Pretty Little Liars 8 – FAN-FICTION – 8×05 “Broken Hearts”

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“Broken Hearts – Cuori Infranti”

Episode #805

 

Written by:

Frà Gullo;

 

 

CAST UFFICIALE:

Aria Montgomery (Lucy Hale)

Spencer Hastings (Troian Bellisario)

Hanna Marin (Ashley Benson)

Emily Fields (Shay Mitchell)

Alison DiLaurentis (Sasha Pieterse)

 

CAST SECONDARIO EPISODIO 5:

Ezra Fitz (Ian Harding)

Mona Vanderwaal (Janel Parrish)

Ken DiLaurentis (Jim Abele)

Cassidy Harmor (Crystal Reed)

Jason DiLaurentis (Drew Van Acker)

Alan Maxfields (Alan Dale)

Kate Randall (Natalie Hall)

Peter Hastings (Nolan North)

Ashley Marin (Laura Leighton)

Tom Marin (Roark Critchlow)

 

 

 

 

 

 

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E’ tarda serata, a casa Hastings, Spencer, in pigiama, era intenta a prendere due bicchieri d’acqua. Uno per se, e uno per suo padre, seduto sul divanetto di casa. L’uomo sembrava alquanto a disagio, si guardava attorno un po’ imbarazzato, continuava a toccarsi i capelli e a grattarsi la testa. Spencer gli porse il bicchiere e si sedette di fronte a lui.

“Grazie tesoro” aggiunse l’uomo.

Spencer lo scrutò attentamente sperando di trovare le parole giuste da usare “E come, come stai?” chiese lei tentando di smorzare l’enorme imbarazzo che aleggiava nella stanza.

Peter sorrise “Potrei stare meglio” rispose lui.

I due si fissarono dritti negli occhi. Erano totalmente a disagio.

“Dovrei avvertire la mamma che sei qui”, replicò Spencer.

“Non è necessario. Volevo parlare principalmente con te, anche se effettivamente l’orario non è dei migliori. E’ che un mio amico della banca mi aveva detto di averti vista a Rosewood, e mi sono precipitato subito qui, per vederti, e per, per parlarti di una cosa molto importante” spiegò lui in modo piuttosto meticoloso.

Spencer provava a studiarlo bene. “Avrei dovuto dirti che sono tornata per le mie ferie, scusami” rispose.

“No, tranquilla. Capisco perché tu non mi abbia telefonato” rispose lui capendo la situazione.

L’imbarazzo continuava a non andar via.

“Beh, se lo vuoi sapere, stiamo rimanendo più del dovuto perché siamo coinvolte nell’omicidio di una ragazza di Rosewood, o almeno, pare che siamo coinvolte. E’ ironico, non è vero?” ribatté lei usando un po’ d’ironia.

Peter sbarrò gli occhi “Parli di Addison Derringer? In città non si parla d’altro. E cosa c’entrereste tu e le tue amiche? Tesoro, se posso fare qualcosa, io-” Peter apparve subito protettivo come un tempo.

No, sta tranquillo. E poi comunque sappiamo di non c’entrare nulla. A quanto pare non le stavamo molto simpatiche, ma non c’è proprio niente dietro questa storia. Il tempo di riuscire a trovare il responsabile, e saremo libere, o almeno spero” continuò Spencer, pensando ovviamente al nuovo e misterioso stalker.

Sono contento di averti rivista. Ti trovo, ti trovo davvero in forma. Sei bellissima” aggiunse Peter con l’amorevolezza di un padre.

Spencer sorrise dolcemente “Papà, ti conosco, e so quando stai tentando di sviare un discorso. Di cosa mi devi parlare?” chiese lei decisa.

“Beh, non è facile, in sostanza, io-” Peter non riuscì a completare la frase poiché il suono dei passi di Veronica che stava scendendo al piano di sotto, lo interruppe.

Veronica apparve nel salotto di casa, in vestaglia. “Spencer, ma come mai ancora svegl-”, nemmeno Veronica finì la sua frase, infatti, non appena vide Peter, si pietrificò sulle scale. “Peter? Tu…Tu che ci fai qui?” chiese lei alquanto scombussolata.

Peter si alzò di colpo dal divano. “Nulla, n-nulla, volevo salutare Spencer”

Anche Spencer si alzò “Sì, doveva parlarmi di una cosa, ma, dai ne parliamo magari domani, che dici papà?” chiese poi lei capendo che l’imbarazzo era aumentato di proporzioni importanti.

Sì, s-si, è meglio. Ci vediamo domani per un caffè. Ora, o-ora scappo. Scusate, e buonanotte” Peter voleva palesemente fuggire via da quella casa dal momento in cui Veronica apparve lì di fronte a loro.

“Notte Peter” finì Veronica.

Peter uscì di casa, e le due Hastings rimasero da sole. Veronica posò lo sguardo sulla figlia.

“Una bella sorpresa, vero?” chiese Veronica.

“Abbastanza. Anche se, c’è qualcosa che non va” rispose Spencer pensierosa.

Veronica la raggiunse sul divano. “In tuo padre dici?” chiese lei.

“Sì, era, era strano” continuò Spencer.

“Beh, domani scoprirai cos’ha di strano, no?” ribatté Veronica.

Spencer rimase a riflettere.  “…Ti ha fatto strano rivederlo?” continuò poi mamma Hastings.

In un certo senso, sì. E vederlo, vederlo mi ha fatto capire che probabilmente mi manca parecchio” continuò Spencer un po’ malinconica.

“Ecco, il caffè di domani sarà il punto di partenza per provare a riappacificarvi” rispose Veronica speranzosa.

“Lo spero” concluse Spencer ancora pensierosa.

Nel frattempo, Alison era appena salita al piano dell’appartamento in cui viveva Cassidy. Era tornata da lei. Sembrava un po’ turbata e preoccupata. Quindi si avvicinò alla porta, e bussò. Nessuno rispose. Alison rimase ad attendere, ma non si sentiva nessun suono.

“Cassidy, sono io…Ali. Senti, alla fine ho sentito il tuo messaggio, e non mi è piaciuto quello che hai detto. Per favore, sono preoccupata. Puoi, puoi aprire la porta?” chiese Ali sperando che Cassidy la sentisse. Ma non poteva.

La donna poi tentò di aprire la porta, e questa si aprì da sola. Quindi entrò.

La tv era ancora accesa, il gelato che Cassidy stava mangiando, era sul tavolo con il barattolo aperto, ma di Cassidy nessuna traccia. “…Cassidy, ci sei?” chiese Ali guardandosi scrupolosamente intorno.

La donna vide la luce del bagno accesa. Si avvicinò a piccoli passi.

 “…Cassidy, sei in bagno?” chiese, mentre pensieri spaventosi le attraversavano la mente. Aveva paura ad aprire la porta. Era terrorizzata, ma si avvicinò e lo fece. Non appena spalancò la porta, trovò una Cassidy pallida e priva di sensi nella vasca da bagno oramai piena di sangue, mentre i suoi polsi tagliati continuavano a sanguinare.

Alison ebbe un sussulto. Non poteva credere a ciò che stava vedendo. Le si fermò il respiro per un secondo. Quel momento sembrava eterno. Come se non volesse finire.

Si gettò di colpo a terra senza pensarci due volte “Cassidy! Oh mio dio, Cassidy!” urlò la donna, mentre subito tentò di tirarla fuori dalla vasca con tutta la forza che aveva in corpo.

SIGLA

 

 

 

 

 

Il mattino seguente il sole era nuovamente alto a Rosewood. A casa Fitz, Aria si stava pian piano svegliando. La sveglia suonò alle 8:30, e subito iniziò a stiracchiarsi e a sbadigliare più e più volte. Rimase accasciata nel letto, con la testa sprofondata nel suo morbido cuscino. Era pensierosa, molto pensierosa. Quindi prese il telefono da sopra il comodino, e scrisse un sms “Ehi, come stai oggi?” era un messaggio per Jason, che subito inviò.

Mentre era lì nel suo lettone a rilassarsi, sentì di colpo le chiavi nella serratura della porta di casa. Qualcuno era appena entrato. La donna balzò subito in piedi non appena sentì aprire. In un primo momento si spaventò. Poi capì che solo un’altra persona oltre a lei, poteva avere le chiavi di casa, in altre parole Ezra.

“Aria, sei a casa?” la voce inimitabile e dolce di Ezra, riecheggiò in tutta la casa.

Gli occhi di Aria brillarono. Subito corse fuori dalla stanza come una furia, e andò alle scale. Rimase in cima, mentre vedeva Ezra sull’uscio di casa, con un’enorme valigia rossa in mano, e in braccio il piccolo Byron nell’altra. L’uomo alzò lo sguardo e non appena la vide, le sorrise con gli occhi dell’amore. “…Oh, eccoti qua! Sorpresa!” terminò poi lui.

Aria non riusciva a credere i suoi occhi. Dopo settimane di lontananza, il suo tutto era di nuovo insieme a lei. Aveva quasi paura che stesse sognando. Ma non era un sogno. Ezra e suo figlio erano lì sulla porta, sulla porta della loro casa.

“Quanto mi siete mancati!” aggiunse poi Aria, precipitandosi di sotto e suggellando quel momento con un meraviglioso e passionale bacio. Uno di quei baci pieni di passione che solo loro due sapevano darsi. Sembravano non volersi più staccare. Quando loro due si baciavano, tutto il mondo spariva. E per un momento, infatti, c’erano solo loro due. Aria ed Ezra.

Lentamente Ezra si scostò.

“Che bello poterti di nuovo baciare” esclamò l’uomo visibilmente emozionato e guardando la sua amata dritta negli occhi.

“Che sorpresa davvero! Amore mio, ciao!” continuò poi Aria, rivolgendo le sue attenzioni al meraviglioso Byron. Un bambino che aveva preso i capelli neri del suo meraviglioso papà, così come le labbra, e lo sguardo della sua splendida mamma. Aria lo prese in braccio trasmettendogli tutto l’amore di mamma che aveva in corpo. Byron ridacchiava felice.

“Sei mancata tanto anche a lui” rispose Ezra, ammirando la sua bellissima moglie e suo figlio insieme.

