Abbiamo scoperto che Addison e Roger erano fratello e sorella. La madre di Addison è stata sicuramente uccisa da qualcuno. Lo stesso qualcuno che ci sta torturando, e che avrà ucciso prima Roger e poi Addison. E Addison odiava me e le mie amiche per qualche assurdo motivo. E ora scopro non solo che Kate ha incontrato Addison la notte in cui scomparve, ma anche che mio padre era presente il giorno in cui Roger scomparve. Quindi o parlate alla svelta, o giuro su dio che vi faccio parlare a suon di schiaffi” Hanna era come un treno impazzito. Non aveva nemmeno preso fiato da una frase all’altra. Sembrava quasi uno scioglilingua.

Tom, Kate e Mona rimasero alquanto esterrefatti. “Mammina è orgogliosa” sussurrò Mona sorridendo soddisfatta.

Kate fece un lungo respiro. Era pronta a parlare. “Ok, è vero. Ho incontrato Addison Derringer quella notte. Ma ti giuro che non avevo la minima idea di chi fosse, fino a quella sera. Mi aveva contattato, perché, perché voleva qualcosa da me” iniziò a raccontare la giovane Randall.ù

Il racconto di Kate ci catapultò in un flashback della notte in cui Addison scomparve. Addison era appena andata dietro il granaio di casa di Willa, dove Kate la stava aspettando. La bionda era piuttosto infreddolita e impaurita.

“Scusami, dovevo occuparmi di uno sfigato” aggiunse Addison, riferendosi a Jason.

Sentirono poi dei rumori provenienti dal bosco. Era Jason che si stava allontanando. Addison si guardò intorno un po’ preoccupata, ma poi tornò con lo sguardo su Kate. “…Allora? Dove eravamo rimasti?” chiese Addison.

“Alle mie foto a quella festa. Hai promesso di cancellarle se io ti avessi dato la cifra che volevi, e l’ho portata” rispose Kate parecchio impaurita, e mostrandole un’ingente somma di denaro nascosta in borsa.

Addison scoppiò a ridere. “Caspita, ci hai davvero creduto che io volessi dei soldi da te?” chiese la ragazza.

“Ma allora cosa vuoi? Mi contatti dicendomi che hai delle mie foto compromettenti, e mi chiedi di incontrarti e di portare del denaro se non volevo che venissero divulgate. Ora mi dici che non è così? A che gioco stai giocando ragazzina?” Kate iniziò a inalberarsi.

Addison le si avvicinò di più con sguardo minaccioso, e Kate, guardandosi intorno e vedendo una mazza da baseball lì su una sedia sdraio, la prese di colpo e la contrappose tra lei e Addison. Prendendo la mazza, fece cadere una chiave a croce di medie dimensioni, che era sopra la mazza. La croce cadde a terra.

“Giuro su Dio che ti faccio male se non la pianti e non mi dici cosa vuoi davvero” spiegò Kate con fare aggressivo.

Addison sembrava non avere paura. “Credi davvero che abbia paura di te? Sei solo una ragazza spaventata e troppo attaccata alla sua immagine di perfettina per tentare di farmi paura” rispose Addison decisa e sicura di se.

Kate prese coraggio, e di colpo la colpì alle gambe con la mazza da baseball. Addison subito lanciò un urlo e si accasciò a terra. Kate continuava a rimanere con la mazza in alto, come a volersi difendere, e aveva il respiro affannato.

“Ma sei impazzita?” ruggì Addison alzandosi un po’ a fatica.

“Tu non sai con chi hai a che fare, piccola ragazzina insolente. Tu sei solo una bambina che gioca a fare l’adulta” replicò Kate senza cedere alle parole della bulletta.

Addison per un attimo apparve piuttosto spaventata. Non aveva più la sicurezza che mostrava prima. Kate quindi gettò la mazza a terra, e fece per andarsene.

“E va bene, ti dirò che cosa voglio!” ruggì poi la giovane Derringer, capendo di non poter giocare fin troppo con una come Kate. La donna si fermò, sorrise soddisfatta, e si voltò verso Addison.

“Ti ascolto” rispose Kate.

“Informazioni” ribatté Addison.

“Informazioni? Che vuoi dire?” chiese Kate confusa.