Aria continuava a giocherellare con Byron. “Non posso credere che siete davvero qua!” continuò lei ancora incredula.

“Già, anche se dobbiamo parlare di cose importanti” ribatté poi Ezra, rompendo di colpo tutto l’entusiasmo e la gioia del momento.

Pochi istanti dopo, Aria ed Ezra erano seduti nel salotto di casa, l’uno di fronte l’altra. Byron in braccio ad Aria mentre giocherellava con il ciuccio.

“Annullare il tour? Ma è impazzito?” ruggì Aria dopo aver ascoltato ciò che Ezra doveva dirle.

“Già, Philip è stato chiaro. Non si può fermare il tour di un libro di successo così di colpo. Ha accettato i pochi giorni presi a causa dell’emergenza familiare, ma ora non vuole più aspettare, soprattutto perché hai lasciato ben tre librerie a Chicago dove dovevi essere ospite in queste settimane” spiegò accuratamente Ezra.

“In pratica mi ha dato un ultimatum?” chiese Aria piuttosto scocciata.

“Esatto. Se non torni entro due settimane e riprendi in mano il tour, cancella tutto e chiude la collaborazione con te” rispose Ezra con tono convinto.

“Ma è assurdo. Lui è il mio manager, non può farlo! O…o può farlo?” chiese Aria con fare buffo e a tratti spaesato.

“Può farlo in casi come questi. Aria, hai scritto e ultimato il tuo libro in soli quattro mesi. Al quinto mese è stato pubblicato, e per i restanti sette mesi è stato tra i tre libri più venduti dell’ultimo anno, e il tour è stato un sold out continuo. Lasciare così di colpo significa una perdita immensa dei guadagni, così come dei lettori che aspettavano di incontrarti. E’ ovvio che Philip ora ti dia quest’ultimatum” spiegò Ezra.

Aria si rese conto che aveva ragione. La donna si alzò e mise il piccolo Byron nel passeggino.

“Sono rimasta fin troppo tempo, è vero. E’ solo che, ora, non so se posso ripartire” spiegò.

“Ma perché? Non ci sono novità sull’omicidio di quella ragazza?” chiese Ezra curioso.

“Addison? No, nulla. Però, c’è, c’è qualcosa che devi sapere” rispose Aria, capendo di non potergli mentire, soprattutto ora che era lì di fronte a lei, e si stavano confrontando.

Ezra aggrottò la fronte. “Sapevo che c’era qualcosa che non mi dicevi” rispose.

Aria si sedette nuovamente e fece un lungo respiro “Preparati a quello che sto per dirti perché non ci crederai” terminò lei, pronta a raccontargli del nuovo stalker che le stava perseguitando.

Poco più tardi, al Radley Hotel, Mona e Hanna erano sedute a un tavolo a bere succo alla mela. La faccia di Mona era piuttosto incredula e confusa.

“Sta seriamente succedendo di nuovo?” chiese Mona all’amica.

“Proprio così. Giuro che non ci credo nemmeno io. E inoltre, questa persona, chiunque sia, è davvero malata” rispose Hanna visibilmente preoccupata.

“Tentare di uccidere due bambine è più che sufficiente per farmi capire quanto sia pericolosa. E, e davvero non avete nessuna pista?” chiese Mona curiosa.

“Sappiamo solamente che Addison e Roger erano fratello e sorella, e che probabilmente chi ha ucciso Roger è la stessa persona che ha ucciso Addison. E probabilmente c’entra anche Kate” spiegò accuratamente Hanna.

“Intanto non alzare la voce purché non voglia attirare l’attenzione di qualche poliziotto in borghese. Poi, siete sicure di ciò che dite, o come il solito state traendo le vostre conclusioni su basi infondate?” stuzzicò Mona.

“Che vorresti dire?” chiese Hanna.

“Sai cosa voglio dire” rispose diretta Mona.

Comunque, in tutto ciò sappiamo che Kate ha incontrato Addison la notte della sua scomparsa, e non riesco a capire cosa possa c’entrare lei in questa storia. O cosa c’entri il fratellino di Addison, o cosa c’entriamo noi. So solamente che avrò bisogno di un mese di centro benessere non appena questa storia sarà finita. So che mi manca mio marito, mia figlia, e il mio lavoro. Ah, e Anita, la mia massaggiatrice personale” spiegò Hanna piuttosto disperata.

“Avete pensato di parlare con i vostri genitori di Roger?” chiese Mona curiosa.

“No, perché dovremmo?” ribatté Hanna un po’ confusa.

Mona alzò gli occhi al cielo “Seriamente? Hanna, se Roger fosse vivo, a quest’ora avrebbe la nostra età. Ciò significa che i vostri genitori erano presenti quando un bel bambino biondo scomparve nel lago di Rosewood, non credi? Quindi, mentre tu parli con tua madre, io cercherò di capire qualcosa dalla nostra bionda malefica” ribatté Mona con fare autoritario.

“Effettivamente non ci avevo pensato” replicò Hanna. Mentre la giovane rifletteva sulla cosa, Mona notò Kate entrare al Radley. Levò gli occhiali da sole, e non appena vide Hanna e Mona, sorrise e si apprestò a raggiungerle.

“Sta arrivando il diavolo biondo, si va in scena!” sussurrò Mona in fretta a Hanna, giusto pochi secondi prima dell’arrivo di Kate.

“Ciao ragazze! Ciao anche a te assistente. Non sapevo fossi qui anche tu” intervenne Kate all’indirizzo di Mona.

“Mona Vanderwall, assistente manager, grazie. E sì, sono tornata ieri per dare una mano alla mia amica. Te invece vaghi qui per Rosewood da giorni, e non sappiamo perché” continuò Mona iniziando a lanciare aspre frecciatine.

Hanna si accorse della cosa. “Ehm, Kate, che ne diresti se parlassi con Mona riguardo ai vestiti che abbiamo provato, e poi decidiamo se prenderti o no? Io ho delle cose da fare e non riuscirei a seguirti bene oggi” continuò Hanna cercando di trovare un modo di lasciare da sole le due.

“Quindi stai pensando di prendermi nella tua casa di moda?” chiese Kate euforica ed emozionata.

E’ un’idea. Ma voglio che anche Mona ti veda addosso con le mie creazioni per avere il suo parere” rispose Hanna.

“Esatto. Quindi saliamo in camera di Hanna e cominciamo!” concluse Mona alzandosi in fretta.

“Va benissimo! Incrocio le dita allora! A dopo!” terminò Kate con una buffa euforia, e corse subito verso l’ascensore.

“Sentiamoci se riesci a scoprire qualcosa, ok?” chiese subito Hanna a Mona.

Quando riuscirò a scoprire qualcosa, non se. Tranquilla, a dopo! Tu parla con tua madre!” terminò invece Mona, e quindi raggiunse Kate all’ascensore.

Hanna rimase da sola, perciò tirò fuori il telefono e trovò il numero della mamma, e le telefonò.

Più tardi, in ospedale, Alison era seduta nella sala d’attesa. Aveva l’aria stanca, abbattuta. Stava con lo sguardo perso nel vuoto. La sua mente era ancora nel bagno di casa di Cassidy. Nella sua testa vedeva ancora Cassidy in quella vasca, in quel bagno di sangue. Sembrava fuori dal mondo. Le mani poggiate sulle cosce, con il palmo rivolto all’insù, come se fossero troppo stanche per farle muovere.

In quell’istante, la mano sinistra di Alison si ritrovò unita a quella di Emily. La sua Emily era lì accanto a lei. Un timido sorriso apparve sul volto di Emily, mentre Alison le strinse ancor di più la mano, come se avesse paura di poterla perdere da un momento all’altro.

Non si dissero nulla.

Rimasero zitte, unite mano nella mano, e con sguardi pieni d’amore. Emily era lì per Ali. Non importava ciò che era successo. Non importava quanti sbagli avesse potuto fare Alison. Emily era lì per sua moglie, per la donna che aveva giurato di amare e sostenere in ogni momento. Ed era quello che stava facendo in quell’istante.

Contemporaneamente, Spencer era appena entrata al Brew, ben vestita e un po’ ansiosa. Si guardò intorno. Stava aspettando qualcuno. Poi vide Jason seduto da solo a un angolo, a un tavolino, intento a discutere animatamente al cellulare. Sembrava piuttosto furibondo. “Non potete farmi questo, ascoltate, io-” l’uomo era palesemente infuriato con qualcuno. Quindi staccò subito la telefonata, sbattendo il telefono sul tavolo e sbuffando tra se e se.

Spencer si avvicinò preoccupata. “Ehi Jason” esclamò lei sorridente.

Jason sbarrò gli occhi, si sentì subito a disagio “Ehi S-Spencer, che sorpresa!” rispose lui tentando di cambiare umore.

Spencer quindi si sedette “Beh, non stiamo più avendo tempo per vederci, quindi mi è sembrato giusto fermarmi un attimo” rispose lei.

Jason era palesemente in imbarazzo. Ci furono pochi secondi di silenzio. Un imbarazzantissimo silenzio. Spencer lo fissava senza batter ciglio. Jason tentava di non incrociare il suo sguardo.

“Immagino che Aria vi abbia raccontato tutto, vero?” chiese Jason, capendo.

Certo. E sappi, che io e Alison ti vogliamo dare fiducia” replicò Spencer visibilmente sincera.

“Grazie. Questa mattina ho mancato per poco Ali. E’ uscita di corsa con Emily e ha lasciato le bambine alla baby-sitter, quindi sentire questo da te, è tanto. Anche se, ho deciso una cosa” continuò lui con estrema serietà.

“E cioè?” ribatté lei.

“Ho deciso di andare in un centro di riabilitazione per alcolisti” rispose lui diretto.

Spencer per un attimo apparve dubbiosa “Wow, è, è una decisione piuttosto forte. Hai, ci hai pensato bene? Dovrai rimanere chiuso lì per molte settimane, forse anche mesi” spiegò lei un po’ preoccupata.

“Ne sono consapevole, ma, è l’unica alternativa. Voglio tornare alla mia vita, Spence. Voglio uscire a cena fuori e non avere l’ansia di potermi ubriacare da un momento all’altro. Voglio stare con le mie nipotine senza dover sentirmi dire da Alison o da Emily che puzzo d’alcool. Voglio riavere indietro la mia vita, e ho capito solo oggi che andare dagli alcolisti anonimi non basta. Io, io ho bisogno di un aiuto più serio” Jason apparve piuttosto saggio e risoluto.

Spencer gli sorrise “Questo ti fa molto onore Jason, dico davvero” rispose lei.

Jason ricambiò il sorriso con estrema dolcezza.

Il momento venne però interrotto dall’entrata nel Brew, di Peter Hastings. L’uomo notò Jason e Spencer insieme e subito li salutò facendo cenno con la mano e fece per avvicinarsi.

Jason rimase incredulo “Chi non muore si rivede“ disse a Spencer, che si voltò anch’essa.

“Sì, dovevo dirti che stavo aspettando lui. Mi ha chiesto un caffè” rispose la donna.

Peter quindi arrivò al tavolo dai due e apparve sorridente e solare. O almeno s’imponeva di esserlo.

“Wow, che sorpresa trovarvi qui entrambi!” esclamò Peter.

“Già, ma io non posso trattenermi quindi, ciao Spencer” finì Jason alzandosi in fretta e dando un tenero bacio sulla guancia di Spencer. “…ciao Peter” aggiunse serio, e quindi si avviò all’uscita. Peter si mostrò alquanto deluso da quel comportamento, quindi si sedette al posto di Jason. Spencer notò la delusione negli occhi del padre.

“Papà, che ti aspettavi? Che rimanesse qui a recuperare il tempo perduto?” chiese lei.

“No, è che, non so, non lo so” Peter non sapeva come rispondere.

“Ecco, appunto. Tu e Jason non avete mai avuto un rapporto. Cos’è cambiato ora da farti rimanere male per il suo comportamento?” chiese Spencer alquanto confusa.

E’ proprio di questo che volevo parlarti ieri sera, sai, io-” Peter tentò di iniziare un discorso molto serio, ma Spencer venne attirata dalla piccola televisione posta poco distante da loro, all’altezza del soffitto. C’era il notiziario, e c’era una foto di Felicity Derringer, la madre di Addison, in primo piano.

“Aspetta un momento” esclamò subito lei, alzandosi di colpo e andando vicino la TV per ascoltare meglio.

“Pare che il dolore per la famiglia Derringer non abbia proprio voglia di cessare. Proprio questa mattina è stato confermato che Felicity Derringer, infermiera del ‘Rosewood Memorial’ e madre di Addison Derringer, la 16enne scomparsa un anno fa il cui corpo è stato ritrovato qualche settimana fa, si è tolta la vita nella sua abitazione, dove oramai viveva con suo marito, Robert Derringer. Il corpo senza vita della donna è stato ritrovato dal marito, che ha avvertito subito le autorità. Uno straziante epilogo per una donna che probabilmente non è riuscita a superare la morte della sua unica figlia. Vi comunicheremo maggiori informazioni più tardi. Per quanto riguarda la borsa, possiamo dire…” il notiziario fu abbastanza chiaro. Spencer ascoltò attentamente.

“Oh mio dio” esclamò lei tra se e se. Peter le si avvicinò.

“Caspita, è terribile” rispose Peter, anch’esso vicino alla TV.

Sì, ehm, papà devo, devo andare via. Devo assolutamente parlare con le mie amiche. Ti, ti dispiace se rimandiamo il caffè? Tanto puoi dirmelo anche in un altro momento questa cosa, giusto? Non è urgente, vero?” chiese lei prendendo in fretta la borsa e facendo per andarsene.

Peter apparve un po’ dispiaciuto, ma tentò di non far trasparire nulla. “No, no, tranquilla non c’è fretta. Vai pure. Ci sentiamo più tardi” concluse lui.

“Ok, perfetto, grazie!” terminò lei in fretta, non curandosi minimamente degli occhi tristi del padre, che fu costretto a mentirle per farla andare via. Perché quello che le voleva dire non era di certo una roba da poco.

Al Radley Hotel, invece, Mona era seduta sul letto della camera di Hanna, mentre Kate era nel bagno, intenta a mettere su una bellissima tuta elegante e di colore rosso fuoco.

“Allora tu e Hanna siete amiche sin dal liceo? Seriamente?” chiedeva Kate dall’altra stanza.

“Esatto. Ci siamo anche beccate a scuola, prima che tu ti trasferisti a Philadelphia” precisò Mona.

“Prima che mi cacciassero, intendi dire. I bei tempi in cui facevo la stronza” replicò Kate divertita.

“E dimmi un po’, come mai eri qui a Rosewood? Il padre di Hanna e Isabelle oramai vivono a Philadelphia da anni” iniziò a chiedere Mona, tentando di indagare. Mentre parlava, scrutava profondamente la borsetta di Kate posta lì sul letto, e ci si avvicinava furtivamente.

“Ma sai, mamma ha molti parenti qui, e quindi ho deciso di venire a trovarli” continuò Kate.

“Capisco. E, mancavi da tanto tempo da Rosewood?” chiese Mona, mentre oramai era arrivata strisciando, alla borsa. La aprì pian piano e iniziò a frugarci dentro. Tra lucidalabbra, rossetto, portafogli, lima per le unghie, trovò anche il trafiletto di un giornale. Un trafiletto che parlava del ritrovamento del corpo di Addison.

“Non da molto” aggiunse Kate, arrivando a sorpresa in camera. Mona era talmente presa dal frugare nella borsa, da non rendersi conto che la donna era lì di fronte a lei, e la fissava. “…Ma che stai facendo?” chiese poi curiosa.

Mona però non si fece mettere in difficoltà. Con tutta la calma e la pacatezza di questo mondo, prese il rossetto rosso che Kate aveva in borsa. “Cercavo un tuo rossetto. Almeno proviamo tutto e vediamo come stai” rispose, riuscendo a convincere Kate. Si avvicinò a lei e iniziò a metterglielo sulle labbra.

“Era meglio non tornare a Rosewood, vero? Hai visto quello che è successo a quella ragazza, Addison Derringer?” stuzzicò Mona.

“Sì, ho sentito qualcosa” rispose Kate tagliando subito corto e allontanandosi. Si mise di fronte lo specchio. “…Allora? Dici che Hanna mi prenderà come volto della nuova collezione?” chiese speranzosa.

“Potrebbe. Hai il fisico giusto, così come i lineamenti perfetti. L’ultima parola però questa volta spetta a lei” rispose Mona.

“Per via dei nostri trascorsi, vero?” chiese Kate.

“Già. Ma quindi, cosa hai letto di Addison? Hai visto in che modo barbaro è stata uccisa? Segregata per un anno e poi uccisa con un proiettile nel petto. Come si può fare del male a una ragazzina di sedici anni” continuò Mona tornando sul discorso Addison.

“Ma perché vuoi parlare di Addi?” chiese Kate un po’ scocciata.

“Addi? Wow, ne hai sentito solo parlare, e già le affibbiato un nomignolo?” chiese Mona c’entrando subito il punto.

Le due rimasero a fissarsi. Kate sospirò.

“Mona, cosa stai cercando di fare?” chiese Kate.

“No, tu cosa stai cercando di fare” replicò diretta Mona.

“Trovare un lavoro” rispose Kate.

“Lo spero per te. Ma sicura che sei qui a Rosewood solo per questo?” continuò Mona tentando di provocarla.

“Certo. Per quale altro motivo dovrei essere qui?” chiese Kate.

“Magari per Addi ironizzò Mona con il suo modo impeccabile.

Kate per un attimo cedette. Iniziò ad agitarsi. Era quasi senza salivazione.

“E’ meglio che mi levi questo vestito e torni a Philadelphia dai miei” aggiunse la donna.

“Ma stavamo solo facendo quattro chiacchiere” rispose Mona continuando a prendersi gioco di lei.

“Non ho più voglia di parlare!” terminò Kate visibilmente scocciata, e chiudendosi subito in bagno sbattendo la porta con foga.

Mona aveva già capito tutto. Prese subito il suo telefono dalla tasca, trovò il numero di Hanna, e le inviò un messaggio vocale. “La bionda sa qualcosa. Ma la farò crollare, fidati. Aggiornami” concluse, e quindi la incontrò all’amica.

In ospedale, invece, Alison era seduta nella camera di Cassidy. La donna era attaccata a dei flebo, e ancora dormiva. Ali era piuttosto esausta. Non si sentiva nessun suono a parte il ticchettio dell’orologio di Cassidy posto sul comodino accanto a lei e il rumore delle flebo in funzione. Ali la fissava intensamente…

Fuori dalla stanza, da dietro il vetro, Emily le fissava piuttosto preoccupata e sovrappensiero. In quel momento fu raggiunta da Ken DiLaurentis, che si stava facendo spazio in sala d’attesa.

“Ciao Emily” fece l’uomo cogliendola di sorpresa e mettendosi accanto a lei.

Emily si stranì. Non aveva mai avuto un rapporto con lui. “S-Signor DiLaurentis, salve” rispose la donna.

“Come sta la vostra collega?” chiese Ken guardando Ali e Cassidy.

“Dicono che è fuori pericolo, ma che ancora è molto debole, ma che se l’è vista brutta. Un minuto in più, e, probabilmente non sarebbe qui” spiegò Emily.

Ken rimase a fissare la figlia da dietro il vetro, mentre Emily invece fissava Ken. “…Signor DiLaurentis, non per essere sgarbata, ma, che cosa ci fa qui?” chiese poi lei diretta.

“Mi ha scritto Alison. Le avevo chiesto se le andava di venire in barca con me, ma mi ha spiegato la situazione e mi sono precipitato qui. Volevo starle accanto” aggiunse l’uomo.

“Non credo che Ali voglia parlarle dopo quello che è successo, non crede?” chiese Emily, riferendosi al tizio che gli aveva chiesto dei soldi. Ken in quel momento si rese conto che Emily non sapeva del confronto avuto con Ali a scuola.

“Non lo sai? L’altra sera a scuola abbiamo parlato, e, alla fine ha deciso di darmi una seconda possibilità. Credevo lo sapessi” rispose Ken un po’ confuso.