“Ho bisogno d’informazioni su tuo padre, o il tuo patrigno. Tom Marin, giusto?” chiese Addison.

“Informazioni su Tom? E cosa t’interessa di lui?” chiese Kate.

“Questi non sono affari che ti riguardano. E ricordati che le tue foto in cui stai nuda con tre ragazzi e un’altra ragazza a divertirvi in una camera da letto completamente sbronzi, le ho ancora io. Basta un click e le posso postare su tutto il web. Quindi, decidi te cosa fare” ribatté Addison, dopo aver ritrovato la sua caparbietà.

Kate rimase a fissarla pensierosa.

“Non potevo permetterle che quelle foto finissero online. Ero, ero all’apice della mia carriera, e mi avrebbero rovinato. Così le dissi tutto“ aggiunse Kate, tornati nel presente.

“Tutto cosa?” chiese Hanna.

“Chi ero, dove vivevo, chi era la mia famiglia. Voleva sapere ogni cosa di me” intervenne Tom.

“Quindi dissi tutto quello che voleva sapere, e lei cancellò le foto. Poi me ne andai via, ma prima…” Kate continuava a raccontare.

“Sei stata molto efficiente, e le foto sono cancellate, vedi?” spiegò Addison, tornati di nuovo con la mente a quella notte, sul retro del granaio di casa di Willa. Addison stava mostrando a Kate il telefono, per provarle che non c’erano più foto.

“Non vuoi dirmi quindi perché volevi informazioni su mio padre?” chiese Kate.

Addison alzò lo sguardo dal telefono. “Buonanotte Kate” concluse, facendole capire di voler troncare lì il discorso. Kate quindi si addentrò nei boschi, intenta ad andar via, ma fu attirata dai passi di qualcuno che stava raggiungendo Addison, e si voltò. Era Willa, ancora un po’ assonnata che usciva dal granaio.

“Addi, che diavolo fai qui fuori? Sta per piovere” esclamò Willa sgranando gli occhi.

Addison non si aspettava di vederla sveglia. Si agitò. “W-Willa, che ci fai te sveglia? Che fai mi controlli?” chiese tentando di tornare al granaio.

“Eri con lei, non è vero?” chiese Willa facendo fermare di colpo Addison.

“Con lei? Di chi parli?” chiese Addison, voltandosi verso Willa.

“La tua nuova migliore amica con cui passi più tempo che con noi altre” specificò Willa.

“Quindi è per questo che hai smesso di essermi amica? Perché sei gelosa? Non è che ti sei innamorata di me?” chiese Addison ironica.

“No, è che da quando conosci questa nuova e misteriosa amica, sei cambiata. Sei sempre sovrappensiero, sempre a sussurrare al telefono di nascosto. Oramai noi non esistiamo più. O esistiamo solo se dobbiamo passarti qualche compito a scuola. Non capisco nemmeno il senso di questo pigiama party, poiché oramai il nostro rapporto si è distrutto nel momento esatto in cui hai conosciuto quella lì. Le altre saranno pure delle sciocche a non notare quanto tu sia cambiata, ma io no” Willa era schietta e diretta. Non aveva mai avuto paura di Addison, e questo ne era la prova.

“Meglio tornare a dormire, è tardi, e non vorrai farti beccare da un bel fulmine” terminò Addison, sviando palesemente il discorso, e dirigendosi verso l’entrata del granaio.

“Addi, aspetta, non abbiamo finito!” ruggì Willa decisa a continuare la conversazione, e seguì Addison, mentre Kate oramai decise di allontanarsi in fretta.

“Quella è stata l’unica volta che incontrai Addison. Poche settimane prima di quella sera, mi avvicinò lei. Mi scrisse su instagram, e mi disse che aveva delle mie foto. Foto di una festa in cui, in cui non avevo dato il meglio di me. Non m’importava chi lei fosse. Volevo solo che quelle foto sparissero. Quindi ci demmo appuntamento quella notte, a Rosewood, nel giardino della sua amica. Ma vi giuro che non c’entro niente con la sua morte. Quando me ne sono andata, era ancora viva” specificò Kate tornati nel presente, e apparendo piuttosto sincera.

“E chi era questa persona di cui parlavano Addison e la sua amica? Tu lo sai?” chiese Hanna alla sorellastra.

“No, mi dispiace. Ma era qualcuno che aveva portato Addison a dividersi molto dal suo gruppo. Era evidente” spiegò Kate.

“Ci stiamo dimenticando un dettaglio importante. Perché voleva informazioni su di lei, signor Marin?” intervenne Mona all’indirizzo di Tom, che fino a quel momento era rimasto zitto e ad ascoltare.

“Non lo so. Giuro che non ne ho idea. Non conoscevo quella ragazzina” spiegò Tom.

“Però conoscevi Roger. O almeno, sapevi cosa gli era successo, giusto?” chiese Hanna.

Toma fissò la figlia senza accennare ad altro. La situazione di tensione fu interrotta dal suono del campanello. Qualcuno suonò insistentemente.

“Ma chi diavolo è? La mamma è fuori città per lavoro” chiese Kate preoccupata.

“Polizia di Rosewood! Aprite subito! Cerchiamo Tom Marin! Apra la porta!” la voce di un agente della polizia arrivò da fuori.

Tutti si pietrificarono dalla paura. Come mai la polizia era lì? Nessuno riusciva a capirlo, ma Tom sembrava il più terrorizzato tra tutti i presenti.

Negli archivi del ‘Rosewood Observer’, intanto, Ezra e Aria erano seduti al tavolo e praticamente inondati e circondati da tonnellate e tonnellate di giornali vecchi di anni. Li stavano controllando tutti. Uno per uno.

“Non riusciremo mai a trovare qualcosa. Sono troppi. E a Rosewod è successo davvero di tutto” intervenne Ezra un po’ disperato.

“Io non riesco nemmeno a concentrarmi. Continuo a pensare a Spencer. Vorrei essere lì con lei” esclamò la donna visibilmente preoccupata.

“E allora va da lei. Qui posso finire io. Tanto Byron è con tua madre, puoi stare con Spencer tutto il tempo che vuoi” spiegò Ezra.

“No, no, prima, prima cerchiamo di trovare qualcosa” rispose Aria, ricominciando la ricerca.

“Piuttosto, hai, hai deciso cosa fare riguardo al tour? Philip continua a chiamare” chiese Ezra.

“Non lo so. Ho ignorato tipo un centinaio di sue chiamate, ma visto tutto quello che sta succedendo qui, non posso proprio pensare al tour” rispose Aria tenendo il volto basso e continuando a cercare. Era evidente che non volesse affrontare quel discorso.

“Quindi intendi lasciare?” chiese Ezra perplesso.

Aria sbottò “Ezra, non lo so! So solo che ho una mia amica in ospedale, che ha bisogno di me! So che c’è un pazzo che sta cercando di renderci la vita, un inferno, che ha tentato di uccidere due bambine innocenti, e anche Jason. E chissà cosa potrebbe fare a te o a nostro figlio!” Aria era crollata. Era totalmente crollata. La voce era spezzata dal pianto. Gli occhi lucidi.

Ezra subito la prese e la strinse forte a se. “Ehi, ehi sta calma. Risolveremo questa faccenda. E non permetterò a nessuno di avvicinarsi a nostro figlio, te lo prometto. Troveremo questo pazzo” rispose Ezra con fare premuroso e apprensivo.

“E’ che, è che ho tanto paura, Ezra. Io, io sto cercando di tenere duro per tutte le altre, ma, ma sto crollando. Era tutto perfetto, e adesso, adesso siamo ripiombate in questo inferno, e non so nemmeno cosa sto facendo. So solo che ho paura. Ho sempre paura aggiunse la donna, gettando via la sua maschera da dura e forte. Aveva l’affanno, parlava con difficoltà.

Ezra le prese dolcemente il viso tra le mani. “Aria, ascolta. Tu sei la persona più forte e in gamba che abbia mai conosciuto. Non ti sei mai arresa di fronte a nulla. Sei riuscita a superare cose che nessun altro essere umano riuscirebbe a superare. Ed è per questo che ti amo. Ti amo perché non ti fai buttare giù da niente e nessuno, mai. E perché sei buona. Sei buona perché nonostante tu sappia che dovete risolvere questo casino, preferiresti stare accanto a Spencer, piuttosto che cercare tra questi scaffali polverosi. Quindi tu usa tutte queste tue splendide qualità per andare avanti, e per superare tutto questo. Avete superato così tante cose assurde. Supererete anche questa. Ed io starò qui. Non ti lascerò per nessuna ragione al mondo. Non lo farò mai Ezra era riuscito a trovare le parole giuste per la sua donna. Per la donna che amava più di ogni altra cosa al mondo. E Aria si stava pian piano riprendendo.