“No, non…Non me lo aveva detto” replicò Emily con la tristezza dipinta in volto. Quel momento le fece capire quanto lei e Alison si fossero allontanate al punto da non raccontarsi le cose più importanti che le riguardavano. Ken notò subito la faccia contrita e spenta di Emily.

“State avendo problemi?” chiese lui diretto.

Emily si sentì a disagio a parlarne con lui “No, stiamo, diciamo che stiamo attraversando un periodo difficile, tutto qui. Comunque vado a prendere un caffè. Torno subito” Emily voleva assolutamente liberarsi da quella conversazione, e quindi trovò questa scusa. Ken rimase da solo, e dopodiché si allontanò dal vetro per non essere ‘di troppo’ mentre Ali stava accanto a Cassidy.

Dentro la stanza, Alison aveva le mani tra i capelli, e il capo basso. Stava per crollare. Non si era però accorta, che Cassidy stava lentamente aprendo gli occhi. “Ciao” esclamò con voce flebile. Alison alzò subito lo sguardo, stupita.

“Ciao” rispose lei, visibilmente felice e tirando un sospiro di sollievo.

Cassidy non riusciva molto a muoversi. Era ancora con gli occhi un po’ socchiusi “Ma…Sono in paradiso?” chiese lei tentando di smorzare la tensione.

“No, ma hai fatto passare a me l’inferno. Ti ho trovata nel bagno di casa tua, eri…Ho sentito il tuo messaggio e sono venuta da te” racconto Ali.

“Sei venuta quindi?” chiese Cassidy mostrando un timido sorriso.

“Certo che sono venuta” rispose Ali diretta. “…Piuttosto, tu, tu hai rischiato di morire” continuò Ali con tono di rimprovero.

“Ne…sono…consapevole” rispose Cassidy con voce lenta.

“E non ci sarebbe stato niente di romantico in tutto ciò. Saresti morta e basta” continuava Ali più dura, sperando di farla capire la gravità del suo gesto.

“Tu…Tu hai…Hai detto che non piaccio a nessuno. Che…Che a nessuno importa di me” Cassidy ricordava esattamente le parole brutte e forti che Ali le aveva rivolto la sera prima, con una rabbia incredibile.

“Mi sbagliavo. E mi scuso. Anche perché, a me importa di te rispose Alison sorprendendo Cassidy, che le sorrise visibilmente emozionata. “…E vedi di rimetterti presto e tornare a scuola, perché i tuoi alunni non possono stare senza di te, è chiaro?” continuò Ali anch’essa emozionata.

“Chiarissimo” rispose Cassidy mentre i suoi occhi lucidi si stavano lentamente chiudendo.

“Ora riposati, tranquilla. Io resto qui. Non me ne vado” Alison parlò convinta delle sue parole. Credeva davvero in ciò che stava dicendo. Rimase lì accanto a Cassidy, senza muoversi di un centimetro.

A casa Fitz, intanto, Aria ed Ezra erano seduti nel salotto di casa, insieme a Spencer, seduta di fronte a loro. Il piccolo Byron dormiva nel suo passeggino.

“Spence, gli ho dovuto raccontare tutto, quindi possiamo decidere cosa fare anche di fronte a lui” aggiunse Aria all’indirizzo di Spencer.

“Hai fatto bene a dirglielo” continuò Spencer.

“Avreste dovuto dirmelo dal principio. Avrei potuto aiutarvi” rispose Ezra un po’ incazzato.

“E come? Non sappiamo nemmeno noi che pesci prendere” replicò Aria.

“Sappiamo che Felicity Derringer non si è suicidata” rispose Spencer diretta e convinta delle sue parole.

Aria aggrottò la fronte “Lo sappiamo?” chiese lei.

“Aria, andiamo! Dopo tutto quello che c’è capitato da quando avevamo sedici anni, credi davvero che la signora Derringer si sia tolta la vita, subito dopo aver parlato con Emily riguardo Roger?” chiese Spencer, probabilmente avendo capito la situazione.

“Quindi credi che questo folle, chiunque esso sia, l’abbia uccisa prima che dicesse altro?” chiese Aria.

“E’ probabile” intervenne Ezra.

“Ok, adesso cosa facciamo? Hanna è al Radley a tentare di far vuotare il sacco a Kate, ed Emily e Ali non rispondono al telefono” spiegò Aria.

“Jason ha detto che stamattina sono uscite presto. Forse sono impegnate a scuola, o a risolvere i loro problemi. Meglio lasciarle fuori per questa volta” rispose Spencer.

“Ah, quindi hai incontrato Jason?” chiese Aria sentendosi un po’ a disagio. Ezra lo notò.

“Sì, e mi ha anche detto che ha deciso di andare in un centro di riabilitazione, ma ne parliamo in un altro momento, ok?” aggiunse poi Spencer.

“Che cosa?” chiese Aria alquanto incredula.

“Sì, l’ha deciso da poco. Ora però possiamo concentrarci su quello che è successo?” chiese Spencer.

“Sì, sì hai ragione, scusami. Ok, supponiamo che qualcuno abbia ucciso la signora Derringer. Come facciamo ora a scoprire qualcosa in più su Roger e Addison? Se andiamo da suo marito, peggioriamo solo la situazione” continuò Aria.

“Se non possiamo parlare con il padre di Addison, perché non parlare con il padre di Roger?” intervenne Spencer.

“Intendi, Alan Maxfields? Ma sì. Emily ha detto che vive a New York, e che era in contatto con la madre di Addison. Possiamo andare a parlare con lui” continuò Aria.

“C’è un treno per New York che parte ogni 15 minuti, così evitiamo anche il traffico. Andiamo!” intervenne Spencer, piuttosto agguerrita e alzandosi in fretta dal divano, così come Aria.

“Ehi, ehi aspettate! Ci avete riflettuto bene almeno? Per il padre di Roger siete due estranee” aggiunse Ezra tentando di ridimensionare la situazione.

“Sì, ma più tempo passa, più questo psicopatico tenterà di rovinarci la vita. Non possiamo ripetere gli stessi sbagli del passato. Dobbiamo agire fino a quando possiamo ancora farlo. Non mi farò rinchiudere in qualche bunker sperduto chissà dove. Andiamo!” Spencer non voleva sentire ragioni, e si avviò subito alla porta di casa, aprendola.

Aria si avvicinò quindi a Ezra, e lo strinse forte a se. “Staremo attente, te lo prometto” esclamò lei.

“Fate molta attenzione. Questo folle vi ha fatto capire che non scherza. Non è come Charlotte, non è come Melissa, e l’ha messo bene in chiaro. Per favore” Ezra apparve protettivo e dolce com’era sempre stato.

Aria gli diede un tenero bacio sulle labbra. “Ti chiamo appena siamo a New York” concluse lei, che quindi si avvicinò al passeggino di Byron, e diede un bacio anche al suo piccolo. Quindi si avviò all’uscita con Spencer, mentre Ezra le guardava andar via con uno sguardo alquanto allarmato.

Nella hall del Radley Hotel, una raggiante Ashley Marin, capello rosso fino alla spalla, e meraviglioso tubino nero addosso, era seduta insieme a sua figlia Hanna. Il sorriso di Ashley era quello di sempre, così come la sua bella risata, e il suo bene per la figlia, che non smetteva di fissare con gli occhi di una madre piena d’amore. Entrambe sorseggiavano del vino rosso.

“Quindi com’era la neve?” stava chiedendo Hanna alla madre.

“Fredda. Per fortuna le montagne intorno hanno evitato una sorta di vento forte che arrivava da lontano” raccontò Ashley mentre controllava sul telefono i conti dell’hotel. “…Caspita, in quest’ultimo mese abbiamo guadagnato parecchio!” spiegò la donna.

Hanna era totalmente disinteressata al suo discorso. Voleva subito andare al dunque.

“Mamma, ascolta, ho bisogno di farti una domanda. Però avrai bisogno di una buona memoria per rispondermi” esclamò poi Hanna, apparendo seria e pacata.

“Non penso di essere così arrugginita, quindi, dimmi pure” rispose Ashley.

“Roger Maxfields. Tu…Tu ricordi il periodo in cui scomparve?” chiese la giovane Marin-Rivers.

Ashley non si scompose. Non ebbe nessun sussulto. Semplicemente sospirò  e tentò di tornare alla mente a quel periodo.

“Certo che me lo ricordo. Quel giorno io ero rimasta a casa perché avevo avuto un’emicrania assurda, e tuo padre ti aveva portato al parco estivo che avevamo all’epoca. Era davvero bello. Ti portavamo lì ogni estate, anche gli Hastings portavano le loro figlie, e i Montgomery, i Fields. Tutta la cittadina riuniva spesso i loro figli a giocare in quel parco estivo. Era bellissimo” spiegò Ashley accuratamente.

“Ed è mai capitato che Roger venisse a questo campo? Ho  mai giocato con lui, io e le mie amiche, e magari non lo ricordiamo?” chiese Hanna.

“No, assolutamente. Quel povero bambino era a Rosewood perché venne a passare del tempo con la madre. Il suo nuovo marito, Robert Derringer, era di Rosewood, e possedeva una casa sul lago. E il ragazzino era al lago, ed è lì che cadde, e scomparve. Il campo estivo era in sostanza adiacente al lago Grayson, dove il bambino a quanto pare cadde” continuò a spiegare Ashley. Hanna era piuttosto delusa dal racconto. Erano cose che già sapeva.

“E non sai nient’altro?” chiese Hanna speranzosa.

“Cos’altro dovrei sapere?” chiese Ashley un po’ curiosa.

Nulla, pensavo potessi avere qualche dettaglio in più” rispose Hanna  amareggiata.

“Ah, ora che ci penso, un’altra cosa che ricordo bene di quel giorno, è la lite più furibonda che io abbia mai avuto con tuo padre” rispose poi Ashley. A queste parole, l’attenzione di Hanna tornò di colpo.

“In che senso? Perché litigaste?” chiese Hanna.

“Ma non l’ho mai capito. Tornò in serata nervoso come non mai. Iniziò a dirmi di farmi gli affari miei, di lasciarlo in pace. Litigammò talmente forte, che i vicini chiamarono la polizia. Non ci parlammo per ben due settimane dopo quel fatto” raccontò Ashley.