La ragazza si strinse a lui, unendosi in un meraviglioso abbraccio.

“Ti amo così tanto” esclamò lei.

“Ti amo anch’io” rispose lui.

Mentre erano stretti l’un l’altro, Aria notò sul tavolo il titolo di uno dei giornali sparsi lì sopra. “RAGAZZINO SCOMPARSO AL LAGO GRAYSON. INDAGATI ANCHE I PROPRIETARI DEL CAMPO ESTIVO ‘LE FATE INVISIBILI’Subito Aria si scostò e prese in mano il giornale.

“Ezra, guarda!” fece lei, mostrandolo anche al marito.

I due quindi iniziarono a leggere attentamente.

“A quanto pare furono indagati anche i proprietari del campo estivo, dove andavamo da piccole. Era in pratica a pochi metri da luogo in cui scomparve Roger. Sullo stesso lago. Il lago Grayson” aggiunse Aria leggendo attentamente. Ezra scrutava minuziosamente l’articolo in cerca di qualche indizio importante.

“Aria” esclamò lui serio, non appena notò qualcosa di parecchio interessante.

“Cosa? Che hai letto?” chiese lei guardando a ogni angolo del giornale.

“Guarda qui” aggiunse lui, indicandogli una parte dell’articolo.

Aria sbarrò gli occhi piuttosto perplessa “Oh mio dio” solo queste parole uscirono dalla sua bocca.

In tarda serata, in ospedale, Spencer era fuori a prendere un po’ d’aria e a scrivere un messaggio nella chat di gruppo. “Ragazze, novità?” scrisse ciò, e inviò. Dopodiché rientrò dentro e si diresse verso la stanza del padre.

Dalla stanza però uscirono due medici e tre infermiere. Una sensazione di terrore pervase il corpo di Spencer. A seguire, uscì anche una Veronica Hastings con gli occhi lucidi. Spencer stava capendo tutto. I medici sembravano tristi. Diedero la mano a Veronica, e si allontanarono con le infermiere. Spencer rimase immobile. Non aveva la forza di avvicinarsi.

Veronica si voltò e vide Spencer. Si guardarono. Si guardarono a lungo. Faceva rabbrividire l’intensità dello sguardo di Veronica. Uno sguardo che parlava. Che stava dicendo tutto. Uno sguardo rassegnato, che raccontava la verità. Peter era morto. Spencer lo aveva capito. Il telefono le cadde dalle mani. Di colpo era come se tutto intorno a lei non esistesse più. Era come se si ritrovasse in una bolla, lontano da tutto e tutti, solo lei e il suo dolore. Un dolore che la stava lacerando pian piano. Più lo sguardo di sua madre rimaneva posato su di lei, più la consapevolezza che suo padre era morto, s’ingigantiva. E mentre quella consapevolezza aumentava, il cuore le faceva ancora più male.

Per un secondo, Spencer capì di dover tornare alla cruda realtà, e non poteva rimanere in quella bolla. Doveva affrontare tutto, di petto. Tornata alla realtà, si voltò per andarsene. Voleva per un attimo fuggire via, ma appena si voltò, trovò Aria, Alison, Emily e Hanna. Erano lì di fronte a lei. Erano reali. Non appena le vide lì, in schiera, capì una cosa importante. Spencer capì che quelle quattro splendide donne, erano la sua roccia. Erano la sua ancora di salvezza nei momenti più bui e tristi. Capì che non poteva affrontare quel che stava per affrontare, senza di loro. Affrontarlo senza di loro avrebbe voluto dire soffrire maggiormente. Senza di loro non avrebbe mai smesso di piangere. Avrebbe smesso di vivere probabilmente. Quindi non disse nulla, le guardò e scoppiò a piangere. Un pianto liberatorio che solo le sue amiche potevano risanare, e quindi la accerchiarono e si strinsero in uno di quegli abbracci che sapeva di casa, che sapeva d’amore, di amicizia. Uno di quegli abbracci che ti salva la vita. E rimasero lì, strette a Spencer, senza pensare minimamente di lasciarla andare. Non lo avrebbero mai fatto. E la lasciarono piangere a dirotto, sulla loro spalla.