“E non hai mai capito perché papà fosse talmente furioso quella sera?” continuò Hanna imperterrita.

“No. Ma ricordo il suo sguardo. Non era davvero furioso con me. Sembrava triste. Continuava a urlarmi contro con gli occhi lucidi. Giuro che riesco a ricordarmi tutto di quella lite, perché fu la più brutta che potessimo mai avere” concluse Ashley.

Mentre Hanna rimuginava sulla questione, la madre la scrutava attentamente.

“Tesoro, ma come mai tutte queste domande su quel bambino?” chiese curiosa Ashley.

“No, niente, è che mi ha incuriosito parecchio il caso, e volevo saperne di più. Non capita tutti i giorni di ritrovare le ossa di un bambino morto sedici anni prima, no?” rispose Hanna sperando di non far trasparire la sua ‘sete d’indizi’.

“Hanna, sei sicura che sia tutto qui?” chiese poi Ashley, non togliendo lo sguardo di dosso alla figlia. Il suo lato protettivo era subito emerso di fronte l’evidente difficoltà di Hanna di raccontare frottole alla madre.

“Ma sì, certo! Cos’altro dovrebbe esserci?” ribatté Hanna.

“Non lo so. Ma da quando mi hai detto di quella ragazza, Addison, del fatto che avesse le foto tue e delle tue amiche, non riesco a chiudere occhio. Ho paura che tu e le tue amiche possiate ritrovarvi catapultate di nuovo in qualche situazione più grande di voi” Ashley era spaventata al pensiero che la figlia potesse rivivere l’inferno vissuto in passato. Lo si leggeva nei suoi splendidi occhi.

“Mamma, sta tranquilla. Stiamo rimanendo più del dovuto per dare un aiuto con le indagini, ma non c’è nient’altro. Noi non conoscevamo quell’Addison. Non avevamo nulla a che fare con lei. Non si sta ripetendo nulla, puoi starne certa” Hanna dovette mentire. Dovette mentire disonestamente alla sua mamma. Una delle persone più importanti della sua vita. Doveva farlo. Non poteva trascinarla in quel che stava succedendo.

In quel preciso momento dall’ascensore, uscirono Mona e Kate, che raggiunsero subito Hanna e mamma Marin.

Buonasera signora Marin! Ma che bello rivederla! Sta benissimo, come sempre!” esclamò Mona con voce stridula.

“Mona, che sorpresa, anche se, la sorpresa più grande è…beh” Ashley stava fissando Kate.

“Ashley, ciao! Che piacere rivederti! Fatti abbracciare!” Kate si avvicinò in modo alquanto invadente, e si buttò su Ashley, stringendola forte a se. Poi la bionda fissò Ashley. “…Sai che ora anche mia madre ha il suo stesso taglio di capelli? E a lei sta benissimo” aggiunse, iniziando a essere fuori luogo.

“Sì, ehm, mamma, avevo dimenticato di dirti che Kate è il nuovo volto della HM Fashion, per la collezione autunno-inverno” rispose Hanna, svelando quindi la sua decisione.

Kate si voltò di colpo verso di lei. “Oh mio dio! Seriamente? Non ci credo, oddio, grazie!” la voce emozionata e alquanto alta di Kate, era davvero fastidiosa. Questa volta la donna si avventò su Hanna, abbracciando lei sotto gli occhi confusi di Ashley Marin e di Mona.

In ospedale, Alison stava prendendo un caffè dalla macchinetta posta nella sala d’attesa. Dopo aver preso il caffè, tirò fuori il telefono dalla tasca, e aprì la chat di gruppo. C’erano parecchi messaggi da parte di Aria e Spencer, del tipo “Ali, Emily, dove siete?” o “Scriveteci” o “Siete sparite”.

Ali quindi scrisse un sms “Io ed Emily abbiamo avuto un impegno. Stasera vi spiegheremo tutto. State tranquille”, e inviò. Rimise il telefono in tasca, e in quel momento si avvicinò suo padre Ken.

“Ehi, come sta la tua amica? Ho visto che si è svegliata” chiese l’uomo alla figlia, che subito sobbalzò.

“Papà, che spavento. Sì, sta meglio. Emily la sta tenendo sotto controllo, anche se ho paura che possa strangolarla mentre dorme” rispose Ali, facendo un po’ d’ironia, mentre si sedette lì a una sedia. Ken la imitò.

“Ma cosa sta succedendo con Emily? Sembravate così innamorate” chiese Ken curioso e apprensivo.

“Lo siamo ancora. Semplicemente, ho, ho fatto una serie di cose che avrei dovuto evitare. E avrei dovuto aprire gli occhi molto tempo fa. Quello che è successo oggi con Cassidy, è, è tutta colpa mia” continuò Alison con voce colpevole.

“Cosa c’entra questo con tua moglie?” chiese Ken.

Gli occhi di Alison si riempirono di lacrime. “C’entra perché Cassidy si era innamorata di me, e Emily lo sapeva. Emily lo aveva capito. E io, io ho tentato in tutti i modi di dire che non era vero, che si stava facendo dei film in testa, ma alla fine, aveva ragione. Ho rifiutato Cassidy perché ho capito di amare Emily, ma ora, ora è tutto complicato. Io e Cassidy, ci, ci siamo baciate, ed io, io non ho sentito nulla. Non ho provato ciò che provo ogni giorno baciando Emily…” era evidente che Ali volesse dire altro.

“Però?” chiese Ken.

“Però, sapere che Cassidy era così tanto presa da me, sapere che fosse così innamorata di me, mi ha, mi ha suscitato qualcosa. Mi sono sentita desiderata realmente da qualcuno, e ultimamente, nell’ultimo periodo con Emily non accadeva più. E mi sono resa conto di quanto inconsapevolmente ci fossimo allontanate, solo dopo aver baciato Cassidy. Io amo da morire Emily, davvero, però la nostra vita, è come, è come se avessimo messo stop a tutto. Viviamo solo per il lavoro e per le nostre bambine, ed io amo tutto ciò, però, però vorrei tanto che di notte lei mi stringesse come faceva una volta. Che mi desiderasse così come mi desiderava la nostra prima notte insieme alla Roccia dei baci. Non riesco più a sentirmi desiderata, e questo, questo ci ha allontanate. Ha allontanato me Alison era riuscita a essere sincera al 100%. A parlare col cuore in mano delle sue paure più grandi, dei suoi dubbi, delle sue preoccupazioni.

Ken l’aveva ascoltata attentamente, senza perdersi nulla di ciò che aveva detto. “Tesoro, io prima ho parlato con Emily. Ci ho parlato per poco, ma quel poco mi ha fatto capire che ti ama tanto quanto tu ami lei. So che avete lottato tanto per costruire questa famiglia e per arrivare ad ammettere i vostri sentimenti, quindi, non buttare tutto all’aria. Parlatene, confrontatevi, trovate un punto d’incontro, ma non tenetevi dentro tutti i dubbi e le paure, altrimenti, altrimenti farete la fine che abbiamo fatto io e tua madre” consigliava Ken saggiamente.

“In che senso?” chiese la figlia.

Io e Jessica, noi, avevamo accumulato così tanto dopo la tua scomparsa, senza mai parlare, fino a che siamo diventati due perfetti estranei. Tu ed Emily non dovete fare la stessa fine. Parlale, e vedrai che risolverete tutto” Ken sorprese Ali. Le parlò da vero padre. Come mai aveva fatto nella sua vita.

Alison apparve sorpresa, prese la mano del padre e la strinse alla sua “Forse ho fatto bene a darti una seconda possibilità” aggiunse lei. Ken le sorrise. Un sorriso pieno d’amore. Si notava a mille miglia. Era un sorriso sincero. Il sorriso di un uomo che stava ricominciando, dopo tante difficoltà, ad essere nuovamente padre.

“Ed io non la sprecherò per nessuna ragione al mondo, te lo prometto” concluse Ken. Ali quindi si accasciò sulla spalla del padre e per un attimo ritornò la piccola bambina che aveva sempre bisogno del suo papà. Ken la lasciò fare, e la fece accovacciare.

Nella camera di Cassidy, intanto, Emily era seduta dove prima stava Alison. Cassidy dormiva profondamente, mentre Emily non le toglieva lo sguardo di dosso. Fece un lungo sospiro. Voleva dirle qualcosa. Poi deglutì.

“Cassidy, io, io non ti odio. Non ho mai odiato nessuno in vita mia. Però, devi sapere una cosa. Il tuo è stato un gesto davvero egoista” esclamò di colpo, parlando a Cassidy.

“…Sai, dovresti alzarti da quel letto, e vedresti quanta gente in quest’ospedale lotta ogni giorno per riuscire a vivere. Per riuscire a tornare alla loro vita anche solo per un minuto” mentre Emily parlava, Alison stava pian piano entrando nella stanza. Emily non toglieva lo sguardo da dosso a Cassidy. “Non lo so Cassidy, a me il tuo gesto sembra solo un atto di grande egoismo” terminò Emily.

“Andiamo a casa” intervenne Ali a sorpresa.

Emily si voltò di colpo. Era perplessa e confusa. Ma sentì come una sensazione positiva dentro di se. Doveva andare a casa con sua moglie.

Poco più tardi, in una splendida, affollata, e soleggiata New York, in un attico di un enorme grattacielo, Aria e Spencer erano sedute in vasto ufficio con una grossa scrivania nera. Aria si guardava intorno alquanto agitata. Si sentiva davvero piccola lì dentro.

“Ti rendi conto che lavora per una fabbrica di caramelle?” intervenne Aria a voce bassa.

“Le caramelle Chubby. Sono le più vendute qui nella grande mela” rispose Spencer.

“Ok, ma cosa gli diciamo adesso? Ciao siamo prese di mira da un pazzo psicopatico, e non sappiamo se possa c’entrare la morte di tuo figlio, o quello della sua sorellastra, morta anch’essa, ok, quanto costano le caramelle?” chiese Aria alquanto ironica e agitata.

“Da quando sei così spiritosa?” chiese Spencer prendendosi gioco dell’amica.

“Sono sempre stata spiritosa” inveii Aria.

Spencer fece una smorfia un po’ strana. “Comunque gli diremo molto tranquillamente la verità, o almeno una parte. Ovvero che Addison è morta, che hanno trovato le nostre foto tra la sua roba, e che siccome anche Roger è stato ritrovato lo stesso giorno di Addison, volevamo capire se potesse esserci un collegamento” rispose Spencer con precisione.

“E per quanto riguarda Kate?” chiese Aria.

“Di lei se ne stanno occupando Hanna e Mona, sta tranquilla” rispose Spencer.

In quel momento entrò nell’ufficio, Alan Maxfields. Era un uomo sulla sessantina, calvo, alto, e con due occhioni azzurri. In giacca e cravatta, e molto elegante. L’uomo si apprestò a sedersi “Scusate il ritardo, è che oggi è una giornata un po’ strana” spiegò l’uomo con una voce un po’ spenta.

“Per via di Felicity Derringer?” chiese di colpo Spencer.

“Spence” sussurrò Aria dandole una gomitata.

Alan sbarrò gli occhi. “Mi scusi? chiese l’uomo piuttosto sorpreso.

Spencer fece un sospiro. “Senta, noi, noi veniamo da Rosewood. Penso che lei conosca bene quella città” rispose la giovane Hastings senza mezzi termini. Voleva andare in fondo alla questione, senza perdere tempo.

“Se siete poliziotti, quella è la porta. Ho già risposto a tutte le domande possibili quando sono venuti la prima volta dopo che hanno ritrovato mio figlio” spiegò l’uomo un po’ scocciato.

“Signor Maxfields siamo qui perché una ragazzina è stata ritrovata morta lo stesso giorno in cui hanno ritrovato i resti di suo figlio. E lei sa benissimo di chi sto parlando. Questa ragazzina nascondeva qualcosa. Qualcosa che è collegato a noi in qualche modo. A noi due, e ad altre nostre amiche. Abbiamo scoperto che Roger era suo fratello, che lei era sposato con la madre di Addison. Quindi, se c’è una minima possibilità che la morte di Addison sia collegata a quella di Roger, abbiamo bisogno di saperlo. La prego Spencer parlò diretta e concisa. Senza nessun giro di parole che poteva solamente far agitare l’uomo.

“Io, io non saprei cosa dirvi” rispose Alan, piuttosto frastornato dalla marea d’informazioni che gli erano piovute addosso.

“Magari può spiegarci anche lei cosa è successo a Roger quell’estate” continuò Spencer.

Alan provò a tornare con la mente a quel terribile giorno. Gli sembrava assurdo dover ripensare a quel terribile avvenimento, ma lo fece

 “Sembra sia successo ieri. Era, era il 20 Luglio del 2001” iniziò a raccontare Alan.

Di colpo, il suo raccontò si tramutò in un flashback di quel terribile giorno. Sul molo vicino al lago c’erano una miriade di persone ansiose di sapere cosa fosse successo. Tra la folla si fece spazio un ansioso e più giovane Alan Maxfields. “Fatemi passare, per favore!” urlò l’uomo. Sullo sfondo, una splendida casa sul lago. La casa estiva dei Derringer.

Sul molo, seduta su una sedia, e con accanto Robert Derringer che le teneva la mano, ci stava Felicity. Una giovane Felicity in lacrime. Alan la guardò pieno di preoccupazione in corpo. “…Che diavolo è successo? Dov’è Roger?” ruggì l’uomo.

Felicity non riusciva a parlare. “Io, l-lui, no, non ce la faccio!” la donna era praticamente sotto shock, e subito corse via, seguita da suo marito Robert. Alan rimase piuttosto confuso e scombussolato. Tentò di raggiungerli.

“Laura! Dov’è Roger?” urlò lui mentre tentava di rincorrerli. Di colpo però andò a sbattere contro qualcuno. Era un giovane e aitante Tom Marin, il padre di Hanna. “…Mi scusi” esclamò subito Alan, con educazione.

“Guardi dove mette i piedi, per favore!” inveii Tom scontroso e affannato.

“Senta, sto avendo una giornata terribile, non so cosa sia successo a mio figlio, quindi la prego!” ribatté Alan affranto.

A queste parole, lo sguardo di Tom cambiò. Apparve più docile, ma anche più sconvolto di prima “Q-Quel bambino che non si trova, è, è suo figlio?” chiese Tom tentando di non farsi fregare dall’evidente agitazione.

“Lei sa cos’è successo? La mia ex moglie mi ha telefonato in lacrime dicendo che era successo qualcosa a Roger, e mi sono precipitato qui da New York. Lei può dirmi qualcosa?” implorò Alan.

“N-No, io, non, n-non so nulla, mi dispiace” rispose Tom tentando subito di fuggire via.

“Aspetti! Perché reagisce così?” chiese Alan prendendolo da un braccio e fermandolo.

“Non reagisco in nessun modo! Le ho detto che non so nulla di suo figlio! Mi lasci andare!” sbraitò Tom, tornando lo scorbutico di prima.

“La prego, per favore. Mi dica cos’è successo” Alan tentò nuovamente di fermarlo, ma Tom con tutta la forza in corpo, lo spinse con violenza, facendolo cadere a terra.

Mi lasci in pace” concluse Tom Marin, e quindi si allontanò in fretta, mentre Alan rimase lì per terra, confuso e frastornato. Mentre osservava Tom andare via, Alan riuscì a leggere la placchetta che l’uomo aveva sulla maglietta che indossava. Una placchetta che aveva su il suo nome. Tom J. Marin.

 

 

 

 

 

 

“Si chiamava Tom Marin. Lo ricordo come se fosse ieri” aggiunse poi Alan, tornati nel presente.

Spencer e Aria erano alquanto attonite di fronte tale racconto. “Tom Marin? Ne è sicuro?” chiese Spencer.

Sì. Lo ricordo bene perché fu stranissimo. Dopo quell’episodio, Felicity si riprese e mi raccontò tutto. Roger si era allontanato dalla casa di Robert, ed era sparito nel nulla. Il giorno seguente trovarono le sue scarpette nel lago. Setacciarono il lago per settimane, per mesi, ma non fu mai ritrovato. Tutti pensammo che oramai la corrente lo avesse trascinato via, nell’oceano. E alla fine, smisero di cercarlo, e il suo caso fu archiviato come un caso irrisolto. Tutti si dimenticarono di Roger. Persino Laura” spiegò Alan con una voce triste e malinconica.

“Ma perché ha accettato che la sua ex moglie non rivelasse di essere la madre di Roger quando l’hanno ritrovato?” intervenne poi Aria.

“Perché Laura, cioè, Felicity, era distrutta quando Roger scomparve. Voleva cambiare vita, e lo fece. Quando tornò in America, era diventata Felicity. Aveva chiuso per sempre con il passato. Quando fu ritrovato Roger, avvertirono subito me. In polizia era rimasto il mio numero nel caso ci fossero delle novità. Avvertii subito Felicity, e lei, lei pianse. Pianse tanto. Ci incontrammo all’insaputa di Robert, e tentai di farla star bene. Ma era inutile. Era come se tutto il dolore per la scomparsa di Roger, fosse ripiombato su di lei. Così le consigliai di non dire nulla. Di rimanere nell’anonimato e di non dire di essere la madre di Roger. Volevo che stesse meglio” spiegò Alan, facendo capire quanto ancora tenesse alla sua ex moglie.

“E quando la polizia ha fatto domande sulla sua ex moglie? Su Laura Cooper?” chiese Spencer.

“Dissi loro che avevo perso i contatti con lei, ma che sapevo vivesse in Irlanda. Dovevo mandarli fuori strada affinché non trovassero Felicity. Lei viveva a Rosewood. I vecchi poliziotti che si occuparono del caso erano tutti in pensione, ma non ci avrebbero messo molto a capire che Felicity fosse la madre di Roger” continuò Alan, senza tralasciare nulla.

Aria e Spencer rimasero zitte per pochi secondi. Alan era parecchio triste. Si notava bene.

“Lei…Lei pensa che Felicity si sia davvero tolta la vita?” intervenne poi Spencer, tentando di non essere indelicata.

Alan alzò lo sguardo. Guardò Spencer dritta negli occhi. “No, penso che qualcuno l’abbia uccisa” l’uomo rispose in modo chiaro, diretto, e conciso. Era convinto di ciò che aveva detto. Questa risposta fece rabbrividire il team Sparia.

 “Pensa che possa c’entrare la stessa persona che ha seppellito suo figlio?” chiese Aria.

“Non lo so. Ma so per certo che qualcuno non vuole che si sappia tutto della vicenda, soprattutto di ciò che successe dopo che Roger scomparve” spiegò Alan, con un tono di voce alquanto preoccupato.

“Che intende dire?” chiese Aria.

In quel preciso momento però, squillò il telefono dell’uomo. Era un messaggio della sua segretaria. “Sentite, ora ho da fare. Ma se passate questa sera da casa mia vi racconterò tutto. Ok?” aggiunse lui prendendo un taccuino e scrivendo su di esso l’indirizzo di casa sua. Quindi diede il pezzo di foglio a Spencer.

“Senta, ma invece è davvero sicuro che quel giorno al lago ci fosse Tom Marin? Biondo, abbastanza piazzato, occhi chiari” chiese Spencer mentre era intenta ad alzarsi, così come Aria.

“Sono sicurissimo. Si chiamava Tom Marin. Ora devo andare. Ci vediamo stasera” concluse lui, e in fretta uscì dall’ufficio, sparendo tra la folla di persone che stava lavorando lì a quel piano. Spencer e Aria rimasero confuse e disorientate dal racconto dell’uomo.

Mona, Hanna e Kate, erano appena uscite dal Radley Hotel. Kate era piuttosto euforica.

Non ci posso credere che poserò per te! Ma quando inizieremo i primi scatti?” chiese la giovane Kate, felice.

“Tra qualche settimana. Devo ultimare alcuni bozzetti, e poi sarà tutto pronto” spiegò Hanna mentre si dirigevano all’auto di Kate. Quest’ultima si apprestò a trovare le chiavi della macchina, mentre Mona e Hanna la scrutavano con attenzione.