Il mattino seguente, un bellissimo e cocente sole era alto a Rosewood. Ma gli animi di alcuni dei suoi abitanti, non erano di certo luminosi come quella giornata. A casa Hastings, sedute in cucina, ci stavano Alison, Emily, e Hanna. Erano tutte vestite di nero, ed erano pronte per il funerale di Peter, che si sarebbe svolto a breve. Aria arrivò dal piano di sotto, anch’essa con un delicato vestito nero fin sopra le ginocchia.

“Allora, come sta?” chiese Hanna all’amica.

“Un po’ uno schifo. Ha perso suo padre nello stesso momento in cui lo stava ritrovando” spiegò Aria.

“E la signora Hastings?” chiede Emily.

“Si sta preparando, ma anche lei non è al meglio delle sue condizioni” rispose Aria.

“Dio mio, è tutto così triste” esclamò Alison.

Aleggiava un’atmosfera di tristezza in quella casa.

“Ragazze, so che non è il momento giusto, ma devo dirvi una cosa” intervenne Hanna un po’ a disagio.

Tutte la fissarono di colpo. Hanna deglutì “…Ieri, ieri sera hanno arrestato mio padre” rivelò Hanna.

“Cosa?” esclamarono le altre in coro, ed esterrefatte.

“Già. A quanto pare il detective ha ricevuto una soffiata anonima riguardo, l’arma del delitto di Addison. Era una pistola. Una pistola che, che hanno trovato in casa di mio padre, nel suo armadio. E l’hanno subito portato via in manette” spiegò Hanna ancora spiazzata dalla cosa.

“Aspetta, v-vuol dire che, che tuo padre ha ucciso Addison?” chiese Emily.

Hanna, ma cos’è successo ieri sera? Cosa ti ha raccontato tuo padre? E Kate?” intervenne Aria.

“Non molto. Vi racconterò tutto dopo il funerale, però, probabilmente lui c’è dentro fino al collo” replicò Hanna.

“Forse non solo lui” aggiunse Aria, riferendosi a ciò che aveva trovato con Ezra. “…Alison, io devo-” Aria non fece in tempo a continuare il suo discorso. Veronica stava scendendo di sotto. Le ragazze si ricomposero, e mamma Hastings apparve. La donna era con due occhiaie evidenti e due occhi gonfi.

“Spencer?” chiese Emily notando la sua assenza.

“Finisce di fare una cosa, e scende” rispose Veronica.

Al piano di sopra, nella sua stanza, Spencer era già vestita e pronta per il funerale del padre. I suoi capelli lisci e ben sistemati le cadevano sulle spalle, e la sua frangia perfetta le dava sempre quel tocco di classe in più. Si sedette sul letto tenendo in mano la lettera che Peter scrisse per lei e che l’uomo diede a Veronica, facendole promettere che gliel’avrebbe data.

La ragazza aveva quasi paura ad aprirla. Ma si fece coraggio e stracciò la busta, e la tirò fuori. Riconobbe subito la calligrafia del padre. Spencer la lesse nella sua mente, e nel farlo, sentì la voce di suo padre leggere quelle poche righe, come se gliela stessa leggendo lì davanti. Lesse attentamente.

“Cara Spencer, se stai leggendo questa lettera, significa che io non ci sarò più, e so che questo sarà doloroso, doloroso per entrambi, ma soprattutto per te. Mi dispiace di non averti detto prima del male che mi aveva preso, mi dispiace di essere tornato nella tua vita solo per dovermi vedere morire, ma almeno ho potuto passare gli ultimi momenti insieme a te. E credimi, non potrei andarmene in modo migliore. Perché ho passato i miei ultimi momenti con la figlia più buona, più in gamba, e più dolce che un padre possa mai avere. Io ho sbagliato tanto con te, con tua madre. Ho sbagliato sin dal principio. Ma tutto ciò che ho fatto, l’ho sempre fatto per proteggervi, per provare a rendervi felici. E ti chiedo scusa. Ti chiedo scusa per tutte le bugie, tutti i segreti. In tutto ciò, solo una cosa era sincera. Il bene che provo per te e che proverò per sempre. Sono orgoglioso della donna che sei diventata. Sono orgoglioso del modo in cui hai superato cose che nessuno avrebbe mai potuto superare. Sei una donna fantastica. Sei unica. E sei mia figlia. Tu sei una Hastings, non dimenticarlo mai. E ricorda che dovunque io andrò, sarò sempre lì accanto a te, a rimboccarti le coperte come facevo quando eri solo una bambina. Ma è pur vero che lo rimarrai sempre, la mia bambina. Ti voglio bene, papà…”