Mona era pronta per parlare, ma Hanna subito la fermò “So io come fare con lei” sussurrò Hanna decisa. Mona quindi stette zitta. “…Hai ucciso tu Addison Derringer?” chiese di getto Hanna.

Mona sbarrò gli occhi “Questo sarebbe il tuo modo?” chiese alquanto sconvolta.

Kate rimase di sasso. “C-Come scusa?” chiese.

“Kate, piantala! Sappiamo che un anno fa eri a Rosewood a incontrare Addison nel giardino della sua amica. Ti hanno visto, e so che non è una coincidenza che tu sia capitata qui proprio in questo periodo. Quindi, o ti decidi a dichiararmi la verità, o te la tirerò io fuori con la forza!” Hanna era alquanto decisa e agguerrita.

“Ricordami di rivedere i tuoi modi” puntualizzò Mona.

Kate si sentì braccata. “N-Non so davvero di cosa tu stia parlando” iniziò a balbettare. L’euforica e felice Kate di prima, era sparita per far posto a una Kate spaventata e terrorizzata dalle domande di Hanna.

“Kate, ascoltami bene. Hanna potrà usare dei modi piuttosto rudi e diretti, ma non sono niente in confronto ai miei modi. Io posso entrarti nella mente. Posso scavare a fondo e farti rivelare cose che non diresti nemmeno a tua madre in persona, nemmeno sotto tortura. Quindi, se non vuoi vedere questo mio lato, ti consiglio di parlare al più presto” Mona le fece gelare il sangue. Le sue parole soprattutto.

“Sentite, qualsiasi cosa sia successa, qualsiasi cosa mi colleghi a quella ragazza, oramai non ha più senso. Lei è morta, quindi andate avanti, per piacere!” finì Kate, apprestandosi ad aprire la portiera dell’auto.

“Kate, se vai via da qui giuro su dio che-”, Hanna la stava minacciando palesemente.

“Cosa? Mi vuoi già licenziare? Fa pure. Ma non vi dirò nulla. Buonanotte!” Kate era piuttosto convinta delle sue parole, quindi entrò in auto, chiuse la portiera e partì accelerando in men che non si dica, lasciando lì Mona e Hanna.

Durante la serata, Alison ed Emily erano appena rientrate in casa. Entrambe parecchio stanche.

“I dottori terranno sotto osservazione Cassidy, quindi direi che è tutto sotto controllo” stava raccontando Alison.

Appena entrate, trovarono Jason sul divano, a giocare con le gemelline. Emily fece uno sguardo strano nel vederlo giocare con le bambine.

“…Ehi Jason, finalmente ti rivedo. Vivi in casa mia ma ti vedo più quando sei a New York” continuò Alison.

“Dov’è la baby-sitter?” chiese Emily con un tono di voce irritato.

“Le ho detto che poteva andare. Mancavano dieci minuti alla fine del suo turno, quindi le ho detto che sarei stato io con le bambine. Perché? E’ un problema?” chiese l’uomo.

All’unisono risposero sia Emily che Ali, ma entrambe diedero una risposta piuttosto diversa l’una dall’altra.

“No” disse Ali. “Sì” disse Emily.

Ali di colpo guardò la moglie. “Ma che dici?” chiese.

“Ali, non mi fido a lasciare le mie figlie ad un uomo che ha problemi con l’alcool, anche se si tratta di Jason. Jason, mi dispiace, ma è così. E dopo quello che è successo, voglio avere il massimo controllo sulle bambine” spiegò Emily.

“Perché? Cosa è successo?” chiese lui curioso.

“Niente, piuttosto, Emily stai parlando di mio fratello. Di Jason. Lo conosci da una vita, e con le bambine si è sempre comportato splendidamente. Come puoi pensare che possa presentarsi ubriaco di fronte a loro?” ruggì Alison alzando il tono di voce.

“Ok, forse è meglio che vi lasci da sole. Vi va se porto le bambine al parchetto in centro? Ho la mia macchina. Prendo i loro seggiolini nella vostra auto, e andiamo. Sempre se, Emily, posso? Sono sobrio, te lo assicuro” promise Jason un po’ imbarazzato ma alquanto sincero.

“Io eviterei” rispose Emily. Jason apparve ancora più deluso.

“E’ incredibile! Jason, va pure, tranquillo. Ti chiamiamo non appena finiamo di darcele di santa ragione” continuò Ali, alzando ancora di più la voce. Quindi l’uomo prese le bambine, le chiavi della sua auto, e uscì di casa.

Alison ed Emily rimasero da sole. Ali sembrava furente.

 “Siamo arrivati a questo punto? A litigare anche per mio fratello? Quante volte ha tenuto con sé le bambine? Quante volte le abbiamo lasciate a New York da lui in questi due anni? O andare al parco con lui? Ora perché reagisci così? Hai sempre saputo che avesse dei problemi con l’alcool, che tra l’altro sta tentando di superare” spiegò Alison.

“Questo era prima che un pazzo psicopatico tentasse di avvelenare le nostre figlie” specificò Emily. La tensione era al massimo.

“Ma questo non c’entra niente con Jason!” rispose Ali.

“Tu dici? Abbiamo scoperto che Melissa Hastings era una folle psicopatica che ha tentato di uccidere la sua stessa sorella. Jason non potrebbe essere quest’altro pazzo che sta tentando di rovinarci?” rispose Emily a tono.

Ali rimase completamente basita. “Non posso credere che tu lo stia dicendo davvero” rispose.

“Ali, io, io non volevo, è che, è che…E’ che al momento non mi fido di Jason, tutto qui” rispose Emily.

“No, è tutto chiaro. Tu adesso devi venirmi contro in qualsiasi cosa perché non riesci ad andare oltre quello che è successo con Cassidy. E’ questo il fatto” rispose Alison.

“No, il fatto è che ti sto esprimendo un mio dubbio su Jason, così come ti dissi del mio dubbio su Cassidy. E così come non mi hai ascoltato quando ti dissi che Cassidy era innamorata di te, ora non mi ascolti quando ti dico che ora come ora secondo me Jason è instabile. Quante altre volte ancora deciderai di non fidarti mai di me? O di quello che sento o provo?” continuò Emily anch’essa alquanto adirata.

“E tu quando deciderai di ricordarti che sono ancora tua moglie e non semplicemente una sconosciuta con cui condividi il letto, e che nemmeno tocchi più?” Ali non riuscì a trattenersi e le rivelò il suo malessere. Emily la guardò parecchio frastornata.

La discussione venne poi interrotta. Qualcuno bussò alla porta. Emily fu costretta a mettere pausa alla discussione e andò ad aprire. Erano Spencer, Aria e Hanna.

“Oh, finalmente siete a casa! Abbiamo raccattato Hanna per strada e siamo venute qua” spiegò Spencer non curante della tensione che aleggiava tra Emily e Alison.

“Raccattata? Non sono mica un cane” rispose Hanna un po’ buffa.

Pochi istanti dopo però, tutte e tre si accorsero della tensione che c’era nell’aria.

“E’ un brutto momento?” chiese Spencer.

“No, no, allora? Ci sono novità? Hanna, hai parlato con Kate?” chiese Alison tentando di apparire tranquilla, ma invano.

“Non del tutto. E’ chiaro che nasconde qualcosa. Datemi un altro po di tempo e io e Mona la faremo crollare” spiegò Hanna con tono deciso.

“Piuttosto, Felicity Derringer…è morta. Avete sentito il notiziario?” chiese Spencer.

“Che cosa?” chiese Emily alquanto scioccata.

“Non abbiamo acceso per niente la TV, benché meno la radio. Ma, si sa com’è morta?” chiese Ali.

“Pare si sia suicidata. Ma non la pensiamo così, e nemmeno Alan Maxfields” rispose Aria.

“Maxfields? Avete parlato con il padre di Roger? E cosa vi ha detto?” chiese Ali.

“Ecco, ora vi decidete a dirlo? Le ho implorate in auto, ma hanno fatto scena muta per tutto il tragitto” aggiunse Hanna, mentre la curiosità la divorava.

Spencer e Aria si scambiarono occhiate preoccupate.

“Allora? Ragazze, dai, parlate!” intervenne Emily.

“Ci ha detto qualcosa, e, Hanna, riguarda tuo padre. E forse proprio per questo è coinvolta Kate” rivelò Spencer sganciando la bomba, e lasciando Hanna completamente di sasso.

In quel preciso istante, il telefono di Alison squillò. Era Jason. “Ehi Jason. Dimmi” rispose Ali. La donna rimase ad ascoltare ciò che le stava dicendo, e mentre ascoltava, il suo volto cambiò. Si scurì di colpo, gli occhi sbarrati, pieni di terrore e paura. “Oh mio dio” solo queste altre parole riuscì a dire. Ma il suo volto in pratica devastato dalla paura, parlava già da solo.

E pochi istanti dopo, Alison, Emily, Spencer, Aria e Hanna, erano entrate in fretta in ospedale. Si guardarono intorno, mentre i volti di Alison ed Emily erano il ritratto del terrore.

“Dove diavolo dobbiamo andare?” esclamò Alison in preda al panico.

“Ragazze” intervenne Spencer, indicando un dottore poco distante da lì.

Le ragazze si precipitarono da lui. “Dottore, salve! Senta mi ha chiamato poco fa un paramedico con il telefono di mio fratello. Mi ha detto che ha avuto un incidente d’auto ed è stato portato subito qui. Era, e-era insieme alle mie, alle nostre figlie. C-Come stanno? La prego ci dica qualcosa” la voce rotta dal pianto di Alison, faceva accapponare la pelle.

“Ah, siete i parenti del tizio ubriaco?” chiese il medico.

“Che intende dire?” chiese Spencer.

“A quanto pare è andato a sbattere contro un albero perdendo il controllo dell’auto, a causa del tasso alcolico troppo alto che aveva in circolo. Inoltre la polizia ha trovato più di otto bottiglie di birra vuote nel cofano dell’auto” spiegò il medico.

Le ragazze rimasero senza parole. Emily guardò Alison con uno sguardo pieno d’odio e di collera. Uno sguardo mai visto prima d’ora in lei.

“Ma le bambine come stanno? La prego ci dica qualcosa” chiese Alison implorandolo.

“Le bambine sono in terapia intensiva. Hanno subito un leggero trauma alla testa a causa dell’impatto, ma speriamo che non sia nulla di grave. Le terremo sotto osservazione tutta la notte. Stia tranquilla, faremo il possibile” rispose il medico, alquanto fiducioso.

“E il ragazzo? Come sta?” intervenne Spencer.

“E’ nella camera 25. Sta bene, a parte qualche ammaccatura qua e la. Dovrà rispondere a molte domande della polizia. Io ora torno dalle bambine. Le faremo stare bene. Ve lo assicuro” concluse il medico, con gentilezza, e quindi si allontanò.

Le ragazze erano incredule, sbigottite, lacerate da un dolore che sembrava non placarsi. Alison ed Emily erano senza parole, sotto shock. Le lacrime rigavano il viso di Alison come mai prima d’ora. Il pensiero di poter perdere le sue bambine era straziante, era terribile. Sentiva il cuore andare in frantumi mentre pensava alle sue bambine chiuse in quell’ospedale, da sole e impaurite. La stessa cosa Emily. Quest’ultima cercava di rimanere forte, di trattenere quelle lacrime piene di preoccupazione, di terrore al pensiero di perdere il dono più prezioso che la vita le avesse mai fatto.

“Ragazze, n-noi, noi andiamo da Jason. Voi aspettate qui” intervenne poi Spencer all’indirizzo di Ali ed Emily, e quindi le tre si allontanarono, lasciando Ali ed Emily da sole. Emily andò a sedersi a una sedia lì in sala d’attesa, e Alison la imitò. Voleva dire qualcosa. Dopo la discussione avuta, Ali doveva dire qualcosa. Sapeva di doverlo fare.

“Em, i-io” Ali non trovò le parole giuste, e nemmeno Emily le diede il tempo di trovarle.

“Voglio il divorzio” queste parole, dette di getto da Emily, devastarono Alison. Parole dure, tristi, che le stracciavano ancora di più il cuore. Oltre al rischio di perdere le sue figlie, stava per perdere l’amore della sua vita. Ali non sapeva come poterlo reggere. Lo sguardo di Emily era affranto. La sua voce rotta dal pianto. Un pianto che non riusciva più a trattenere.

“N-Non puoi dire sul serio” rispose Ali tentando di trovare una parola, un qualcosa che potesse farla ragionare.

“Mai stata così seria. Il nostro matrimonio è finito” Emily apparve ancora più diretta, ancora più glaciale. Ali non sapeva più cosa dire. Era impossibile riuscire a dire qualcosa che potesse far ragionare Emily. Quindi rimasero lì, zitte, a fissare il vuoto, e ad aspettare notizie delle loro bambine.

Poco distante, nella camera di Jason, Spencer, Aria e Hanna erano tutte intorno al suo letto. L’uomo era seduto, con il braccio ingessato, e vari tagli sul volto. Sembrava però stare bene.

“Come stanno le bambine?” chiese subito l’uomo.

“Non lo sappiamo ancora. A quanto pare hanno battuto la testa” rispose Spencer con tono irritato.

“Jason, stavolta hai esagerato davvero” aggiunse Aria.

Jason la guardò confuso. “Aria, io non c’entro niente” rispose lui iniziando ad alzare la voce.

“Non c’entri niente? Ti sei messo alla guida ubriaco e con le tue nipoti in macchina. Ti sembra niente?” ruggì Spencer.

Jason sbarrò gli occhi. “U-Ubriaco? Ma cosa? Ma che diavolo stai dicendo? Io non tocco un goccio da quando ho combinato il casino con Aria” spiegò l’uomo.

“Jason, ti aspetti che ti crediamo?” aggiunse poi Hanna.

“Ma è così. I-Io, io non avevo bevuto. Stavo guidando, e improvvisamente, improvvisamente ho perso il controllo dell’auto. Era come se non riuscissi più a tenere lo sterzo, o a frenare. Era diventata automatica. Stava facendo tutto da sola. Sapevo che non c’era modo di fermarla, quindi ho tentato di coprire le piccole, ed evitare che si facessero male. Sapevo che stavamo andando a sbattere. Ma non sapevo come fosse possibile” spiegò lui accuratamente.

Le ragazze rimasero piuttosto confuse. “Ci stai dicendo che è semplicemente impazzita la macchina?” chiese Aria confusa.

“Esatto. E non so come diamine sia successo” rispose lui.

I telefoni delle tre ragazze squillarono. Era un sms. Gli sguardi delle ragazze s’incrociarono tra di loro. Capirono subito da chi arrivasse il messaggio. Lo aprirono tutte insieme. L’sms diceva “Jason non dovrebbe lasciare la sua auto incustodita. Manometterla non è difficile, così come farlo fuori. Vi ho detto che non stavo giocando stronzette” le ragazze lo lessero nella loro mente, e dopodiché alzarono lo sguardo, capendo la situazione e guardandosi tra di loro.

Il telefono squillò nuovamente. Un altro sms da parte del nuovo stalker, ma questa volta c’era un allegato. Era un piccolo video, muto. Un video in cui qualcuno, con felpa e cappuccio nero, e con guanti neri, stava strangolando a morte Felicity Derringer.

“Ragazze, che succede?” chiese Jason notando le facce terrorizzate delle tre, che si portarono le mani alla bocca in segno di stupore. Era difficile riuscire a tenere gli occhi su quel video così forte e crudo.

Quelle mani coperte dai guanti stavano stringendo intorno al collo della povera signora Derringer, che cercava aiuto, qualcuno che la salvasse, ma sapevamo che nessuno l’aveva salvata. Il video si staccò di colpo e apparve un altro sms “Le mancavano troppo i suoi figli. Povera Felicity. Le ho fatto un favore”

Le tre ragazze tentarono di metabolizzare ciò che questo folle aveva rivelato e aveva fatto. Il nuovo stalker aveva manomesso l’auto di Jason e aveva fatto in modo che risultasse ubriaco all’arrivo della polizia sul luogo dell’incidente. E aveva ucciso Felicity Derringer perché aveva parlato troppo. L’ennesima prova, l’ennesima conferma che stavolta con questo folle, chiunque esso fosse, non c’era da scherzare.

Nel suo appartamento, a Philadelphia, un Peter Hastings piuttosto stanco, era steso sul divano intento a leggere un libro. Ma sembrava parecchio esausto. Quindi tolse gli occhiali da riposo, e poggiò il libro sul tavolino posto accanto al divano. Si alzò trascinandosi in camera da letto, e andò di fronte lo specchio.

Non appena si ritrovò faccia a faccia con se stesso, tolse via la parrucca che aveva in testa.

Era completamente calvo. Si accarezzò il capo, e poi distolse lo sguardo dallo specchio, come se fosse imbarazzato.

Sentì poi lo squillo del suo cellulare. Lo prese da sopra il comodino. Era un messaggio in segreteria. “Signor Hastings, salve. Sono il dottor Carver. La chiamo per fissare la data per interrompere la chemioterapia. So che la decisione è stata difficile per lei, ma bisogna firmare delle carte, decidere un po’ di cose. Mi richiami al più presto” dopo aver ascoltato il messaggio, Peter ripose il telefono sul comodino, e si accasciò sul letto.

Rimase a fissare il soffitto, con lo sguardo perso, assopito. Stava morendo. Stava morendo di qualche male incurabile, e avrebbe voluto raccontarlo alla figlia, ma non c’era riuscito. E sperava di farlo prima che potesse essere troppo tardi per poterle dire addio.

Intanto, Kate era appena rientrata a casa dei suoi genitori, a Philadelphia. Una graziosa casa gialla posta nella zona periferica della città. Sembrava alquanto agitata. “Ehi, c’è qualcuno a casa? Mamma?” chiese lei. Nessuno però le rispose.

Si addentrò in cucina e si sedette al tavolo. Era pensierosa. Era totalmente assorta nei suoi pensieri. Ticchettava sul tavolo con le sue unghie con agitazione. Dopodiché tirò fuori dalla borsetta il trafiletto del giornale che parlava della morte di Addison, e lo posò sul tavolo. Osservò scrupolosamente quel pezzo di carta.

“…Cosa devo fare con te?” esclamò tra se e se, guardando la foto di Addison posta in cima all’articoletto.

Poi decise di tirare fuori il telefono, trovò un numero ben preciso e telefonò. Partì la segreteria. “Ciao a tutti, sono Tom Marin. Se non vi rispondo, vuol dire che sono impegnato. Lasciate pure un messaggio e vi richiamerò”, Kate sbuffò e decise di lasciargli un messaggio.

“Ehi, Tom. C’è un problema. Tua figlia, Hanna, sa di quella notte. Sa che ho incontrato Addison. Non so che fare. Richiamami subito, per favore” e dopo aver lasciato il messaggio vocale, riattaccò, rimanendo lì seduta e riflettendo su come doveva muoversi.

 

 

 

 

 

 

E contemporaneamente, nel suo solito covo lugubre e buio, il nuovo stalker, con felpa e cappuccio, si era appena seduto al tavolo. Lì sul tavolo si poteva notare ad un angolo la famosa e inquietante bacheca con i volti di Rosewood, e all’altro angolo il peluche rosso con il nome di Roger stampato sul petto. Posò una busta marrone della spesa, e iniziò a frugarci dentro con evidente agitazione. Tirò quindi fuori un pacchetto di chewing gum, e lo posò sul tavolo. Dopodiché tirò fuori un pacco di batterie, e ancora uno sciroppo chiamato “Adderal”. Lo sciroppo lo osservò con una certa scrupolosità, prima di posarlo sul tavolo. Dopodiché, le sue mani avvolte in quei guanti neri, tirarono fuori un pacco di caramelle ‘Chubby’.

A quel punto aprì il pacco, e iniziò a sceglierne una. Le sue inquietanti mani si facevano spazio in quel pacco di squisite caramelle. Erano caramelle dai mille colori. Cercò quella rossa, e se la portò in bocca.

FINE QUINTO EPISODIO.

 

 

 

 

 

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by: Frà Gullo;

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