Spencer aveva terminato di leggere con difficoltà, in quanto le lacrime che scendevano avevano un po’ macchiato il figlio. Asciugò le lacrime, e poi si accorse di una foto attaccata sul retro del foglio, che staccò. Era una foto che la ritraeva da piccola, nel giardino di casa sua, insieme a suo padre, abbracciati. Era un momento felice. Un ricordo che oramai sarebbe vissuto per sempre nel cuore di Spencer. La donna sorrise e strinse a se la foto. La strinse forte al suo petto.

Spencer quindi fece un lungo e sofferto respiro e capì di dover scendere di sotto. Doveva andare a salutare suo padre, un’ultima volta. Asciugò le lacrime e si alzò. Non appena si alzò, dalla busta in cui era contenuta la lettera, cadde un altro foglio di carta, più minuscolo. La ragazza lo raccolse e lo aprì. C’erano scritte poche righe.

“…Spencer, devi però sapere una cosa prima che io me ne vada. Devi riferire qualcosa di molto importante alla tua amica Alison. Dille di non fidarsi di suo padre Ken. E di aprir gli occhi” Il messaggio diceva solo questo. Spencer apparve confusa.

Al piano di sotto, le ragazze stavano aspettando l’amica. Erano piuttosto impazienti. Spencer scese le scale lentamente, e apparve in salotto. Rimase immobile a fissare le amiche. Tutte si sentirono per un attimo a disagio. Aria quindi si avvicinò alla giovane Hastings.

“Ehi, allora? Sei pronta? Tua madre è già in macchina” aggiunse Aria prendendo la mano dell’amica.

Spencer fece un cenno con la testa. Non riusciva a parlare, e quindi si avviarono tutte all’uscita. Aria rimase un attimo indietro, e tirò fuori dalla tasca il pezzo di giornale che aveva trovato e che riguardava Roger. Era ritratto il luogo in cui Roger scomparve. Il lago Grayson. Una foto fatta proprio quel giorno, e tra la folla di persone si potevano riconoscere Tom Marin…E Ken DiLaurentis. Il padre di Alison era anch’esso al lago il giorno in cui Roger scomparve. E cosa più importante, era insieme a Tom Marin. Aria adesso non sapeva come doverlo dire all’amica, proprio ora che aveva ritrovato suo padre. Proprio ora che era riuscita a perdonarlo.

“Aria, vieni?” intervenne poi Alison tornando indietro e facendo sobbalzare la giovane Montgomery-Fitzgerald, che subito rimise in tasca il trafiletto di giornale prima che Alison potesse accorgersene. Ali però aveva notato lo strano comportamento dell’amica. Rimase a rifletterci per un secondo, per poi raggiungere le altre fuori.

“Sì, sì, eccomi!” terminò Aria, e anch’essa lasciò casa Hastings.

Intanto, nel suo lugubre e buio covo, il misterioso stalker con felpa, guanti e cappuccio nero, era seduto a un tavolo. Accanto a questa persona ci stava una bottiglia di vino rosso. La aprì e se ne versò nel bicchiere posto accanto al vino, e iniziò a bere.

Sul tavolo di fronte a se, aveva il famoso tabellone con tutti i volti delle persone di Rosewood. La bacheca “Rosewood’s Souls” ovvero “Le anime di Rosewood”. La persona con il cappuccio tirò fuori un piccolo strofinaccio e cancellò il punto interrogativo dalla foto di Cassidy. Dopodiché tirò fuori il pennarello rosso e disegnò una X rossa sulla foto di Peter Hastings. Poi continuò a ispezionare bene il tabellone. Trovò la foto che ritraeva Tom Marin, e disegnò una X rossa anche su di lui.

FINE SESTO EPISODIO.

 

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by: Frà Gullo;

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